Credo si faccia qualche confusione tra i concetti di sovranità interna e sovranità esterna, quest'ultima altrimenti detta indipendenza. La sovranità interna ha a che fare con la libertà di una nazione di determinare la distribuzione del reddito senza subire condizionamenti esterni, dunque solo in base agli equilibri politici interni, siano essi stabiliti democraticamente o meno. Nel secondo caso, ovviamente, non si può parlare di "sovranità popolare", ma solo di "sovranità nazionale", ovvero vi è una classe di cittadini che possiede il diritto incontrastato, o almeno predominante, di orientare la distribuzione del reddito, e quindi l'accumulo di ricchezza.
La sovranità esterna, ovvero l'indipendenza nazionale, è un concetto che si applica ai rapporti internazionali, e consiste nella libertà di una nazione di condurre una propria politica estera al riparo da condizionamenti e/o ricatti basati sulla forza da parte di altre nazioni. Non v'è dubbio alcuno, io credo, che l'Italia abbia perso la sua indipendenza nazionale con la seconda guerra mondiale, o quanto meno ha perso quel poco che aveva.
Dopo la seconda guerra mondiale per un trentennio l'Italia, seppur priva di indipendenza nazionale, ha tuttavia goduto appieno di una forma di sovranità interna che, per un periodo, era sembrata sul punto di trasformarsi in una vera sovranità popolare. In quel periodo vennero recuperati, sia pure con incidenti di percorso - ad esempio l'assassinio di Mattei - anche spazi di indipendenza nazionale. La svolta ci fu nel 1975 in occasione del vertice di Rambouillet in cui il nostro paese, per la prima volta, venne invitato a un G5 (Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Giappone e Italia). La linea di Stati Uniti e Regno Unito, che promuovevano una strategia trilaterale mirante a coordinare le politiche delle aree industrializzate (USA, Europa e Giappone) fu solo in parte accolta, per la nascita di una nuova ambizione politica consistente nell'unificazione politica europea, sostenuta principalmente da Francia e Germania. Da lì a breve, dopo l'assassinio di Aldo Moro, venne posta la prima pietra del processo che avrebbe privato il nostro paese anche della sovranità interna, consegnandola all'asse franco-tedesco: l'adesione allo SME nel 1979.
Seguirono, in rapida successione, il divorzio Tesoro Banca d'Italia, la marcia dei quarantamila preludio alla sottomissione dei sindacati, lo smantellamento della scala mobile, l'abbandono della legge bancaria in vigore dal 1936, il trattato di Maastricht, Tangentopoli, la seconda repubblica, l'aggancio della parità col paniere europeo delle monete nel 1996, la fondazione della BCE il 1 gennaio 1998, l'adozione dell'euro come moneta scritturale nel 1999 e la sua definitiva circolazione a partire dal 1 gennaio 2002.
La situazione è oggi la seguente: la nostra agenda di politica estera è dettata dall'ambasciata USA, la distribuzione del reddito interno obbedisce alle direttive di Bruxelles.
Questo stato delle cose è ignoto alla gran massa della popolazione; al bar di Castro dei Volsci, per fare un esempio, i più "rivoltosi" sperano nel m5s. Ed io, ormai abbastanza scoraggiato, mi astraggo dalle deliranti discussioni cui mi tocca di assistere.
La domanda che dobbiamo porci è se sia possibile recuperare entrambe le sovranità, quella interna e quella esterna, e in quale ordine. Alla prima parte della domanda risponderò fra trent'anni, alla seconda ora. Ma credo che la risposta sia già dentro di voi, e sia quella giusta: prima occorre recuperare la sovranità interna, poi quella esterna. Si esclude, naturalmente, lo scenario nel quale una potenza straniera, sconfiggendo l'ennesimo tentativo delle élites europee di recuperare la potenza perduta, ci restituisca graziosamente almeno la sovranità interna. Nel 1945 furono gli Stati Uniti, oggi il ventaglio delle possibilità comprende anche la Russia e la Cina.
Tuttavia, se il percorso che si immagina è di natura endogena, cioè patriottico, allora credo non possano esservi dubbi sul fatto che il recupero della sovranità interna è propedeutico, in modo vincolante, alla successiva eventuale riconquista dell'indipendenza nazionale. In sintesi, prima si esce dall'euro, poi dall'UE, infine dalla NATO. Chi sostiene l'idea che il problema principale sia la NATO, in subordine l'UE, e addirittura nega la rilevanza dell'euro compie, a mio avviso, un grave errore di analisi. Oppure è al servizio del Re di Prussia. L'indipendenza nazionale, infatti, è un obiettivo che può essere perseguito solo da un paese ricco e prospero che non deve subire il saccheggio permanente da parte di altri Stati, il che ci permette di enunciare il seguente principio: condizione necessaria, ma non sufficiente, per il recupero della sovranità esterna è la riconquista della sovranità interna.
Eppure ci sono forze politiche, ahimè sedicenti di sinistra che io preferisco chiamare "i sinistrati", le quali negano la rilevanza della moneta unica, mentre continuano ad atteggiarsi come forze anti sistema dietro la cortina di fumo di slogan contro la NATO e l'UE. I quali, alludendo ad obiettivi rispettivamente militari e politici, non possono che restare lettera morta, stante la condizione di debolezza economica e di privazione di ogni strumento di politica monetaria e fiscale dello Stato italiano. Come è possibile farsi una ragione di tali posizioni, chiaramente contrarie al minimo buon senso? Ebbene io credo che, fatto salvo il dubbio che queste forze siano in parte infiltrate e condizionate da agenti esterni, sia USA che Leuropei, nei casi di buona fede - sicuramente la maggioranza - entrino in gioco considerazioni di mera sopravvivenza e di viltà politica. Quando il prezzo da pagare per proporre un percorso razionale, e funzionale agli obiettivi dichiarati di difesa del mondo del lavoro, consiste nella perdita di ogni spazio di agibilità politica, cosa che accade da anni ai veri sovranisti, allora la tentazione di preservarli aguzza la mente spingendola verso forme di dissonanza cognitiva. Insomma, chi si scaglia contro la NATO e l'UE, ma dimentica l'euro, non c'è ma ci fa!
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