venerdì 3 novembre 2017

La dicotomia destra-sinistra e la curva di Philips


Noterete che nella curva di Philips, che mette in relazione il tasso di inflazione con il tasso di disoccupazione, la variabile indipendente è quest'ultimo. Il che significa che è il tasso di inflazione ad essere "funzione" del tasso di disoccupazione, non viceversa. E in effetti quando la disoccupazione scende la dinamica salariale, cioè le "pretese" dei lavoratori, conduce ad un aumento dei prezzi. E' quella che, negli anni settanta, veniva chiamata dai giornali "rincorsa tra prezzi e salari", per frenare la quale non c'è di meglio di un cambio fisso, meglio una moneta unica che emuli il gold standard. La compressione della dinamica salariale è un obiettivo così sentito da parte del grande capitale che perfino in Germania questo preferisce, con l'accordo dei sindacati, scambiare gli aumenti di produttività con riduzioni orarie, piuttosto che con aumenti salariali. E' il "lavorare meno lavorare tutti" di bertinottiana memoria, ovviamente praticabile nel paese dell'eurozona che ha schiantato tutti gli altri, e solo finché le cose continueranno ad andar bene. In Italia, ma anche in tutta la periferia dell'eurozona, accade il contrario: si lavora fino a tarda età con carichi orari crescenti. Insomma, lo slogan è perfetto per contenere il rialzo dei salari, cioè tener basso il tasso di inflazione, che è quello che veramente interessa al grande capitale. Tanto, quando dovesse arrivare la crisi anche in Germania, si licenzia un po' e tutti a fare straordinari!

Il giochetto del cambio fisso è solo uno degli arnesi utilizzati per bastonare i lavoratori e valorizzare al massimo il capitale, al quale si aggiungono, con pari importanza, la cosiddetta mobilità dei fattori produttivi (capitali, merci, servizi e mano d'opera - anche alloctona) e le illegalità legalizzate della finanza internazionale che succhia risorse dagli Stati e dai territori, sia imponendo, di regola, tassi di interesse superiori alla crescita del PIL, sia scaricando sui risparmiatori gli immancabili, e sempre più numerosi, episodi di default del settore privato. Il fatto che oggi si alzino strepiti per la caduta dei tassi di interesse, circostanza che viene descritta come prologo all'implosione del sistema, la dice lunga su quali siano gli obiettivi reali della grande macchina finanz-capitalista. E in effetti c'è da essere preoccupati, almeno da parte di chi sogna il quieto vivere. Un regalo che il sistema liberista non ha mai fatto, né mai farà.

Il risultato dell'implementazione del modello liberista su scala planetaria, in particolare europea, ancor di più nei paesi della periferia dell'eurozona, è stato un generale depauperamento della classe media che ha proletarizzato masse enormi di cittadini. Questo processo ha avuto ricadute importanti sui precedenti schieramenti politici, che si qualificavano tutti in relazione alla dicotomia destra-sinistra. In effetti, in presenza di una vasta classe media, si hanno due fenomeni:
  1. Solo una parte minoritaria della popolazione è costretta a vivere ai livelli più bassi di reddito, venendo comunque tenuta buona con elargizioni di varia natura, sostenibili per il sistema nel suo insieme.
  2. L'animosità nei confronti delle élites economiche della gran parte del corpo sociale si  stempera, sia perché a queste viene ascritta una parte considerevole del merito per il soddisfacente livello di reddito raggiunto, sia perché il conflitto tende a diventare intersettoriale. Ed è in questa fase, quando le spinte realmente rivoluzionarie si attenuano, che la dicotomia destra-sinistra cresce di importanza, caratterizzandosi essa, sempre di più, sul piano puramente (e falsamente) ideologico.

Ora i conflitti intersettoriali vengono descritti, dal ceto politico che si incarica di gestirli, come fossero conflitti di classe: operai contro impiegati, dipendenti pubblici contro dipendenti privati, ceti professionali visti come ostacolo alla libertà di impresa, artigiani contro commercianti, e chi più ne ha più ne metta. Gli uni sono "di sinistra", gli altri "di destra", e/o viceversa. Niente di male, almeno fino a quando esiste uno Stato che si occupi di porre in atto effettive e oneste politiche redistributive, rispettose delle peculiarità dei diversi settori sociali. Faccio un esempio. Al tempo della prima repubblica i ceti impiegatizi votavano prevalentemente per la DC, mentre gli operai per il PCI. I primi erano considerati "piccola borghesia", i secondi "proletariato", e in effetti c'erano differenze di reddito tra impiegati e operai, ma non solo queste erano di relativa entità, bensì rispondevano anche alla necessità, per la piccola borghesia, di assicurare la propria riproduzione sociale investendo maggiormente nell'educazione dei figli. Senza contare il fatto che, all'epoca, i ceti impiegatizi erano maggiormente inurbati, il che comportava tutta una serie di costi che erano sconosciuti ai contadini-operai, per fare un esempio quelli della Fiat. I quali lavoravano sì in fabbrica, ma coltivavano anche la terra, ricavandone piccoli redditi aggiuntivi che il fisco ignorava. In definitiva, c'era un relativo equilibrio, sia pure con delle sperequazioni, all'interno delle quali il ceto politico, del tutto indifferente ad ogni proposta di revisione radicale del sistema (come per altro chiedeva il suo stesso elettorato) proponeva una mediazione tutta incentrata su una sempre più fittizia dicotomia destra-sinistra.

La controffensiva liberista, sviluppatasi a partire dalla fine degli anni settanta, ha colto del tutto di sorpresa il modello di conflittualità sociale testé descritto, regolato dalla Costituzione di stampo keynesiano del 1948. Un vero Blitzkrieg, che travolse la I Repubblica causandone la fine nel breve volgere di un decennio, ratificata dal trattato di Maastricht prima ancora che dal fenomeno tangentopoli. Che ci appare, col senno di poi, come un vero e proprio rastrellamento dopo la resa senza condizioni.

L'esito, inevitabile, è consistito in una crescente compressione della dinamica salariale, e dunque una diminuzione del tasso di inflazione che ha cominciato a erodere, dapprima lentamente, poi in modo velocissimo in seguito all'esplodere delle crisi, i redditi della classe media. Le strutture mentali di interpretazione della realtà politica di questa, fondate su una dicotomia destra-sinistra adattata al conflitto intersettoriale, non si sono adeguate con sufficiente rapidità a una realtà fattuale del tutto mutata, complice anche l'abilità con cui la classe politica che si era sostituita alla precedente ha saputo celare i suoi veri scopi. L'Italia è stata così desovranizzata, perdendo la libertà di determinare, attraverso elezioni democratiche, la distribuzione interna dei redditi; avendo già perso, con l'armistizio di Cassibile, la propria indipendenza sullo scenario internazionale, ovvero la capacità di condurre una politica estera non sottomessa agli interessi del paese guida, gli Stati Uniti. Siamo così diventati una colonia economica della Germania, essendo già da tempo un protettorato estero degli USA.

Rebus sic stantibus


La debolezza estrema dello spirito nazionale fa sì che oggi non sia possibile nessuna forma di opposizione manifesta allo strapotere delle potenze che ci dominano: gli USA, per i quali siamo una portaerei (nucleare) nel mediterraneo, e l'UE (alias la Germania con in subordine la Francia) per la quale siamo un pericoloso concorrente ormai completamente domato, quindi da razziare. 

Serpeggia per altro il sospetto, tra le fila di alcuni sovranisti (il termine con cui si autodefiniscono i patrioti costituzionali, al netto degli infingimenti della Lega nord, ma non solo...), che molte opposizioni cosiddette di  sistema, "de destra" come "de sinistra", siano infiltrate e condizionate, per lo meno ai loro vertici, da agenti al servizio delle suddette potenze occupanti, il cui compito è quello di smorzare, ritardare, disattivare ogni potenziale germe di riscossa del sentimento nazionale. Da questo punto di vista chi scrive è assolutamente convinto, sebbene non abbia le prove per dimostrarlo ma solo per logica politica, che il M5S sia il frutto di maggior successo, ma non l'unico, di questo genere di operazioni.

Occorre, a giudizio di chi scrive, uno scatto di realtà dei patrioti sovranisti che si rifanno alla Costituzione del 1948, al fine di prendere atto della situazione disperata in cui versa la Patria. Lacrime, sudore e (speriamo non) sangue sono la sola promessa che oggi è lecito fare a chi, memore della Patria, vuole battersi per riconquistare la libertà del suo popolo dai nemici interni ed esterni.

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