Il documento non è di facile lettura, non solo e non tanto per i temi trattati ma anche per lo stile di scrittura di Paolo Savona, piuttosto involuto. L'incipit non è dei più felici:
«L’Europa unita trova il suo fondamento nel principio affermatosi nella convivenza civile tra i popoli che se si muovono le merci non si muovono le armi. L’esperienza dell’abbattimento delle barriere doganali vissuta dal Trattato di Roma in poi è stata altamente positiva per la pace e il benessere delle popolazioni europee.»
Una minima conoscenza della storia ci informa esattamente del contrario: quasi tutte le guerre dell'età moderna, e molte (ma in misura inferiore) del passato, hanno avuto origine in contrasti per la spartizione dei mercati.
Dopo una diagnosi dei mali dell'UE e dell'euro Savona accenna ai comportamenti poco cooperativi di alcuni paesi:
«Per agevolare l’adesione di paesi, come l’Italia, desiderosi di entrare nell’euro fin dall’inizio, fu introdotta la “clausola della convergenza”. I paesi che all’epoca della decisione già superavano il 60% nel rapporto debito pubblico/PIL avrebbero dovuto crescere a saggi più elevati degli altri per validare la solvibilità del loro debito sovrano. Ciò sarebbe potuto accadere se i paesi eccedentari avessero espanso la domanda aggregata – una necessità che la basa crescita media sperimentata negli anni 1990 ha reso più pressante – ma il rispetto dei due parametri fiscali restrittivi ha imposto politiche deflattive, peggiorando la sostenibilità del loro debito.»
Capite cosa intendo quando parlo di stile involuto? In sostanza Savona ci dice che la soluzione, per un paese come l'Italia che è entrato con un debito al 113%, sarebbe dovuta essere la crescita, ma questa non c'è stata in misura sufficiente sia perché i paesi in surplus non hanno espanso la loro domanda aggregata, sia perché oltre al parametro del 60% sul debito l'Italia doveva rispettare anche quello del 3% sul deficit. La tesi dominante è stata che, in mancanza di una sufficiente domanda aggregata, si dovesse agire sul lato dell'offerta, ma queste politiche, è sotto gli occhi di tutti, non hanno sortito gli effetti desiderati. A questo punto Savona lancia l'allarme:
«Gli enti pubblici e privati di ricerca avanzano previsioni di una caduta generalizzata del saggio di crescita reale, per ora stimata in lieve misura, in una situazione in cui l’inflazione, avendo raggiunto il tetto del 2% programmato, induce la politica monetaria ad avviare un’azione di rientro nella normalità che coinvolge i tassi dell’interesse e le quantità di base monetaria.»
Insomma il QE sta per finire mentre le politiche tariffarie degli USA cominciano ad avere effetti, e da ciò emerge per Savona la necessità di agire subito, di fare presto.
«Per una nuova politica economica basta rendere espliciti gli strumenti da attivare per raggiungere gli obiettivi indicati nei Trattati esistenti, mentre per le modifiche di architettura istituzionale occorrono nuovi accordi, anche se più difficili da attuare. Si inizi quindi dalle prime e le seconde verranno di conseguenza.»
Sul piano metodologico siamo alla riedizione di una scelta già fatta, prima la moneta e poi le istituzioni politiche, i cui esiti non sono stati particolarmente felici. Una confessione:
«Vi era coscienza delle profonde diversità allora esistenti tra i paesi firmatari, che si sono accresciute con l’ingresso dei paesi liberatisi dal vincolo sovietico, ma si riteneva che criteri così rigidi avrebbero costretto le economie dei paesi membri a convergere. Queste aspettative non si sono realizzate per alcuni paesi membri, nonostante la flessibilità nell’applicazione;»
e l'augurio di un "vaste programme":
«Affinché questa unione si possa realizzare in futuro, è necessario educare i giovani, oltre che istruirli, dando vita a una scuola europea di ogni ordine e grado nella quale trovi spazio una comune cultura, mantenendo viva la coscienza dell’immenso patrimonio culturale di cui dispongono tutti i paesi membri, come stabilisce il Trattato. Fatta l’Europa si devono fare gli europei. Il perno essenziale è la scuola, come testimonia il successo presso i giovani, gli abitanti dell’Europa futura, del progetto Erasmus.»
Savona prosegue esponendo una critica ben nota:
«Per quanto concerne l’esercizio della funzione di lender of last resort, la BCE è vincolata dalla proibizione di creare base monetaria attraverso il canale Tesoro e da altri condizionamenti, ai quali essa aggiunge quello di sottoporre i suoi interventi a vincoli sull’esercizio della sovranità fiscale nazionale in linea con l’impostazione della politica economica dell’Unione Se i poteri di intervento contro la speculazione fossero veramente pieni, gli spread tra rendimenti dei titoli sovrani si dovrebbero azzerare.»
Si tratta del divieto alla BCE di finanziare direttamente gli Stati (divieto aggirato da Draghi ricorrendo ad acrobazie che hanno profondamente irritato i paesi core) con l'aggravante che le condizionalità fiscali imposte agli Stati in deficit hanno agito in direzione opposta agli stimoli monetari.
«Molto più delicato da trattare sul piano della politica monetaria è lo svolgimento degli interventi da lender of last resort se si vuole che lo strumento risponda veramente all’istanza di essere non solo whatever it takes, ma anche operi in time... I vincoli di quantità, di proporzionalità tra paesi membri (la capital key che immette base monetaria anche dove non è necessario, come acquistando titoli di Stato olandesi e tedeschi) e di qualità delle attività finanziarie oggetto di intervento sono il risultato dello Statuto posto a base della sua azione. Sarebbe pertanto necessaria una razionalizzazione dei poteri sul piano istituzionale per fronteggiare i futuri attacchi speculativi in maniera più tempestiva ed efficiente.»
Giustamente Savona osserva che gli acquisti di titoli di Stato operati dalla BCE non seguono, per i vincoli presenti nei Trattati, il criterio di essere orientati agli Stati che più ne hanno bisogno, ma rispondono a quello della "capital key", ossia sono proporzionali ai pesi relativi delle singole economie nazionali, col risultato che si crea poca base monetaria dove è necessaria e troppa dove non è necessaria. Una disfunzione di grande importanza, alla cui correzione si oppongono ovviamente i paesi fratelli della zona core. I quali, anzi, premono affinché l'azione di creazione di base monetaria aggiuntiva, e necessaria ad evitare la recessione nei paesi in deficit, abbia termine. Il problema qui è la competizione per la conquista dei mercati (ricordate? se si muovono le merci non si muovono le armi):
«Non vi sarà mai competizione corretta (fair competition) nell’eurozona finché le imprese di un paese avranno un costo del danaro permanentemente più elevato rispetto a quelle di un altro paese per motivi diversi dalle loro specifiche inefficienze, ma derivanti semplicemente dall’essere uno Stato membro la cui denominazione del debito sovrano non è nella moneta che esso crea ed è quindi esposta al rischio sovrano.»
Savona critica anche la proposta di creare un fondo europeo per gli interventi, essendo anch'essa sottoposta a un vincolo analogo alla capital key, in quanto «... oltre a disporre di risorse insufficienti, ha il duplice difetto di riproporre la parametrizzazione degli interventi, invece di valutare caso per caso secondo una visione politica comune.»
Inoltre, essendo tali interventi sottoposti alla condizione di attuare politiche di drenaggio fiscale, si avrebbe un «meccanismo rigido nell’applicazione e con effetti deflazionistici.». Preoccupato per la possibilità di una dissoluzione dell'eurozona, Savona propone di «creare un meccanismo che non abbia implicazioni deflazionistiche»
Dopo altre ridondanti riflessioni, in sostanza ripete quanto ha già scritto, Savona arriva al dunque: servono investimenti:
«Lo strumento principale di una politica della domanda coerente con quella dell’offerta a livello UE è quella degli investimenti infrastrutturali di interesse comune. Lo stesso vale per gli investimenti di interesse nazionale.»
Tuttavia, prosegue Savona, «Se l’UE non intende, né può decidere a causa di vincoli politici, una guida fattiva di questi investimenti debbono farlo tempestivamente i paesi membri».
Condizione per la loro efficacia è «1. un’esatta conoscenza dei moltiplicatori della spesa di questo tipo, 2. una diversa considerazione temporale dei due parametri fiscali e 3. una diversa registrazione contabile rispetto a quella vigente.»
Insomma si devono scegliere gli investimenti che producono alti moltiplicatori keynesiani (il reddito generato deve essere molto maggiore della spesa), si deve consentire un maggiore deficit in attesa che il ritorno degli investimenti produca il reddito atteso che permetterà il rientro, infine la registrazione contabile degli investimenti deve scorporare il loro valore patrimoniale (se spendo per acquistare una casa non è che sono più povero) dall'ammortamento (la casa col tempo perde valore per invecchiamento) iscrivendo a deficit solo quest'ultimo: «Solo una quota parte di questa spesa, pari all’ammortamento del bene investito, dovrebbe confluire nel conto entrate e spese dello Stato, come parte rilevante del disavanzo corrente di bilancio.»
Secondo Savona «A tal fine non è necessaria una modifica del Trattato, perché, come si è già indicato, è sufficiente una più attenta interpretazione degli accordi di Maastricht, peraltro già praticata in casi nazionali, come quello seguito per agevolare l’unificazione tedesca e altri casi come quelli affrontati nel corso della recente Grande Recessione.»
Nascosto tra le righe segue un attacco al Fiscal Compact:
«Siffatta impostazione comporta che l’iniziativa sulla domanda aggregata deve essere guidata dalla regola aurea di un sistema di crescita stabile: la percentuale di disavanzo del bilancio non deve essere superiore al saggio di crescita nominale del PIL che ne risulta. Se si pone a carico dell’applicazione di questa regola il principio di produrre avanzi di bilancio per ridurre il rapporto debito pubblico/PIL con effetti deflazionistici, la divaricazione degli itinerari di sviluppo dei paesi che si trovano al di sotto della soglia del 60% del rapporto debito pubblico/PIL e di quelli che si trovano al di sopra comporta conseguenze pericolose per la stabilità dell’euro e la coesione socio-politica.»
Tradotto dal savonese: nell'UE non si possono fare politiche keynesiane (investimenti in deficit ad alto moltiplicatore) e contemporaneamente ridurre il debito (fiscal compact), perché ciò creerebbe una forte e pericolosa asimmetria tra i paesi con basso debito pubblico e paesi con alto debito pubblico.
Ma per disinnescare il fiscal compact il problema è convincere la Germania, e qui arriva l'alzata di ingegno di Savona (grassetto aggiunto):
«Se i timori dei paesi membri creditori che ostacolano la definizione di una politica fiscale fossero dovuti al rischio temuto da alcuni paesi di doversi accollare il debito altrui, esistono le soluzioni tecniche per garantire che ciò non avvenga. Si tratta di attivarle in pratica effettuando scelte politiche, come quelle di concordare un piano di rimborsi a lunghissima scadenza e ai tassi ufficiali praticati, fornendo una garanzia della BCE fino al rientro nel parametro del 60% rispetto al PIL, in contropartita di una ipoteca sul gettito fiscale futuro o di proprietà pubbliche in caso di mancato rimborso di una o più rate. Ossia decidere quello che si sarebbe dovuto fare prima dell’avvio dell’euro. Ovviamente tra le clausole di un siffatto accordo vi sarebbe anche quella che il disavanzo di bilancio pubblico si collochi in modo dinamico entro la regola indicata di coerenza rispetto al saggio di crescita nominale del PIL e quindi non comporti un nuovo superamento del rapporto debito pubblico/PIL.»
Che dire di una proposta simile? Credo che un buon commento, temo purtroppo parziale, possano essere le seguenti parole di Federico Caffè:
«Vorrei aggiungere che, se per miracolo qualche risultato si dovesse raggiungere, ma andasse nel senso di un avvicinamento della nostra situazione a quella, poniamo, della Germania, non è questo il destino che augurerei al mio paese. Si tratta, infatti, di una situazione in cui i lavoratori, pur godendo di un certo benessere, sono in una posizione fortemente subalterna. Non credo, in altri termini, che il risanamento della bilancia dei pagamenti e un riassetto dell’economia, senza l’introduzione di veri elementi di socialismo, sia qualcosa che vale, un traguardo degno di essere indicato alla società italiana. Se ci mettessimo su questa strada, tradiremmo per la seconda volta gli ideali della Resistenza. Non vorrei apparire retorico. Ma tradiremmo l’ideale di costruire un mondo in cui il progresso sociale e civile non rappresenti un sottoprodotto dello sviluppo economico, ma un obiettivo coscientemente perseguito.»
Parziale perché (ma di ciò parlerò in altra occasione) anche ammesso che la Germania acconsenta al piano di Savona, possiamo star certi che ci chiederà un prezzo altissimo, avendo al suo arco lo strumento per ricattarci in ogni momento. Le basterebbe frenare la sua già stitica crescita per mandarci in crisi e passare all'incasso dell'«ipoteca sul gettito fiscale futuro o di proprietà pubbliche» A quel punto sarebbero guai seri, ma qualcuno potrebbe esserne contento: avrebbe, finalmente, la sua agognata Sollevazione!
Solo col rischio di esserne il bersaglio.
Mi vengono i brividi!
RispondiEliminaCosa sta spingendo Savona a rilanciare quello che nei fatti è una sorta di ERF (european redemption fund)?
Ne parlava Messora già nel 2012
https://www.youtube.com/watch?v=r7nWuS2l5iA