martedì 5 maggio 2020

Le 7 regioni blu

Piazza Affari: dalle stelle alle stalle - all times
Ho scaricato il documento ufficiale dell'Istat sulla mortalità in Italia nei prime tre mesi del 2020. Per il momento la mia attenzione si è focalizzata sulla "Tabella 1. Decessi per il complesso delle cause e per Covid-19(a) nel primo trimestre 2020, confronto con la media per lo stesso periodo del 2015-2019, classe di diffusione dell’epidemia, regione, ripartizione e Italia", che trovate a pagina 8 dello stesso, che riporto qui.


Ho estratto e riorganizzato i dati della tabella riportandoli in un foglio di calcolo. 


Ho infine ordinato i dati in sulla colonna dei decessi a causa del morbo, ricavandoli a partire dalla percentuale di mortalità che l'Istat ascrive ad esso. Ciò fatto, ho evidenziato le 7 regioni nelle quali il numero assoluto di decessi è stato maggiore (come pure l'incremento percentuale tra il 20 febbraio e il 31 marzo 2020 rispetto alla media dei cinque anni precedenti, con l'eccezione della Val d'Aosta). Le regioni in questione sono quelle in blu, mentre in rosso è riportato il numero dei decessi ascritti al morbo, il cui totale somma 12997. Il totale delle restanti regioni (dati in verde), che comprende anche la Val d'Aosta, somma 945. Dunque a fine marzo, in Italia, c'erano stati 13.942 morti a causa del morbo. Ovviamente bisogna tener conto del peso demografico delle suddette 7 regioni.

Lombardia 10.018.806
Emilia-Romagna 4.448.841
Piemonte 4.392.526
Veneto 4.907.529
Liguria 1.565.307
Marche 1.538.055
Trentino-Alto Adige 1.062.860

Il totale fa 27.933.924 pari al 46% della popolazione italiana. E dunque nelle regioni con il 46% della popolazione si è verificato, nel mese di marzo 2020, il 93% dei decessi a causa del morbo, e solo il 7% nelle regioni con il restante 54% di popolazione. Teniamolo a mente, ci servirà più avanti.

Tornando alla tabella 1 dell'Istat, osserviamo che viene riportata la variazione di decessi per ogni causa nei mesi di gennaio-febbraio 2020, rispetto alla media degli stessi nei cinque anni precedenti. In questa colonna si può rilevare una netta diminuzione della mortalità rispetto al passato, il che ci induce a pensare che il virus, ammesso che questo sia responsabile del picco di marzo 2020, almeno fino alla metà di febbraio non circolava in Italia, oppure che la sua circolazione era ridotta. Come è noto, la segregazione sociale spinta è cominciata il 9 marzo, quando il Presidente del Consiglio Conte parlò in televisione di 463 morti (oggi il conto ufficiale si avvicina alle 30.000 vittime). Poiché il tempo di incubazione è stimato nel range 5-15 giorni, possiamo supporre che il virus sia stato libero di circolare per almeno 15 giorni in tutta Italia, mentre nelle zone rosse come Codogno - prima in Italia il 24 febbraio 2020 - evidentemente era arrivato prima. Tutto questo ci porta alla domanda fondamentale: che cosa è successo nelle 7 regioni blu? Perché un virus, che dovrebbe essere lo stesso in ogni regione, si diffonde così rapidamente solo nelle 7 regioni blu mentre al centro-sud manifesta un comportamento completamente diverso?

Il ragionamento testé fatto, ovvero che il virus si è diffuso intorno alla metà di febbraio quando non vi era ancora un grande allarme, unitamente al range di incubazione, non può essere facilmente contestato invocando proprio le misure di segregazione sociale, che sono arrivate alcune settimane più tardi, specialmente se si tiene conto delle condizioni di vita reale - diciamolo: promiscue - in molti quartieri degradati delle città del centro-sud. Il contagio avrebbe dovuto diffondersi al centro-sud di pari passo con quanto accadeva nelle 7 regioni blu. Nulla di tutto ciò è avvenuto.

Resta in piedi una sola spiegazione, che potrà essere smentita solo ed esclusivamente da un'eventuale risalita dei contagi e della mortalità anche al centro-sud (oltre che al nord, ovviamente) in concomitanza con l'allentamento delle misure di segregazione sociale. Se ciò dovesse avvenire, allora bisognerà prendere sul serio la tesi della loro efficacia, ma, fino a quando ciò non sarà confermato da ulteriori dati, resta in piedi una lettura diversa, quella che ascrive ai comportamenti delle autorità sanitarie, per imperizia o dolo, ma anche entrambi, la responsabilità della strage di anziani nelle 7 regioni blu.

Non è una questione secondaria perché, in assenza di dati attendibili sul numero di contagiati asintomatici, l'unico numero in base al quale valutare la pericolosità del morbo è il numero dei morti. Il dato che salta più agli occhi è la loro provenienza, in gran parte anziani ospitati nelle RSA, e in secondo ordine la rapida ospedalizzazione di quanti, nel clima di panico crescente, manifestavano il più piccolo sintomo. Tutte persone esposte al contagio e, per sovrappiù, curate in modo errato, come è emerso nelle ultime settimane di aprile.  Affinati i protocolli di cura, la letalità del morbo è calata bruscamente, aiutata in ciò da quello che chiamo, vogliate scusarmi, il fenomeno delle foglie secche. Ovvero che le persone più fragili, ormai giunte al termine della loro vita, sono destinate a morire al primo colpo di vento, quale che sia la sua provenienza. Dalle mie parti i vecchi, onorata classe nella quale sono appena entrato, dicono che se si passa aprile la si è scampata.

Ma non è tutto, perché è agli atti la circostanza che, proprio nelle 7 regioni blu, in particolare in Lombardia, e soprattutto nei comuni con i più assurdi tassi di mortalità, nei mesi di novembre e dicembre 2019 gli anziani, in particolare gli ospiti delle RSA, sono stati sottoposti a una duplice campagna di vaccinazione anti influenzale e anti pneumococco (meningite). Non è, questa, una circostanza secondaria, stante il fatto che le autorità sanitarie inglesi (non la clinica privata Pizza&Fichi) hanno riconosciuto la correttezza di studi che asseverano un incremento di mortalità del 40% nei soggetti vaccinati, quando entrano in contatto con ceppi virali nei cui confronti i vaccini non producono immunità specifica.

A tal proposito c'è, nei dati prodotti dall'Istat, un indizio che dovrebbe essere approfondito: la presenza tra le 7 regioni blu della Liguria. Si tratta di una regione in cui migliaia di anziani, provenienti in gran parte dalla Lombardia, vanno a svernare, per cui sorge il sospetto che molti dei 369 morti del mese di marzo, ascritti al morbo, possano appartenere a questa categoria, ed eventualmente essere stati sottoposti alla doppia vaccinazione nei mesi di novembre-dicembre 2019. Credo che un'analisi più approfondita su quanto è accaduto in Liguria nel mese di marzo sia opportuna.

Un'ultima nota critica, relativamente ai dati riportati nella tabella 1 dell'Istat. La mortalità nel periodo gennaio-febbraio 2020, come pure quella nel mese di marzo 2020, viene confrontata con le medie negli stessi periodi dei cinque anni precedenti. Il procedimento è corretto, ma deve anche essere osservato che, nei cinque anni precedenti, vi sono stati scostamenti sensibili rispetto a tali medie. Un confronto tra il numero di decessi per regione nei mesi di gennaio-febbraio-marzo rapportati alla stagione con maggiore morbilità negli ultimi cinque anni - se non erro il 2017/2018 - potrebbe condurci a risultati sorprendenti. Ad esempio scoprire che, regolarmente, le 7 regioni blu presentano tassi di mortalità superiori alle altre, come pure che lo scostamento della stagione 2020 non è poi così grande, magari tenendo conto degli errori terapeutici e organizzativi che sono stati fatti sull'onda di uno stato emotivo alimentato all'unisono, e in modo ipertrofico, dai media, a partire dall'inizio di gennaio. Una circostanza, quest'ultima, che converrà analizzare non solo con un approccio numerico ma, soprattutto, politico. 

Era il 3 febbraio 2020, ben prima dell'apertura (scusate l'ossimoro) della prima zona rossa a Codogno, quando mi decisi a documentare un andazzo comunicativo che andava avanti da settimane. Enjoy it.


1 commento:

  1. Mi sono imbattuto in questo articolo, non so se possa significare qualcosa. Forse solo correlazione temporale. https://www.araberara.it/meningite-vaccino-gratuito-a-tutti-i-cittadini-fino-a-60-anni-nei-comuni-vicini-a-villongo-e-predore-elaborato-un-piano-operativo-con-ats-di-bergamo-e-brescia/24678/

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