venerdì 15 maggio 2020

Perché sono diventato un casalingo


Me lo chiede spesso mia moglie, meravigliandosi: "ma come hai fatto a diventare così casalingo, tu che stavi sempre in giro?". Ebbene, questo video lo spiega. Perché dovrei uscire? Per incontrare questo esercito di topi? Non vedete l'orrore? 

Me ne sto a casa, barricato con le mie gallinelle che ogni giorno mi fanno un ovetto a testa, poi se devo uscire lo faccio avventurandomi nella boscaglia a due passi da casa, da solo.

Mettiamo da parte la questione della donna aggredita perché non porta la mascherina - non so nemmeno se in Campania sia obbligatorio - e concentriamoci sull'affollato lungomare di Salerno. Passeggiare tra quei mostri? Essere parte di quell'orrenda orda? No signori, e vi spiego perché. Vedete, se io fossi convinto della reale pericolosità del virus così come ce la raccontano, non andrei tra la folla e baderei bene di evitare ogni contatto non necessario, e credo che così farebbero tutti. Ma il lungomare è stracolmo, quindi nessuno ha veramente paura, eppure l'ordine al quale tutti si attengono è quello di sembrare dei topi, un'esibizione alla quale non voglio partecipare per ragioni estetiche.

Ho un'alta considerazione del valore estetico dell'agire umano, altrettanto importante di quello etico, anzi penso che tra essi ci sia un legame, per cui faccio di tutto per risparmiare alla mia persona la degradante rappresentazione di una così insopportabile bruttezza. Mi fossi trovato, per accidente, ad affacciarmi su quel lungomare, sarei immediatamente fuggito, oppure, se costretto dalle circostanze, l'avrei percorso a testa bassa e passo veloce per allontanarmene il prima possibile, ma certo non sceglierei un simile contesto per una passeggiata.

Le poche volte che esco porto con me, a portata di mano, un'ormai consunta mascherina, indossandola solo alla vista dei topi, ma mi allontano subito da essi per riprendere a camminare da solo. Io sono un uomo, discendo da una razza di solitari cacciatori-raccoglitori, posso vivere da solo se l'alternativa infligge al mio senso estetico ferite mortali. Ma il mondo sta mostrando ai miei occhi impietriti una bruttezza che non sospettavo potesse nascondere, ciò che mi ha procurato un trauma, per l'appunto estetico, al quale sopravvivo con fatica e che mi accompagnerà per il tempo della mia appena conosciuta vecchiaia.  Ricordo i tempi della gioventù quando tutto mi appariva bellissimo, anche le donne erano straordinariamente più belle, e i sapori, e il fascino delle persone, le mille cose che ho vissuto con gioia o dolore, comunque con passione, e tento di riportare alla mente i primi accenni di cambiamento, le prime crepe di quella straordinariamente bella rappresentazione del mondo che albergava nella mia mente. Ne ricordo alcune, un nulla rispetto all'orrore del tempo presente, che pure mi procurarono dolore. Ma quello cui assisto oggi, la viltà che si è aggiunta infine all'avidità, alla soperchieria, alla stupidità, alla mancanza di onore che piano piano, nel corso degli anni, avevano intristito il mio sguardo, è davvero un "troppo" insopportabile.

Ecco perché, moglie mia, non esco più di casa, e quando lo faccio...

Solo et pensoso i più deserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio human l’arena stampi.

Altro schermo non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger de le genti,
perché negli atti d’alegrezza spenti
di fuor si legge com’io dentro avampi:

sì ch’io mi credo omai che monti et piagge
et fiumi et selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch’è celata altrui.

Ma pur sì aspre vie né sì selvagge
cercar non so ch’Amor non venga sempre
ragionando con meco, et io co·llui.

1 commento:

  1. Caro Fraioli, mi permetta una citazione dallo stesso autore, che visse in tempi di peste, sostenne Lorenzo di Cola, detto Cola di Rienzo (che mi fa venire in mente Alberto Savastano), e capì che "quanto piace al mondo è breve sogno":

    Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono
    di quei sospiri ond’io nudriva ’l core
    in sul mio primo giovenile errore
    quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono,

    del vario stile in ch’io piango et ragiono
    fra le vane speranze e ’l van dolore,
    ove sia chi per prova intenda amore,
    spero trovar pietà, nonché perdono.

    Ma ben veggio or sì come al popol tutto
    favola fui gran tempo, onde sovente
    di me medesmo meco mi vergogno;

    et del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto,
    e ’l pentersi, e ’l conoscer chiaramente
    che quanto piace al mondo è breve sogno.

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