Nel post precedente ho parlato in video, non so con quanta efficacia divulgativa, del conflitto tra creditori e debitori. Provo oggi a farlo, spero meglio, con la scrittura.
Per la maggior parte si tratta di cose note, sebbene l'informazione mainstream continui, imperterrita, a propagandare una ricostruzione vergognosamente falsa dei fatti. Lo scopo di questo scritto non è quello di dire cose particolarmente originali, semmai quello di farlo nel modo più chiaro, e comprensibile ai più, che mi sia possibile.
L'indebitamento nasce quando un soggetto ha bisogno di finanziamenti e trova un altro soggetto disposto a fargli credito. Alla base della necessità di indebitarsi c'è il fatto che il proprio reddito non è sufficiente. Gli italiani sono stati a lungo uno dei popoli con maggior propensione al risparmio, ma questo dato si è modificato sensibilmente nel corso del tempo. Il grafico sottostante, della Banca d'Italia (fonti: EUROSTAT, ONS, BEA) dimostra, senza ombra di dubbio, questa affermazione.
La lieve risalita dopo il 2000 non deve trarre in inganno. Essa non significa che l'indebitamento delle famiglie italiane diminuiva, ma solo che cresceva più lentamente. In effetti il grosso del danno lo si era fatto nello sforzo di entrare nell'euro, dal 1996 al 1998. Una vera picchiata.
Il risultato è stato un aumento del debito medio delle famiglie da 8.312€ nel 2001 a 19.916€ nel 2012, con un incremento del 139,6% (fonte: cgia Mestre su dati ISTAT e Banca d'Italia)
Non voglio entrare nella discussione, per me paradossale, se l'aumento dell'indebitamento delle famiglie italiane abbia una spiegazione macroeconomica oppure moralistica. Non mi interessa, almeno in questa sede, sebbene sia profondamente convinto del fatto che le cause di natura morale abbiano un ruolo marginale nella spiegazione delle dinamiche macroeconomiche. Né voglio, in questo articolo, prendere in esame il ruolo delle ideologie e delle visioni del mondo delle forze politiche in campo, sebbene io stesso consideri questi aspetti estremamente importanti. E' un fatto che le ideologie alternative riprendono fiato allorché lo stato delle cose, imposto dall'ideologia dominante, entra in crisi; ma non è di questo che voglio parlare oggi.
Mi interessa, invece, esaminare un dato molto più banale ma altrettanto importante, ovvero che quando aumentano i debiti aumentano anche i crediti. Ora è anche un fatto che i soggetti creditori si trovino per lo più nel nord Europa e i soggetti debitori nel sud. Ma non esclusivamente!
In effetti il conflitto tra i creditori (interessati a riavere indietro i loro prestiti) e i debitori (interessati a pagare di meno e/o dilazionando nel tempo) non deve necessariamente essere interpretato secondo una logica nazionale. Questa lettura è corretta, e porta a conclusioni ben note, ma pone in ombra un elemento cruciale: anche nei paesi indebitati, i PIGS, sono forti, e ben rappresentati politicamente, gli interessi dei creditori.
La situazione ricorda un po' il conflitto tra guelfi e ghibellini che divise l'Italia nel XII° e XIII° secolo, quando i liberi comuni italici entrarono in conflitto con il Sacro Romano Impero e, per difendere la loro libertà, scelsero di allearsi con il papato. Non tutti, però. Non furono poche le città che aprirono le porte agli imperatori germanici, per ragioni di interesse o per ostilità nei confronti dei vicini.
Il conflitto tra creditori e debitori si gioca sull'ipotesi di uscita dall'euro, con conseguente svalutazione. Il vantaggio per i debitori sarebbe un abbattimento immediato, pari al tasso di svalutazione, dello stock di debito, e un rilancio immediato della competitività dei sistemi paese cui questi appartengono. Il danno, per i creditori, è simmetrico: perdita di valore dei crediti e immediata erosione dei vantaggi commerciali.
Che la fine dell'euro possa produrre un disastro economico di dimensioni gigantesche, forse planetarie, è un timore fondato, così come è certo che la pretesa dei creditori di avere la loro libbra di carne, cioè recuperare senza se e senza ma tutti i loro crediti equivale, per i debitori, alla morte economica e alla fine della libertà.
Un approccio razionale è stato proposto dal Manifesto di solidarietà europea. In esso si sostiene che il modo migliore per smontare l'euro consiste nell'uscita dei paesi più competitivi, con in testa la Germania. Così facendo i debiti resterebbero denominati in euro, sebbene il nuovo marco tedesco, rivalutandosi (se preferite: l'euro, senza la Germania, svalutandosi), avrebbe l'effetto di abbattere lo stock. Si eviterebbero, in tal modo, sia il proliferare di infiniti contenziosi legali, sia svalutazioni/rivalutazioni differenziate e, in alcuni casi, di grossa entità. Inoltre una scelta del genere avrebbe l'effetto di frazionare sia il fronte dei creditori che quello dei debitori, perché alcuni di essi resterebbero nell'Unione senza la Germania e gli altri paesi competitivi, altri ne sarebbero fuori.
Questa proposta è rimasta fuori dal dibattito politico per le europee soprattutto per responsabilità dei creditori. Questi sembrano non avere alcuna intenzione di rinunciare alla loro libbra di carne, e insistono per ottenere garanzie certe. La strategia che si sta delineando, che potrebbe emergere dopo le elezioni europee, consiste nel mettere al sicuro una parte rilevante dei crediti attraverso un nuovo trattato, il Redemption Fund (ERF), che imporrebbe ad ogni paese la cessione della quota del debito pubblico, eccedente il 60% del PIL, a un'istituzione finanziaria europea allo scopo costituita. Questa istituzione agirebbe come un vero e proprio soggetto privato, collocando sul mercato i titoli di Stato ad essa conferiti, con la garanzia del riscatto e del pagamento degli interessi, da parte degli Stati, legata a un meccanismo automatico di prelievo sul gettito IVA, sulle riserve auree e sugli assets pubblici di maggior pregio (per l'Italia: ENI, Finmeccanica, Poste, ENEL...). Così facendo, in caso di uscita dall'euro di un paese debitore, una parte rilevante dei suoi debiti (per l'Italia oltre 1000 miliardi) resterebbe denominata in euro.
L'ERF è un meccanismo che avrebbe l'effetto di garantire i creditori, massimamente quelli residenti nei paesi del nord, ma anche quelli residenti nei paesi debitori. L'enorme quantità di titoli di Stato che si trovano nei conti dei maggiori istituti bancari italiani verrebbe, ad esempio, preservata dal rischio deprezzamento successivo ad un uscita unilaterale del nostro paese.
La politica italiana può oggi essere letta, e interpretata, alla luce del conflitto tra creditori e debitori, sia che questi siano raggruppati su base nazionale, sia che li si consideri come classi trasversali ai confini nazionali. L'interesse dei creditori è quello di mantenere il conflitto sul piano europeo, attraverso la predisposizione di strumenti comuni come il Fiscal Compact, l'ESM, l'ERF, che hanno lo scopo di difendere i loro interessi. Per i debitori la strategia è opposta: nell'impossibilità di affrontare con successo i creditori sul campo vasto delle istituzioni europee, essi hanno interesse a condurre il confronto su basi nazionali. Soprattutto nei paesi nei quali le sofferenze inflitte alle popolazioni dalla crisi economica, nonché dalle pretese dei creditori di avere la loro libbra di carne, offrono maggiori possibilità di vittoria. Infatti la fragilità della costruzione europea è tale che anche un successo parziale del fronte dei debitori, in paesi come la Francia o l'Italia, ne causerebbe il collasso.
Vi è, tuttavia, un rischio concreto, rappresentato dalla possibilità che l'entità della posta in gioco (parliamo di migliaia di miliardi) possa aver già spinto il fronte dei creditori all'adozione di tattiche non convenzionali di lotta politica. Ovvero che qualche forza politica, apparentemente favorevole all'uscita dall'euro, o così descritta dalla più becera informazione politica del mondo sviluppato (e non solo), sia in realtà una creatura al servizio dei loro interessi. Contro questo rischio esiste un solo antidoto: la nascita di nuovi partiti che siano espressione reale degli interessi del fronte dei debitori, il cui collante non potrà non essere il richiamo alla sovranità nazionale.
L'ARS, l'associazione politica di cui faccio parte, si batte da tempo per il raggiungimento di questo obiettivo. L'8 giugno ci sarà la III assemblea nazionale, al Palacavicchi di Ciampino (RM). Siete tutti invitati.
Per la maggior parte si tratta di cose note, sebbene l'informazione mainstream continui, imperterrita, a propagandare una ricostruzione vergognosamente falsa dei fatti. Lo scopo di questo scritto non è quello di dire cose particolarmente originali, semmai quello di farlo nel modo più chiaro, e comprensibile ai più, che mi sia possibile.
Una premessa tecnica
L'indebitamento nasce quando un soggetto ha bisogno di finanziamenti e trova un altro soggetto disposto a fargli credito. Alla base della necessità di indebitarsi c'è il fatto che il proprio reddito non è sufficiente. Gli italiani sono stati a lungo uno dei popoli con maggior propensione al risparmio, ma questo dato si è modificato sensibilmente nel corso del tempo. Il grafico sottostante, della Banca d'Italia (fonti: EUROSTAT, ONS, BEA) dimostra, senza ombra di dubbio, questa affermazione.
Come si vede a partire dal 1996, anno in cui la propensione al risparmio raggiunse la vetta del 22%, l'Italia è precipitata a un misero 12% nel 2011. Nel 2013, dati dell'ISTAT, la propensione al risparmio delle famiglie italiane è ulteriormente scesa, fino a quota 9,8%.
Colpisce, per quanto riguarda l'Italia, lo scivolone dal 1996 al 1998. Degna di nota è anche la lieve risalita nei primi anni dell'euro. Ora cosa accadde dal 1996 al 1998? Semplice, la lira rivalutò del 15% circa per entrare nell'euro con il fatidico cambio di 1936,27.
In condizioni normali (quando cioè non è influenzata da fattori psicologici, come una forte preoccupazione per il futuro) la propensione al risparmio è crescente quando il reddito disponibile è maggiore perché gli individui, soddisfatti i loro bisogni necessari, tendono a tesoreggiare una quota più elevata del loro reddito. In effetti, nei primi anni dell'euro (dal 2000) si assiste a un recupero, in Italia, della propensione al risparmio, conseguenza del buon andamento dell'economia che godeva di un crescente flusso di crediti esteri. Il fatto che la propensione al risparmio sia risultata in ulteriore flessione nel 2013, a dispetto del clima di preoccupazione diffuso che dovrebbe spingerla al rialzo, la dice lunga sulla grave situazione di crisi e di povertà diffusa nel nostro paese.
La lieve risalita dopo il 2000 non deve trarre in inganno. Essa non significa che l'indebitamento delle famiglie italiane diminuiva, ma solo che cresceva più lentamente. In effetti il grosso del danno lo si era fatto nello sforzo di entrare nell'euro, dal 1996 al 1998. Una vera picchiata.
Il risultato è stato un aumento del debito medio delle famiglie da 8.312€ nel 2001 a 19.916€ nel 2012, con un incremento del 139,6% (fonte: cgia Mestre su dati ISTAT e Banca d'Italia)
Un ragionamento politico
Non voglio entrare nella discussione, per me paradossale, se l'aumento dell'indebitamento delle famiglie italiane abbia una spiegazione macroeconomica oppure moralistica. Non mi interessa, almeno in questa sede, sebbene sia profondamente convinto del fatto che le cause di natura morale abbiano un ruolo marginale nella spiegazione delle dinamiche macroeconomiche. Né voglio, in questo articolo, prendere in esame il ruolo delle ideologie e delle visioni del mondo delle forze politiche in campo, sebbene io stesso consideri questi aspetti estremamente importanti. E' un fatto che le ideologie alternative riprendono fiato allorché lo stato delle cose, imposto dall'ideologia dominante, entra in crisi; ma non è di questo che voglio parlare oggi.
Mi interessa, invece, esaminare un dato molto più banale ma altrettanto importante, ovvero che quando aumentano i debiti aumentano anche i crediti. Ora è anche un fatto che i soggetti creditori si trovino per lo più nel nord Europa e i soggetti debitori nel sud. Ma non esclusivamente!
In effetti il conflitto tra i creditori (interessati a riavere indietro i loro prestiti) e i debitori (interessati a pagare di meno e/o dilazionando nel tempo) non deve necessariamente essere interpretato secondo una logica nazionale. Questa lettura è corretta, e porta a conclusioni ben note, ma pone in ombra un elemento cruciale: anche nei paesi indebitati, i PIGS, sono forti, e ben rappresentati politicamente, gli interessi dei creditori.
La situazione ricorda un po' il conflitto tra guelfi e ghibellini che divise l'Italia nel XII° e XIII° secolo, quando i liberi comuni italici entrarono in conflitto con il Sacro Romano Impero e, per difendere la loro libertà, scelsero di allearsi con il papato. Non tutti, però. Non furono poche le città che aprirono le porte agli imperatori germanici, per ragioni di interesse o per ostilità nei confronti dei vicini.
Il conflitto tra creditori e debitori si gioca sull'ipotesi di uscita dall'euro, con conseguente svalutazione. Il vantaggio per i debitori sarebbe un abbattimento immediato, pari al tasso di svalutazione, dello stock di debito, e un rilancio immediato della competitività dei sistemi paese cui questi appartengono. Il danno, per i creditori, è simmetrico: perdita di valore dei crediti e immediata erosione dei vantaggi commerciali.
Che la fine dell'euro possa produrre un disastro economico di dimensioni gigantesche, forse planetarie, è un timore fondato, così come è certo che la pretesa dei creditori di avere la loro libbra di carne, cioè recuperare senza se e senza ma tutti i loro crediti equivale, per i debitori, alla morte economica e alla fine della libertà.
Un approccio razionale è stato proposto dal Manifesto di solidarietà europea. In esso si sostiene che il modo migliore per smontare l'euro consiste nell'uscita dei paesi più competitivi, con in testa la Germania. Così facendo i debiti resterebbero denominati in euro, sebbene il nuovo marco tedesco, rivalutandosi (se preferite: l'euro, senza la Germania, svalutandosi), avrebbe l'effetto di abbattere lo stock. Si eviterebbero, in tal modo, sia il proliferare di infiniti contenziosi legali, sia svalutazioni/rivalutazioni differenziate e, in alcuni casi, di grossa entità. Inoltre una scelta del genere avrebbe l'effetto di frazionare sia il fronte dei creditori che quello dei debitori, perché alcuni di essi resterebbero nell'Unione senza la Germania e gli altri paesi competitivi, altri ne sarebbero fuori.
Questa proposta è rimasta fuori dal dibattito politico per le europee soprattutto per responsabilità dei creditori. Questi sembrano non avere alcuna intenzione di rinunciare alla loro libbra di carne, e insistono per ottenere garanzie certe. La strategia che si sta delineando, che potrebbe emergere dopo le elezioni europee, consiste nel mettere al sicuro una parte rilevante dei crediti attraverso un nuovo trattato, il Redemption Fund (ERF), che imporrebbe ad ogni paese la cessione della quota del debito pubblico, eccedente il 60% del PIL, a un'istituzione finanziaria europea allo scopo costituita. Questa istituzione agirebbe come un vero e proprio soggetto privato, collocando sul mercato i titoli di Stato ad essa conferiti, con la garanzia del riscatto e del pagamento degli interessi, da parte degli Stati, legata a un meccanismo automatico di prelievo sul gettito IVA, sulle riserve auree e sugli assets pubblici di maggior pregio (per l'Italia: ENI, Finmeccanica, Poste, ENEL...). Così facendo, in caso di uscita dall'euro di un paese debitore, una parte rilevante dei suoi debiti (per l'Italia oltre 1000 miliardi) resterebbe denominata in euro.
L'ERF è un meccanismo che avrebbe l'effetto di garantire i creditori, massimamente quelli residenti nei paesi del nord, ma anche quelli residenti nei paesi debitori. L'enorme quantità di titoli di Stato che si trovano nei conti dei maggiori istituti bancari italiani verrebbe, ad esempio, preservata dal rischio deprezzamento successivo ad un uscita unilaterale del nostro paese.
La politica italiana può oggi essere letta, e interpretata, alla luce del conflitto tra creditori e debitori, sia che questi siano raggruppati su base nazionale, sia che li si consideri come classi trasversali ai confini nazionali. L'interesse dei creditori è quello di mantenere il conflitto sul piano europeo, attraverso la predisposizione di strumenti comuni come il Fiscal Compact, l'ESM, l'ERF, che hanno lo scopo di difendere i loro interessi. Per i debitori la strategia è opposta: nell'impossibilità di affrontare con successo i creditori sul campo vasto delle istituzioni europee, essi hanno interesse a condurre il confronto su basi nazionali. Soprattutto nei paesi nei quali le sofferenze inflitte alle popolazioni dalla crisi economica, nonché dalle pretese dei creditori di avere la loro libbra di carne, offrono maggiori possibilità di vittoria. Infatti la fragilità della costruzione europea è tale che anche un successo parziale del fronte dei debitori, in paesi come la Francia o l'Italia, ne causerebbe il collasso.
Vi è, tuttavia, un rischio concreto, rappresentato dalla possibilità che l'entità della posta in gioco (parliamo di migliaia di miliardi) possa aver già spinto il fronte dei creditori all'adozione di tattiche non convenzionali di lotta politica. Ovvero che qualche forza politica, apparentemente favorevole all'uscita dall'euro, o così descritta dalla più becera informazione politica del mondo sviluppato (e non solo), sia in realtà una creatura al servizio dei loro interessi. Contro questo rischio esiste un solo antidoto: la nascita di nuovi partiti che siano espressione reale degli interessi del fronte dei debitori, il cui collante non potrà non essere il richiamo alla sovranità nazionale.
L'ARS, l'associazione politica di cui faccio parte, si batte da tempo per il raggiungimento di questo obiettivo. L'8 giugno ci sarà la III assemblea nazionale, al Palacavicchi di Ciampino (RM). Siete tutti invitati.
L'euro non è un problema solo di cambio fisso (che innegabilmente porta ad un elevato indebitamento privato estero) ma anche di austerità sancita dai folli parametri di maastricht. Nel 96 non c'è solo la rivalutazione ma anche l'inizio della disciplina di bilancio.
RispondiEliminaCome si vede dal grafico, dal 96 al 2000 c'è il crollo dei deficit pubblici (ai piddini ma anche ai grillini bisognerebbe far notare che quando lo stato spende dall'altro lato c'è un privato che incassa) il cui andamento segue abbastanza fedelmente quello dei risparmi nel tuo grafico.
Bravo Fiorenzo, volevo già commentare la parte 1 ma non ho trovato il tempo, rimedio ora se posso.
RispondiEliminaHai fatto una buona esposizione dei fatti tuttavia sono un po' perplesso sull'argomento da te scelto per un comizio che presumo rivolto a gente comune, diguina di questi argomenti e con la testa farcita di euromenzogne.
Mi sembra che sei partito da un capitolo troppo avanzato; questa è materia "di terza", non "di prima" ;)
Io non sarei mai in grado di parlare in pubblico, faccio già fatica quando cerco di spiegare queste cose ad amici e conoscenti quindi non m sento di dirti cosa devi dire tu, c'è una marea di cose da dire e non è facile, io ti dico quali sono secondo me i punti fondamentali.
Partirei banalmente dall'evidenziare i danni irrevocabili che abbiamo subito dall'introduzione della valuta fissa, focalizzando il concetto che è falso parlare di svalutazione competitiva, le nostre svalutazioni le abbiamo subite, anche in passato, semplicemente perchè abbiamo tentato di bloccare artificialmente il valore di mercato della moneta e questo ha sempre creato dei crescenti scompensi nell'economia del paese, favorendo le importazioni a danno della produzione e dei redditi dell'intero paese. Da qui deriva il fatto che, in queste condizioni, per mantenere un briciolo di competitività estera non rimane che diminuire il salario e quindi il reddito dei lavoratori e a cascata diminuisce il reddito di tutti i cittadini e delle imprese perchè crolla il mercato interno.
Poi , secondo me, non è possibile non affrontare l'argomento del potere di emettere moneta propria, di cos'è veramente quello che tutti sbagliamo a chiamare Debbbito Pubblico. Chi lo ha emesso, perchè, come, quando.... (qui Barnard non sbaglia)
E chiuderei spiegando che non esiste alternativa concreta all'uscita dall'euro e che, per quanto possa spaventare, è inevitabile se vogliamo salvare il salvabile e che la cosa che più ci dovrebbe far paura è continuare in questa direzione. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, le aziende chiudono o trasferiscono all'estero o vendono la loro proprietà agli stranieri (che esporteranno nel loro paese gli utili e le tasse che dovevano alimentare la nostra economia). Qualche esempio concreto aiuta la comprensione:
ne cito uno, Goldel Lady, che ha delocalizzato l'intera produzione in Serbia e lasciato a casa quattrocento persone!...
L'altro giorno partendo dall'esempio della Golden Lady ho detto au un amico che vende giornali: " A te della G.L. non interessa nulla, anzi tua moglie forse può comperare le calze ad un presso più basso e tu vendi notizie e di quelle ce ne sono sempre MA prova a chiederti, se molte altre aziende seguiranno questo esempio e molta altra gente rimarrà di nuovo senza lavoro, se questa gente non avrà più reddito da spendere e faranno crollare l'economia chi comprerà più i tuoi giornali? Chi pagherà la parte di tasse che loro contribuivano a pagare? TU pagherai per loro, finchè non rimarrai anche tu senza lavoro perchè nessuno portà più acquistare i tuoi prodotti.
E' già successo, sta succedendo e continuerà a succedere.
Errare è umano, perseverare....
Il mio amico non ha più proferito parola.