Premessa
Una condizione X è necessaria, ma non sufficiente affinché si abbia Y, in questo senso: se Y è dato, allora necessariamente X è data, ma il fatto che X sia data non basta per avere Y.
Una condizione necessaria, ma non sufficiente, affinché si possa parlare di democrazia, è che il livello di ricchezza e/o di potere di nessun individuo, o gruppo di individui, sia troppo grande in rapporto agli ultimi della scala sociale. Tuttavia, anche quando questa condizione è data, ciò non implica che vi sia democrazia. Può esservi però anarchia, ovvero un assetto sociale molto poco organizzato nel quale ogni individuo è scarsamente dipendente dagli altri per il soddisfacimento dei propri bisogni. Dal che discende che ci si deve accontentare di consumare di meno. Questa è la logica sottesa all'ideologia decrescista. Ed è anche, eterogenesi dei fini, il quadretto idilliaco offerto in pasto ai semplici ma acculturati piddini per giustificare l'ordoliberismo europeo.
La realtà è più prosaica. L'aumento dei consumi, e dunque della produzione, rende necessario un proporzionale aumento dell'organizzazione sociale, la quale non può essere paritetica ma richiede la costruzione di gerarchie. Le gerarchie implicano la nascita di centri di potere, i cui potenziali arbitrii pongono un problema di democrazia. Le Costituzioni vengono scritte per consolidare, rendendolo "legale", un determinato assetto dei rapporti di forza sociali. Una Costituzione non è dunque una carta dei sogni, ma la fotografia di un sistema di rapporti di forza, e in quanto tale è imposta con la forza. Ogni Costituzione è coercitiva, la nostra del 1948 è la sintesi degli equilibri politici e geopolitici di quel tempo. Da ciò discende la necessità di non consentire modifiche alle Costituzioni per mezzo di procedimenti ordinari, altrimenti ogni maggioranza (50%+1) potrebbe farlo, vanificandone la funzione.
Le modifiche alle Costituzioni possono essere apportate solo attraverso maggioranze qualificate, non dimenticando mai che si tratta sempre di procedimenti straordinari che alterano il quadro regolatore dei reali rapporti di forza sociali sottostanti. Le modifiche a maggioranza qualificata sono il procedimento cui si ricorre per evitare che, cambiando i reali rapporti di forza sociali per il trascorrere del tempo, l'unica via percorribile sia il ricorso alla violenza. In Italia il processo di modifica della Costituzione è regolato dall'art. 138.
Articolo 138
Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione [cfr. art. 72 c.4].
Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare [cfr. art. 87 c.6] quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata [cfr. artt. 73 c.1, 87 c.5 ], se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.
Si noti che per "maggioranza assoluta" si intende un numero di voti superiore alla metà del numero totale degli aventi diritto. Il richiamo alla possibilità di evitare il referendum confermativo, quando le modifiche sono approvate dalla maggioranza dei due terzi degli aventi diritto in entrambe le camere, rafforza il carattere di eccezionalità di una modifica alla Costituzione.
Da quanto detto si evince che i reiterati tentativi di modificare la Costituzione posti in atto negli ultimi decenni, culminati con la riforma della Costituzione voluta da Renzi, sono lo specchio dei mutati rapporti di forza sociali sopravvenuti nel paese. Il percorso della riforma è stato preceduto da una serie di riforme elettorali, tutte in senso maggioritario, che hanno privato i cittadini dell'unico strumento capace di fare da contrappeso alla crescente concentrazione della ricchezza e del potere, fino allo scempio del porcellum.
I principali partiti politici protagonisti di quello che non è esagerato definire un atto di forza dei ceti dominanti sono stati: il Partito Democratico (nelle sue successive trasformazioni), Forza Italia (nelle sue diverse articolazioni), La Lega Nord.
Quanto detto non esaurisce il processo di stravolgimento della carta Costituzionale, che come ricordato fotografa e rende legale lo stato dei reali rapporti di forza sociali, perché ad esso è stato sovrapposto un secondo processo di modifica strisciante che consiste nel subordinare la Costituzione ad alcuni trattati internazionali, in particolare il Trattato di Maastricht (Trattato sull'Unione Europea - TUE - 1992), il Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea - TFUE - del 2008, più volte modificato a partire dall'originario Trattato di Roma del 1957, e il Trattato di Lisbona del 2009. Questo processo è stato nascosto alla consapevolezza dei cittadini mascherandolo con una narrazione edificante, il famoso "fogno europeo", di cui principali responsabili sono stati i partiti della cosiddetta sinistra radicale: SEL, PRC, Lista Tsipras e cespugli vari.
I due processi di modifica, esplicita e strisciante, della Costituzione del 1948, sono in gran parte completati. Essi fotografano uno stato delle cose per cui un blocco dominante costituito dagli interessi finanziari e industriali, appoggiato da una congerie di corpi intermedi (banche commerciali, PMI, sindacati, associazioni di categoria, consorzi) ai quali è stato demandato il compito di cooptare nell'operazione una miriade di altri interessi di minore entità colonizzati culturalmente dalla narrazione dominante, sostenuta a gran voce dai giornali e dalle televisioni completamente in mano ai gruppi finanziari e industriali, nonché dalla televisione pubblica controllata dai partiti, ha preso il controllo assoluto del nostro paese.
Ma qualcosa è andato storto. Accerchiare un esercito nemico non implica necessariamente aver vinto.
Divagazione
Oggi ho preso un caffè al bar del paese. Ce ne sono tre di bar, due ai lati della strada, il terzo a poca distanza. Mentre il ragazzo prepara il caffè gli dico "vengo qui perché il vostro caffè è più buono, e costa 80 centesimi, come negli altri bar; secondo te, se mettete il caffè a un euro guadagnate di più o di meno?". Lui mi guarda un po' sorpreso e mi fa "guadagneremmo di meno, molto di meno". E io "e magari, dopo un po', il vostro caffè non sarebbe più così buono, perché la macchina lavorerebbe di meno...". E lui "ci hanno rovinato".
L'intoppo
Le persone cominciano a capire che qualcosa non va. Non solo le persone semplici, come il ragazzo del caffè, ma anche una parte di quelli che ci hanno messo in questo pasticcio. Il nodo che sta venendo al pettine è l'unione bancaria, che dovrebbe istituire un meccanismo di garanzia a livello europeo, che è sì osteggiata dal grande capitale del nord Europa ma preoccupa, e non poco, anche una parte del capitale finanziario e industriale nostrano. Un meccanismo di garanzia a livello europeo implica necessariamente la reciproca trasparenza dei bilanci, dunque la fine di quel sistema opaco grazie al quale tutti si ingrassano. La strategia del grande capitale del nord Europa e di quello subordinato italiano è quella di posticipare l'entrata in vigore effettiva dell'unione bancaria, e nel frattempo impedire in ogni modo qualsiasi intervento dello Stato italiano in soccorso del nostro sistema bancario territoriale, con il fine evidente di appropriarsene prima, e solo dopo, a pasto concluso, aprire i propri bilanci ai controlli. I quali, a quel punto, sarebbero i controlli del grande capitale del nord Europa e dei suoi margravi su sé stesso! Geniale.
La difficile (o impossibile) riquadratura del cerchio
Se i margravi della marca italiana, per capirci le grandi banche e i gruppi industriali maggiori completamente internazionalizzati, possono comunque trarre vantaggio da ciò, lo stesso potrebbe non valere per i "vassalli minori". Il dubbio comincia ad insinuarsi, ma il problema è che le modifiche alla Costituzione, unitamente a quelle elettorali e all'accettazione del principio di subalternità della Costituzione ai trattati europei, hanno seriamente intaccato il principale baluardo difensivo, aprendo un varco al nemico. Niente cui non si possa rimediare suonando le nostre campane, ovvero chiamando a raccolta, per continuare in chiave metaforica, i "servi della gleba", ma il punto è che i vassalli minori sono oggi posti di fronte alla scelta tra la subordinazione al nuovo assetto europeo e l'alleanza con i ceti popolari, proprio quelli ai quali hanno sottratto reddito e diritti, credendo che ciò fosse nel loro interesse, fino al punto di creare una distorsione nel funzionamento sostanziale della democrazia.
La quale democrazia, lo abbiamo detto all'inizio del post, è sostanziale e non mera formalità se e solo se "il livello di ricchezza e/o di potere di nessun individuo, o gruppo di individui, è troppo grande in rapporto agli ultimi della scala sociale".
Il problema di una riscossa democratica e nazionale è dunque squisitamente politico. Questa sarà possibile solo se quelli che abbiamo chiamato "vassalli minori" troveranno conveniente rompere il rapporto di subordinazione con il grande capitale e la grande industria, avranno il coraggio di farlo, e infine troveranno nuove forze politiche, sorte dal basso, pronte a raccogliere una proposta di alleanza organica, il cui quadro di riferimento concettuale non può che essere il richiamo alla Costituzione del 1948.
La prima condizione non dipende da noi, ma da Matteo Renzi, nelle cui mani è la responsabilità di una scelta cruciale. Alcuni segnali di insofferenza lasciano ben sperare, ma ovviamente una rondine non fa primavera. Staremo a vedere. La seconda dipende da noi, dagli "uomini liberi" che vivono in basso, gomito a gomito con i servi della gleba. Il tema è quello dello "stato dell'arte" del movimento sovranista, e qui sono dolori. Ne riparleremo in un apposito post.
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