giovedì 23 ottobre 2014

Dal "memorandum degli economisti europei (1997)" ai movimenti sovranisti.

L'anno era il 1997. Un gruppo di economisti europei, tra i quali alcuni italiani, scrisse un memorandum (Memorandum degli economisti europei - 1997) del quale ho tradotto l'introduzione. L'elenco dei firmatari è qui.

Sei anni dopo, nel 2003, un altro economista italiano (illo), che non figura tra i firmatari del suddetto memorandum, scriveva questo paper (Dynamic paths of the European economy: simulations with an aggregate model of the EMU as a part of the world economy) nel quale costruiva un modello matematico "(to) compare the dynamic paths of the European economy in the next five years (2003-2007) under a set of alternative scenarios".

Passano altri 11 anni ed oggi le posizioni (almeno quelle degli economisti italiani) sono lievemente mutate. Mentre i firmatari del memorandum del 1997, che pure possono toccare con mano come le loro previsioni si siano puntualmente avverate, continuano (chi più chi meno) ad auspicare politiche economiche a livello europeo meno restrittive nella speranza di salvare l'euro, proprio colui che, ancora nel 2003, appariva più possibilista, si è posto in una prospettiva radicale di abbandono della moneta unica.

Nel frattempo sono scesi in campo studiosi di altre discipline, prevalentemente giuridiche, i quali hanno integrato le analisi degli economisti dimostrando la completa incostituzionalità dell'intero processo di integrazione europea.

Dalla sintesi delle riflessioni degli economisti e dei giuristi sta nascendo un vasto movimento politico che, accogliendo una scelta terminologica proposta dall'Associazione Riconquistare la Sovranità (ARS), si definisce "sovranista".

La lettura del Memorandum del 1997, come del lavoro di illo del 2003, costituisce uno spunto interessante. Purtroppo entrambi i documenti sono in inglese, ragion per cui ho ritenuto di fare opera benemerita di divulgazione traducendo (almeno) l'introduzione del memorandum del 1997. Ci libereremo!


Memorandum degli economisti europei (1997): pieno impiego, coesione e giustizia sociale per l'Europa - Alternative all'austerità competitiva.


1. Introduzione: disoccupazione di massa persistente - La sfida del declino dell'Europa

Siamo preoccupati per la situazione sociale, economica e politica in Europa. Come economisti che lavorano in gran parte dei paesi membri dell'Unione Europea (UE) constatiamo con profonda costernazione come la disoccupazione nei nostri paesi sia cresciuta, e continui a crescere, a livelli intollerabili e senza precedenti, e come la politica economica non stia adottando misure energiche per contrastare questo sviluppo. In assenza di una reale politica dell'occupazione, la povertà e l'esclusione sociale nell'UE stanno ulteriormente crescendo, esacerbando le divisioni economiche e sociali, accrescendo le polarizzazioni, conducendo a una situazione di maggiore ingiustizia e disuguaglianza nella società. Questo sentiero di sviluppo minaccia la stabilità politica e le strutture democratiche e lascia spazio alla crescita di sentimenti xenofobi ed euroscettici. In questo momento l'UE sembra prigioniera di un circolo vizioso: una serie di giochi a somma negativa che si rafforzano mutuamente producendo crescenti e dannose conseguenze. A nostro avviso è necessario invertire questa tendenza e ristabilire un percorso a somma positiva, basato sulla cooperazione, da cui tutte le parti troverebbero giovamento.

Noi consideriamo l'attuale situazione come la conseguenza di una strategia economica che viene presentata al pubblico come l'unica valida, mentre riteniamo che essa poggia su basi teoriche molto controverse e, in misura sostanziale, assolutamente infondate. La si è spesso collegata al processo di integrazione europeo, e in particolare al trattato di Maastricht che domina la fase attuale
dell'integrazione europea, anche se, a nostro avviso, ci sono altri e migliori percorsi per l'unità europea.

Per molti governi i criteri di convergenza del Trattato di Maastricht sono oggi la fonte esclusiva degli
obiettivi di politica economica, e sono presentati come l'unica opzione politica in un contesto di globalizzazione. I bilanci nazionali sono limitati dal disavanzo e da rigorose restrizioni all'indebitamento; d'altra parte non c'è alcun segnale di un'adeguata corrispondente espansione del bilancio dell'Unione europea per compensare gli effetti di contrazione dell'attività economica e le conseguente distorsioni all'interno della Comunità. Nella prevista unione monetaria monetaria il controllo sarà affidato a una banca centrale indipendente cui sarà vietato finanziare qualsiasi programma di spesa pubblica e che ha, come obiettivo esclusivo, il controllo dell'inflazione. Certamente consideriamo il contenimento dell'inflazione come un obiettivo di politica economica, ma respingiamo l'idea che la stabilità economica altro non significhi che la stabilità dei prezzi e che la politica economica possa essere ridotta a misure deflazionistiche.

La disoccupazione, d'altra parte, viene considerata come il risultato di eccessive rigidità
nel mercato del lavoro e la responsabilità della disoccupazione è posta in capo ai lavoratori disoccupati, agli impiegati e ai sindacati. Il Consiglio economico e finanziario della Commissione europea sistematicamente ribadisce le sue raccomandazioni per una maggiore flessibilità sia dei salari che del mercato del lavoro.

Questi principi, che alcuni considerano come una politica transitoria per il raggiungimento della convergenza tra economie diverse entro il 1999, saranno perpetuati dopo tale data, secondo le disposizioni del Trattato di Maastricht rinforzate dal "patto di stabilità", firmato a Dublino nel dicembre 1996, che ribadisce che le restrizioni di bilancio e il controllo dell'inflazione sono l'essenza stessa di un'equilibrata politica economica.

Questa politica è coerente con una visione fondamentalista del libero mercato in quanto i suoi principali postulati sono: diminuzione del ruolo dello Stato e della società nell'economia, ristrutturazione fiscale a favore delle imprese e dei gruppi di reddito più elevati, continui aumenti della quota profitti sul reddito nazionale, abbandono di tutte le restrizioni alla libera circolazione internazionale dei capitali, un'ulteriore deregolamentazione dei mercati del lavoro. Queste sono le politiche neoliberiste che sono già state praticate per più di quindici anni nella maggior parte dei paesi dell'UE, che hanno ridistribuito i redditi nazionali in favore dei profitti, rafforzato e ampliato la presenza degli investitori privati ​​nello sviluppo dell'economia, e limitato la gamma delle scelte di politica economica a quelle approvate dai mercati finanziari. Hanno, allo stesso tempo, dimostrato di essere incapaci di controllare la crescita della disoccupazione, della povertà, della disuguaglianza e dell'esclusione sociale. Da una prospettiva radicale di mercato, tuttavia, la disoccupazione e
l'insicurezza non sono mali da combattere con la massima priorità; essi sono considerati effetti collaterali da trattare, nel migliore dei casi, con strumenti di politica sociale o, peggio ancora, come leve per scoraggiare ogni idea di resistenza da parte dei lavoratori dipendenti.

Questa strategia, oggi imposta a tutti i paesi che desiderano aderire all'Unione Monetaria nel 1999, sta creando il più grave rischio di deflazione dalla seconda guerra mondiale. Il deficit pubblico cresce a causa della caduta delle entrate fiscali; a ciò fanno seguito aumenti fiscali e/o ulteriori tagli alla spesa pubblica con un conseguente calo della domanda effettiva, occupazione più bassa, minor reddito e ulteriore diminuzione delle entrate fiscali, maggior deficit ecc, perpetrando così un circolo vizioso. La maggior parte dei paesi non riuscirà a soddisfare i criteri di convergenza ma, nel tentativo di riuscirci, i governi applicano misure di austerità che favoriranno ulteriormente la disoccupazione,
aumentando i deficit e le tensioni sociali. Inoltre la progettazione di un Europa a due velocità, in cui la principale enfasi di politica economica è posta sulla necessità di controllare l'inflazione, non promuove l'unificazione dell'Europa; salvo aggravare le disuguaglianze sociali e gli squilibri all'interno dei paesi membri, creare nuove divisioni e polarizzazioni, favorire l'insorgere di nuove barriere tra di essi e paesi terzi.

La disoccupazione è molto spesso una catastrofe individuale per coloro che ne sono vittime. E' una perdita economica e un onere per i bilanci pubblici; è anche un pericolo politico in quanto conduce a tensioni sociali, a strutture più autoritarie e, allo stesso tempo, a maggiore instabilità. Perciò noi consideriamo la disoccupazione come il problema sociale più urgente nella UE. Siamo particolarmente preoccupati che, allo stesso tempo, anche le modeste proposte per migliorare l'occupazione, che la Commissione ha fatto nel suo Libro bianco al vertice del 1993, sono in pratica state eliminate dall'agenda della politica economica europea.

Siamo contrari a questi sviluppi. La nostra critica, tuttavia, non è affatto anti-europea, come
viene talvolta rappresentata all'opinione pubblica. Non abbiamo nulla in comune con quei partiti e politici che rifiutano Maastricht per motivi nazionalisti - o perché il progetto dell'UEM non è abbastanza neoliberista. Respingiamo con forza tali atteggiamenti. Per noi, ogni strategia economica di successo deve avere una dimensione europea: a nostro parere la politica economica prevalente contribuisce più a un'ulteriore polarizzazione in Europa che non all'unificazione europea. Essa poggia su fondamenti teorici sbagliati e funzionali agli interessi di una minoranza, mentre sono dannosi per la maggioranza delle persone. Proponiamo pertanto una strategia economica alternativa per l'Europa che, attraverso il recupero dei livelli di occupazione, sicurezza sociale ed equità, costituiscano una base stabile per l'unità tra i popoli europei.

Siamo incoraggiati nel nostro approccio dal fatto che negli ultimi anni sono cresciuti, in diversi paesi, i movimenti che oppongono resistenza ai tagli sociali. Sosteniamo questa resistenza nella speranza di contribuire ad essa con le nostre capacità professionali. Come economisti europei sentiamo la responsabilità di criticare la ristretta visione economica che ha portato alle attuali errate e dannose politiche, e intendiamo dimostrare che - nonostante le tendenze alla globalizzazione - ci sono alternative a tali politiche. La argomentazioni in difesa della presunta  scientificità della visione radicale del libero mercato sono di fatto una caricatura dell'economia come scienza. Vi è infatti un dibattito tra gli economisti. Mentre il mainstream che domina l'ortodossia è ben lungi dal fornire un fondamento veramente scientifico per le politiche economiche degli ultimi dieci anni, ci rendiamo conto che anche gli approcci eterodossi della nostra disciplina hanno i loro limiti, e sono ben lontani dal presentare soluzioni per tutti i problemi. D'altra parte, elaborando alternative alle attuali strategie, gli approcci eterodossi contribuiscono ad ampliare il campo delle possibili opzioni politiche. Confidiamo nel fatto che, proponendo alternative, si possa sfidare il "pensiero unico" dominante nel pensiero economico tradizionale e contribuire ad un dibattito pubblico più ampio sulle modalità per la piena occupazione, il benessere e l'equità in Europa.

In questo memorandum intendiamo:

- Presentare una critica delle attuali strategie economiche, concentrandoci prima di tutto sui loro fondamenti teorici generali, e successivamente sulle loro applicazioni e conseguenze specifiche nel contesto europeo.

- Formulare obiettivi e proposte per una strategia alternativa in Europa che abbia, come le priorità politiche centrali, la piena occupazione, la tutela dell'ambiente, la sicurezza sociale e l'equità.

Con queste proposte - che si concentrano sugli aspetti monetari, fiscali, di politica del mercato del lavoro e sulla riduzione dell'orario di lavoro - non pretendiamo di coprire l'intera gamma delle necessarie opzioni politiche praticabili, né pensiamo che le nostre proposte abbiano raggiunto uno stato di completa consistenza. Laddove proponiamo misure politiche concrete, queste spesso servono come esempi per illustrare la direzione della nuova politica. Esse possono, naturalmente, essere sostituite da misure equivalenti, e devono essere integrate da altre;

- Concludiamo sottolineando che il cambiamento di strategia economica che proponiamo costituisce una sfida molto ambiziosa; esso richiede una progettualità politica profonda e differenziata; la sua attuazione su diversi livelli politici è un compito complesso che coinvolge sia lo sforzo intellettuale che l'energia politica e la mobilitazione necessaria per superare la resistenza dalle potenti forze che traggono vantaggio dalle strategie oggi prevalenti.

L'elenco dei firmatari è qui.

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