... cosa fareste per tenere insieme la baracca? Da qualche giorno mi arrovello intorno a questa domanda e, qualche giorno fa, a questo proposito ho dato una risposta a Fil. A distanza di qualche giorno quella lettura mi convince un po' meno, mentre un'altra si è affacciata alla mia mente. Ve la propongo, ricordandovi come sempre che sono solo una persona che si fa (e fa) delle domande, e non uno da cui attendersi risposte. Per questo ci sono i grandi penZatori.
Qual è oggi il principale problema dell'eurozona? A me sembra che la risposta non possa che essere una: l'egemonia di un paese, la Germania, che non vuole saperne di adottare una strategia cooperativa. E dunque, cosa dovrebbe fare una élite realmente interessata alla sopravvivenza del progetto euro? Semplice: costringere la Germania ad adottare un comportamento cooperativo.
Come? Anche qui, se si accetta la premessa (l'esistenza di una élite realmente interessata alla sopravvivenza dell'euro, e non partigiana di questi o quegli interessi nazionali), la risposta è semplice: combattere l'esorbitante privilegio di cui gode la Germania, e del quale essa fa un uso a proprio esclusivo vantaggio ma deleterio per gli equilibri della zona euro. Sto parlando del fatto che la Germania, ormai da diversi anni e grazie all'effetto paura, drena liquidità a tassi di interessi bassissimi attraverso l'emissione dei propri bund, per poi reinvestire nell'acquisto di titoli della periferia, incamerando interessi molto maggiori lucrando sulla differenza. Mi domando, allora, se il QE di Mario Draghi possa essere una mossa con l'obiettivo di limitare questo esorbitante privilegio. Mi confortano, in questa interpretazione, due dati: 1) la ferma e immediata opposizione di esponenti tedeschi alla mossa di Draghi e 2) la scelta della BCE di escludere dal QE i titoli di Grecia, Portogallo e Cipro.
Il combinato disposto del QE e della scelta di escludere l'acquisto di titoli di questi tre paesi, soprattutto la Grecia, può infatti avere l'effetto di mettere la Germania di fronte al seguente duplice problema: 1) non poter più lucrare alti interessi sull'acquisto di titoli di stato della periferia, poiché per effetto del QE questi diminuiranno; 2) il rischio di consistenti perdite sui titoli della periferia, già nel patrimonio di istituti finanziari tedeschi, per effetto delle scelte di ristrutturazione del debito cui i paesi esclusi dal QE (per il momento soprattutto la Grecia) saranno costretti. Vista in quest'ottica, la vittoria di Tsipras può essere interpretata come la vittoria del candidato occulto di Mario Draghi.
A scanso di equivoci vorrei chiarire che questa chiave di lettura non intende suggerire un'ipotesi complottista, cioè che dietro la vittoria di Syriza ci sia la mano delle élites euriste! Al contrario, credo che sia stata la vittoria di Tsipras a suggerire la mossa di Draghi; soprattutto l'inaspettata entità dell'intervento di Quantitative Easing che, dal mezzo miliardo inizialmente ipotizzato, e arrivato a una cifra più che doppia. Il senso della manovra mi sembra dunque quello di un messaggio ai vertici della Bundesbank, il cui tenore dovrebbe essere, più o meno, il seguente: cari alemanni, o vi decidete a dare il vostro contributo alla reflazione europea, oppure noi (cioè la BCE, cioè l'élite che è interessata soprattutto alla sopravvivenza del progetto eurista, di cui la moneta unica è un pilastro irrinunciabile) vi spranghiamo; sia riducendo il vostro esorbitante privilegio (lucrare sugli alti tassi di interesse della periferia utilizzando la liquidità che affluisce in Germania per effetto della paura), sia costringendo i paesi di cui siete creditori (oggi la Grecia) a fare default perché l'acquisto dei loro titoli non è previsto nel QE.
In che modo gli alemanni possono contribuire alla reflazione europea? Nel solo modo possibile: alzando i salari in Germania. In fondo, si tratta della solita vecchia scelta che, da decenni, le classi dirigenti tedesche devono affrontare: o fare della Germania un paese europeo, persino in posizione di leadership, ma con ciò accettando gli oneri che questo ruolo comporta, oppure farsi da parte.
In definitiva la mossa di Draghi mette le classi dirigenti tedesche davanti ad un'alternativa che prevede, per esse, solo soluzioni in perdita: aprire i cordoni della borsa e pagare meglio i loro lavoratori (reflazionando così l'intera eurozona), oppure subire il costo del default greco. Tanto per cominciare.
Se i tedeschi non fossero tedeschi, la prima scelta sarebbe ovvia. Ma hanno il difetto di essere tedeschi, e dunque faranno fallire la Grecia. La colpa (o il merito) della fine dell'euro, però, non sarà della Grecia, ma della Germania.
Qual è oggi il principale problema dell'eurozona? A me sembra che la risposta non possa che essere una: l'egemonia di un paese, la Germania, che non vuole saperne di adottare una strategia cooperativa. E dunque, cosa dovrebbe fare una élite realmente interessata alla sopravvivenza del progetto euro? Semplice: costringere la Germania ad adottare un comportamento cooperativo.
Come? Anche qui, se si accetta la premessa (l'esistenza di una élite realmente interessata alla sopravvivenza dell'euro, e non partigiana di questi o quegli interessi nazionali), la risposta è semplice: combattere l'esorbitante privilegio di cui gode la Germania, e del quale essa fa un uso a proprio esclusivo vantaggio ma deleterio per gli equilibri della zona euro. Sto parlando del fatto che la Germania, ormai da diversi anni e grazie all'effetto paura, drena liquidità a tassi di interessi bassissimi attraverso l'emissione dei propri bund, per poi reinvestire nell'acquisto di titoli della periferia, incamerando interessi molto maggiori lucrando sulla differenza. Mi domando, allora, se il QE di Mario Draghi possa essere una mossa con l'obiettivo di limitare questo esorbitante privilegio. Mi confortano, in questa interpretazione, due dati: 1) la ferma e immediata opposizione di esponenti tedeschi alla mossa di Draghi e 2) la scelta della BCE di escludere dal QE i titoli di Grecia, Portogallo e Cipro.
Il combinato disposto del QE e della scelta di escludere l'acquisto di titoli di questi tre paesi, soprattutto la Grecia, può infatti avere l'effetto di mettere la Germania di fronte al seguente duplice problema: 1) non poter più lucrare alti interessi sull'acquisto di titoli di stato della periferia, poiché per effetto del QE questi diminuiranno; 2) il rischio di consistenti perdite sui titoli della periferia, già nel patrimonio di istituti finanziari tedeschi, per effetto delle scelte di ristrutturazione del debito cui i paesi esclusi dal QE (per il momento soprattutto la Grecia) saranno costretti. Vista in quest'ottica, la vittoria di Tsipras può essere interpretata come la vittoria del candidato occulto di Mario Draghi.
A scanso di equivoci vorrei chiarire che questa chiave di lettura non intende suggerire un'ipotesi complottista, cioè che dietro la vittoria di Syriza ci sia la mano delle élites euriste! Al contrario, credo che sia stata la vittoria di Tsipras a suggerire la mossa di Draghi; soprattutto l'inaspettata entità dell'intervento di Quantitative Easing che, dal mezzo miliardo inizialmente ipotizzato, e arrivato a una cifra più che doppia. Il senso della manovra mi sembra dunque quello di un messaggio ai vertici della Bundesbank, il cui tenore dovrebbe essere, più o meno, il seguente: cari alemanni, o vi decidete a dare il vostro contributo alla reflazione europea, oppure noi (cioè la BCE, cioè l'élite che è interessata soprattutto alla sopravvivenza del progetto eurista, di cui la moneta unica è un pilastro irrinunciabile) vi spranghiamo; sia riducendo il vostro esorbitante privilegio (lucrare sugli alti tassi di interesse della periferia utilizzando la liquidità che affluisce in Germania per effetto della paura), sia costringendo i paesi di cui siete creditori (oggi la Grecia) a fare default perché l'acquisto dei loro titoli non è previsto nel QE.
Che volemo fa?
In che modo gli alemanni possono contribuire alla reflazione europea? Nel solo modo possibile: alzando i salari in Germania. In fondo, si tratta della solita vecchia scelta che, da decenni, le classi dirigenti tedesche devono affrontare: o fare della Germania un paese europeo, persino in posizione di leadership, ma con ciò accettando gli oneri che questo ruolo comporta, oppure farsi da parte.
In definitiva la mossa di Draghi mette le classi dirigenti tedesche davanti ad un'alternativa che prevede, per esse, solo soluzioni in perdita: aprire i cordoni della borsa e pagare meglio i loro lavoratori (reflazionando così l'intera eurozona), oppure subire il costo del default greco. Tanto per cominciare.
Vi dico come la vedo
Se i tedeschi non fossero tedeschi, la prima scelta sarebbe ovvia. Ma hanno il difetto di essere tedeschi, e dunque faranno fallire la Grecia. La colpa (o il merito) della fine dell'euro, però, non sarà della Grecia, ma della Germania.
SAPEVATELO!
Secondo me non è così prioritaria per le elites la sopravvivenza del progetto Euro. Almeno fino a quando il suo "lavoro" non l'ha portato a termine.
RispondiEliminaAttualmente esiste uno scollamento di interessi tra il capitale finanziario e capitale industriale. Ormai è chiaro dal 2008 che i loro obiettivi divergono sempre più, e il principale colpevole è proprio la moneta unica.
Dalla crisi Lehman in poi è stato data priorità al rientro dei crediti del primo soggetto, perché più esposto. Il capitale industriale aveva avuto i suoi ritorni in ordine di aumento della produzione e all'acquisizione degli assets dei PIGS e per un pò ha potuto sopportare cali di "introiti".
Ora il secondo soggetto soffre per colpa dell'austerity pro-finanza. Questo porta a recessione in Germania e ad una svalutazione delle nuove proprietà acquisite in Grecia, Spagna, Italia. Si deve cambiare politica virando verso la difesa dell'economia reale.
il QE di Draghi è ancora una stampella alla finanza per securizzare le ultime esposizioni. TTIP e Tsipras invece sono i primi strumenti di salvaguardia dell'industria ( in Grecia tutto la struttura industriale è ormai in mano estera e non è conveniente mandarla in malora ).
Gli ossi ancora da spolpare sono l'Italia in primis e in seconda battuta la Francia.
Dubito che riusciranno ad accaparrarsele tutte prima dell'esplosione ma stanno giocando sul tempo.
Interessante sarà valutare lo stato economico-sociale post breakup. Le etichette che attualmente usiamo per definire amici e nemici non varranno più ( Euro, UE, ecc ) quindi risulterà più difficile stabilire da che parte stare. Sicuramente sarà americano-feudale. IMHO
Caro Roberto, cosa sono le "élites"? Come è possibile definirle? Sono, le "élites", i rappresentanti dei gruppi sociali più forti, oppure sono esse stesse un gruppo sociale a parte?
RispondiEliminaIo penZo che in condizioni normali le élites siano i rappresentanti dei gruppi sociali più forti, ma che in talune circostanze queste possano arrivare a detenere un potere così grande, sebbene inizialmente concesso loro dai gruppi sociali più forti, da diventare un gruppo sociale in sé e per sé. Pensa, ad esempio, al nazismo, che arrivò al potere grazie all'appoggio degli industriali ma poi condusse una politica che era il prodotto della sua ideologia.
Ebbene, non escluderei a priori la possibilità che, seppure (spero) in sedicesimo, la burocrazia europea sia in una fase di stato nascente come "classe politica in sé e per sé", il cui obiettivo principale è la continuazione del processo eurista, pena la sua scomparsa come gruppo sociale. Una situazione estremamente pericolosa e, spero, frutto solo delle mie paure.
La tua analisi, mi sembra di capire, non contempla tale possibilità, e spero che tu abbia ragione. Spero cioè che le vere forze in campo siano "solo" gli interessi concreti del grande capitale e/o quelli nazionali. Lo spero vivamente.