martedì 17 luglio 2018

Il cambio [sub-divulgazione estrema]

Vi sono concetti che non sono noti alla stragrande maggioranza di coloro che si occupano di politica, uno di questi è il cambio monetario. Ciò a dispetto del grande lavoro divulgativo di alcuni economisti, in gran parte perché dovendo essi rispondere, in ragione della loro caratura accademica, alle critiche degli economisti liberali, hanno finito col porre in secondo piano la necessità di esporre i concetti nel modo più semplice possibile, così che questi siano accessibili a un numero sempre più grande di cittadini.

La questione del cambio monetario, cioè quanto vale la moneta di un paese nei termini di altre monete, è uno di questi concetti non sufficientemente noti. Adotterò un metodo didattico standard, che consiste nell'esplicitare fin da subito la tesi:

Il cambio monetario, cioè la sovranità monetaria, è uno strumento indispensabile al fine di sganciare la conflittualità salariale interna di un paese dai costi delle esportazioni e delle importazioni.

Il costo del lavoro è il più importante fattore nel determinare il costo di produzione dei beni. Ciò è particolarmente importante per i beni che devono essere esportati. Pertanto se i lavoratori avanzano richieste di aumenti salariali, e li ottengono, questi si riflettono sul loro prezzo. In regime di cambi fissi, peggio ancora con la moneta unica, il risultato è, inevitabilmente, una gara a pagare di meno i lavoratori. Altrimenti, ci dicono, l'azienda chiude. Questo significa che la conflittualità salariale interna è come sterilizzata: quando le cose vanno male bisogna calmierare i salari, ma anche quando vanno bene non è possibile aumentarli, perché così si uccide la ripresa.

In regime di cambi flessibili, cioè con la sovranità monetaria, gli effetti della conflittualità salariale, alias quanto del plusvalore prodotto va a retribuire il capitale e quanto il lavoro, vengono drasticamente attenuati. Infatti in presenza di richieste di aumenti salariali si ha una caduta delle esportazioni, la quale ha l'effetto di deprezzare la moneta nazionale rendendo nuovamente appetibili i beni da esportare, e contemporaneamente i beni importati diventano meno convenienti stimolando la produzione interna.

Ovviamente non intendo sostenere che, svalutando continuamente, si possano fregare i mercati. Questo è quello che raccontano gli economisti liberali i quali, loro sì, vogliono fregare i lavoratori. Il punto è che con la sovranità monetaria sono possibili e sostenibili alti livelli di conflittualità salariale interna, mentre con il cambio fisso, peggio ancora con la moneta unica, questa viene completamente sterilizzata. Poi, a conti fatti, il livello reale di benessere di un paese dipende da quanto e come riesce a produrre, ma la domanda che dobbiamo porci è: sono davvero i grandi capitali quelli più capaci nell'allocare e utilizzare in modo ottimale le capacità produttive di un paese, o sono invece i lavoratori con le loro decisioni di spesa determinate da alti salari?

Per chi pensa che siano i grandi capitali, l'euro va bene. Però questo significa anche che a comandare sono i grandi capitali. Per chi pensa, come il sottoscritto, che la spina dorsale di un paese, in particolare la nostra amatissima Italia, siano i lavoratori, e che ad essi spetti il compito di indirizzo della capacità produttiva in funzione delle loro esigenze, e dunque che a comandare dobbiamo essere noi lavoratori, il ritorno ai cambi flessibili e alla sovranità monetaria è un obiettivo irrinunciabile.

Essere dalla parte dei lavoratori significa essere socialisti (non di sinistra, che è solo un concetto geometrico) essere dalla parte del capitale significa essere di destra-sinistra-centro, come più conviene, perché tanto lo scopo è sempre lo stesso: cummannari e futtiri. Il complemento oggetto, ovviamente, siamo noi lavoratori.

That's all folks.

1 commento:

  1. Più semplice di così

    https://riuscireavolare.blogspot.com/search?q=la+bici+del+tedesco

    non m'è riuscito di spiegarlo.

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