sabato 16 febbraio 2019

Risposta ad A.B. (che non è Illo)

Pubblico un frammento di conversazione (una mia risposta) con uno di coloro che mi scrivono. Si firma A.B. ma, ovviamente, non è Illo. Per ovvie ragioni di riservatezza non posso pubblicare anche le sue emails, ma credo che il tema della discussione emerga a sufficienza da quello che scrivo


Ho letto e riletto più volte quello che hai scritto (mi piace la definizione "il dispotismo del distopismo") e mi sembra di capire, per sintetizzare altrimenti ci perdiamo, che tu dai molta importanza alla necessità di individuare il "nemico". Può darsi, non so, ma quello che mi preme farti notare è che parli come se esistesse già un "centro di comando" della causa della classe lavoratrice che dovrebbe/potrebbe adottare una strategia più efficiente, ad esempio lavorando sulla categoria amico/nemico. Ma questo centro di comando, converrai con me, purtroppo oggi non c'è.

La sconfitta del mondo del lavoro è stata epocale, anche perché è avvenuta in un momento in cui le classi dominanti sono riuscite ad appropriarsi dei mezzi di produzione culturale, nonché a rafforzare (presto sempre di più, vedi 5G) gli strumenti di controllo diretto. Per altro, la stessa definizione di "classi dominanti" è ambigua, impossibile da determinare con precisione. Rispetto all'800, quando le classi dominanti erano quelle proprietarie dei mezzi reali e concreti di produzione, pertanto identificabili studiando gli strumenti legali che configuravano e difendevano il diritto di proprietà, oggi questo è molto più difficile. 

Ad esempio, Larry Page e Sergey Brin fondatori di google, grazie ai cui servizi noi comunichiamo, o Zuckerberg, cosa sono? 

Chi sono i veri nemici? E poi, nemici in che senso? Un imprenditore di successo è, in quanto tale, un nemico? Ma soprattutto, siamo sicuri che  Larry Page e Sergey Brin, ma soprattutto Zuckerberg, siano veri imprenditori di successo e non maschere presentate al grande pubblico per spiegare l'irrompere di nuove tecnologie con la favola rassicurante dell'"imprenditore di successo"?

Chi è il nemico? Dov'è il nemico? E gli "amici", esistono gli amici o è vero che siamo tutti nemici nel momento stesso in cui accettiamo che l'unico discrimine sia l'interesse economico? Non è forse vero che nelle cause condominiali miriadi di morti di fame si affrontano con la bava alla bocca per questioni miserrime?

Siamo davanti a uno scenario che, sebbene al fondo sia ancora sicuramente fondato sulle tradizionali e immortali categorie del conflitto sociale (quindi amico/nemico) è così confuso da rendere questo strumento oggi poco utilizzabile. Io penso allora che sia necessario ricordarci di un altro strumento dialettico fondamentale, che è il senso del limite. Uno strumento di natura principalmente morale, perché se c'è un limite allora poco importa che a superarlo sia un nemico o un amico, perché quel limite c'è, ed è riconosciuto da tutti. 

In questo senso, la critica al principio di illimitatezza del neoliberismo è un punto di attacco sul quale si deve investire. Ma per farlo in modo efficace è necessario reintrodurre nel discorso politico un elemento che il pensiero illuminista ha eradicato con grande successo, ovvero l'idea che l'uomo non può fare tutto quello che è in grado di fare, ma deve fermarsi giudicando e discriminando ciò che è giusto da quello che non lo è. Il problema, ovviamente, è su cosa fondare tale giudizio, e qui il discorso si fa molto più difficile.

Siamo talmente abituati a rigettare anche solo la possibilità dell'esistenza di leggi trascendenti, nel nome della libertà e della centralità dell'UOMO, che questa necessità oggi è completamente dimenticata. Per poi accorgerci, quando il pensiero illuminista dispiega tutta la sua potenza distruttrice di ogni limite, che siamo indifesi e destinati al macello.

Ecco, io penso che poiché l'illuminismo non può dimostrare l'inesistenza del Trascendente, cioè di quella cosa di cui per definizione non si può parlare ("su ciò di cui non si può parlare si deve tacere" - Ludwig Wittgenstein), noi dobbiamo invece evocarlo. Non dico parlarne, ma evocarlo questo sì, per affermare almeno un concetto chiave: non è vero, o almeno non è detto, che l'uomo possa fare tutto quello che può fare! E dunque che intorno al confronto su ciò che si può fare o non fare (tra le cose che è possibile fare) si gioca la corretta individuazione del confine tra amico e nemico.

Un saluto, Fior.

9 commenti:

  1. Questioni vastissime, caro Fiorenzo, che non potrei mai affrontare in un breve commento.
    Mi limiterò pertanto ad uno specifico aspetto, a contestare che per stabilire il limite si debba necessariamente stabilire astrattamente cosa sia giusto e cosa non lo sia.
    Io credo che il senso del limite sia in qualche misura autosufficiente, in quanto legato alla nostra natura. Basterebbe ricordare cosa possiamo fare col nostro corpo e senza usare alcun ausilio tecnico-strumentale.
    Per fare un esempio banalissimo, noi in natura ci muoviamo sulle nostre gambe, we walk direbbero gli inglesi, cioè camminiamo a piedi.
    Bene, è una fortuna disporre delle automobili, dei treni e degli aerei e non c'è certo nulla di male ad usare questi mezzi, ma senza mai dimenticare che noi non siamo stati fatti per l'automobile. Spostiamoci quindi in automobile, ma magari dovremmo renderci conto che non va bene stare decine di ore di seguito a guidare, anche perchè le nostre gambe non solo possono spostarci, ma devono spostarci, nel senso che se smettiamo di usarle, ci ammaliamo, perdiamo massa muscolare, ne perdiamo le funzioni.
    Capisco che le decisioni concrete sulle nostre scelte non siamo sempre ovvie, ma secondo me sarebbe comunque saggio ricordare chi siamo e come sempre saremo (le mutazioni genetiche hanno tempi geologici, non le osserveremo nella nostra breve vita).
    Altro esempio, la pretesa di certe donne di volere avere una gravidanza a sessanta anni. Ebbene, tutto ciò è insano perchè non riconosce il limite naturale, e quindi non lo accetta come limite.
    Rientriamo insomma in noi stessi, ciò costituirebbe già un decisivo passo in avanti.

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    1. In realtà (ma capisco che si possa non capirlo dal breve testo pubblicato) qui si parla di un altro tipo di limite, quello che deve comunque esistere quando c'è conflitto, anche il più feroce. Poiché il liberismo ha eletto la concorrenza a valore assoluto, esso non ammette che il vincitore possa essere soggetto a qualsivoglia limite nell'esigere il pieno possesso della proprietà, e perfino della stessa persona, dello sconfitto. Questo è, nel contesto della discussione, il significato dell'espressione "senso del limite".

      E' stato il cristianesimo, introducendo una cesura nella Storia, a porre e risolvere il problema, poiché nell'antichità pagana i popoli sconfitti venivano resi schiavi e ridotti alla stregua di bestiame. Il liberismo, dunque, al di là dei suoi proclami sulla libertà, è intimamente pagano.

      E la tanto sbandierata libertà è quella dei vincitori, e solo di €$$I.

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  2. Leggendo l'articolo non sembra che il senso sia quello che tu,caro Fiorenzo , ci dici o almeno c'è qualcosa di più a mio avviso.
    Per chiarire meglio quello che ho da dire prendo il periodo seguente "Siamo talmente abituati a rigettare anche solo la possibilità dell'esistenza di leggi trascendenti, nel nome della libertà e della centralità dell'UOMO, che questa necessità oggi è completamente dimenticata. Per poi accorgerci, quando il pensiero illuminista dispiega tutta la sua potenza distruttrice di ogni limite, che siamo indifesi e destinati al macello."
    Innanzitutto non è il pensiero illuminista che postula la centralità dell' UOMO e la sua TOTALE libertà di agire ,ma sono L'Umanesimo e il Rinascimento specie con gli scritti di Pico della Mirandola,i capisaldi filosofici di un agire senza limiti. L'Illuminismo come già prima la Riforma luterana hanno posto dei limiti all' agire dell'UOMO.
    Qualora ,caro Fiorenzo. il senso dell'articolo di A.B. sia quello da te proposto (l' autore potrà confermarcelo ) posso garantire che è una fase storica già vissuta si chiamava Dispotismo Illuminato. Avendo postulato la ragione come regolatrice e limitatrice dello strapotere indebito degli uomini su altri uomini
    il governo di un Principe o di un Monarca si avvalsero del loro potere assoluto per migliorare, attraverso una politica di riforme, le condizioni di vita dei popoli che gli sono soggetti. Storicamente l'assolutismo illuminato si sviluppò in alcuni paesi dell'Europa, in particolare quelli di area centro-orientale, tra gli anni quaranta e ottanta del XVIII secolo e venne favorito da un vasto movimento culturale che ebbe i suoi autorevoli esponenti negli illuministi francesi. I sovrani che più si identificarono con l'ideologia e la pratica dell'assolutismo illuminato furono Federico II di Prussia, Maria Teresa e Giuseppe II d'Asburgo, Caterina II di Russia e alcuni sovrani di stati italiani come il duca di Parma Filippo di Borbone, i re di Napoli Carlo e Ferdinando e i granduchi di Toscana Francesco Stefano e Pietro Leopoldo di Lorena. Riforme nelle amministrazioni locali, esautoramento di organi di autogoverno dei ceti privilegiati, introduzione del principio di tolleranza religiosa, ruolo rilevante assegnato all'esercito e agli apparati burocratici vennero a definire i caratteri di uno stato che si muoveva nel senso della centralizzazione. L'abolizione della servitù della gleba, l'istituzione di nuovi strumenti di controllo e di prelievo fiscale, la soppressione dei vincoli alla libera circolazione delle merci,(non del CAPITALE ovviamente perchè la borghesia e i capitalisti erano ancora in fasce ) furono, fra gli altri, gli obiettivi che, nel governo dell'economia, l'assolutismo illuminato intese perseguire.
    Tutto molto giusto e ragionevole. Peccato che si andò poi incontro alla Rivoluzioni Europee.
    Buona Vita

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    1. Caro Gianni, vorrei risponderti subito ma sono già a letto. Se ne riparla purtroppo tra un paio di giorni. Tu intanto rifletti.

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    2. non è il pensiero illuminista che postula la centralità dell' UOMO e la sua TOTALE libertà di agire ,ma sono L'Umanesimo e il Rinascimento specie con gli scritti di Pico della Mirandola,i capisaldi filosofici di un agire senza limiti. L'Illuminismo come già prima la Riforma luterana hanno posto dei limiti all' agire dell'UOMO.

      Il fatto che Pico della Mirandola (1463-1494) sia coevo alla fase finale dell'umanesimo vale quanto il fatto che un giorno lontano di Salvini si dirà che è stato un "sovranista". Ciò detto l'umanesimo è stato una corrente culturale nata nella penisola italica (nota: non ho detto in Italia) così descritto su wikipedia:

      «Per umanesimo si intende quel movimento culturale, ispirato da Francesco Petrarca e in parte da Giovanni Boccaccio, volto alla riscoperta dei classici latini e greci nella loro storicità e non più nella loro interpretazione allegorica, inserendo quindi anche usanze e credenze dell’antichità nella loro quotidianità tramite i quali poter avviare una "rinascita" della cultura europea dopo i "secoli bui" del Medioevo.»

      [segue]

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    3. [continua]

      L'illuminismo è ben descritto da Kant: «L'illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l'incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto d'intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell'Illuminismo.»

      Dunque è con l'illuminismo che prende piede l'idea, nei secoli successivi vincente, che l'UOMO CHE ABBIA IL CORAGGIO DI "OSARE", avendo come solo limite di sé stesso, e ciò in quanto sarebbe dotato di ragione.

      Fosse vero e dimostrato, lo si potrebbe anche prendere in considerazione, peccato che sia stata la Ragione stessa ad ammettere i suoi limiti. L'illuminismo, in realtà, è morto con l'illusione lagrangiana per cui, note posizione e velocità di tutte le particelle dell'universo, è possibile (almeno in teoria) calcolarne l'evoluzione (determinismo lagrangiano). Se preferisci, in un campo affine è morto con il il fallimento del programma di Hilbert, ma anche (ancor prima) con la dimostrazione della difficoltà di soluzioni del problema dei tre corpi e la dimostrazione dell'impossibilità di una soluzione quando tali corpi diventano cinque o più (Poincaré); ma anche con gli sviluppi della relatività e della meccanica quantistica; Infine, con le teorie del caos.

      Insomma, la Ragione davanti all'essenza profonda dell'esistenza ha alzato bandiera bianca, e non perché non è capace OGGI di risolvere certi problemi, MA PERCHE' HA DIMOSTRATO A SE STESSA CHE NON NE SARA' MAI CAPACE!

      Purtroppo solo una minoranza è consapevole della resa filosofica dell'illuminismo su questo fronte, mentre tutta la narrazione dominante continua ad ammantarsi di tale razionalità illuministica con la pretesa di spiegare tutto, per di più con l'aggravante di negare ciò che è pur "calcolabile" (la resa deel'illuminismo non significa che la matematica sia da buttare) sostituendolo con il mito propagandistico (della crescita, della stabilità, della leuropa etc.).

      Il punto è che, se è impossibile eludere l'incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro, allora l'esistenza di "altro" rispetto alla razionalità (che ha dimostrato a sé stessa di essere fondata sul nulla n.d.r.) non può che condurre ad una sola conclusione: l'UOMO ha il privilegio, ma anche la responsabilità, di agire con libero arbitrio senza tuttavia essere guidato da alcuna razionalità. Entra così in gioco il concetto di "coscienza", sia personale che collettiva. E nel far ciò non si può prescindere da quello che gli dice la stessa Ragione illuministica: esiste CERTAMENTE altro!

      E allora sì che l'UOMO è al centro, come dicevano gli umanisti, ma senza una guida cosiddetta razionale come hanno teorizzato gli illuministi. Questa è la grande differenza tra Umanesimo e Illuminismo, che non vanno assolutamente confusi.

      Resto, come sempre, in attesa delle tue osservazioni.

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    4. Caro Fiorenzo, anche io mi scuso se ti rispondo con ritardo, ma a volte non si riesce a trovare un poco di tempo e si è sballottati dalla corrente della vita quotidiana.
      Mi è piaciuto il tuo spaziare fra Lagrange, Poincarè, Hilbert e le teorie del caos. Se poi ci aggiungiamo i teoremi dell' incompletezza di Godel che ha assestato il colpo di grazia alle credenze matematiche di Hilbert il quadro è completo.
      Ma a mio avviso il colpo di grazia alla ragione umana nel determinare i FINI dell'esistenza è venuto da Freud e dalla scoperta dell' inconscio.
      La ragione umana viene a classificarsi come la migliore ottimizzazione dei MEZZI per raggiungere i FINI.
      Faccio un esempio con te. Tu sicuramente stai dalla parte del popolo(ammesso che questo esista) e contro lo sfruttamento che i globalisti fanno sulle spalle del popolo. Ma se ti chiedi perchè parteggi per il popolo e non per i globalisti non troverai nessuna spiegazione RAZIONALE convincente e che non possa essere messa in dubbio. Una volta presa la decisione di parteggiare per il popolo la RAGIONE ti darà i mezzi per una azione concreta ed efficace.
      Per quanto riguarda la definizione di Kant dell'illuminismo la conoscevo, ma onestamente non l'ho mai capita.
      Per me è già un errore il punto di partenza "L'illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l'incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro"
      Non c'è ASSOLUTAMENTE nessuna minorità dalla quale l'uomo deve uscire. Ma ha bisogno SOPRATTUTTO della GUIDA di altri uomini. Quello che l'UOMO deve fare è DUBITARE che questa guida sia una guida infallibile e definitiva. Come fece Galilei con gli aristotelici o come disse Newton :Se ho visto più lontano è perchè sono salito sulle spalle dei giganti
      Buona Vita.

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  3. Secondo me il rischio di porre la questione dell'etica in Politica a partire dall'identificazione dei "limiti" è quello di indurre atteggiamenti moralistici o lassistici che si innescano a vicenda.

    Ci sono molte strade che portano alla politica e tutte fortunatamente implicano la preesistenza di una coscienza e, per quanto immatura, una visione del mondo, con i limiti che ci hanno strutturati fin dalla nascita; con la politica essi saranno rinforzati, modificati o sostituiti, non credo che se ne debbano creare di specifici.

    La politica si pone dei fini collettivi quanto più alti quanto più sacrificabili appariranno i propri limiti etici personali: il privato che diventa pubblico, soccombendo o mediando, intrallazzando o nevrotizzando.

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  4. Vedo commenti molti vasti di contenuti, credo che il nocciolo sia problema del limite, più volte richiamato da Fiorenzo. Se esiste il problema del limite è perché ci si è già chiesti cosa è bene e cosa è male. Non tutte le civiltà e culture danno la stessa risposta. Va anche individuato in relazione a cosa si parla di bene e male. Si intende l'attività umana. Allora si comincia a parlare della concretezza del bene e del male, secondo le categorie di giusto e sbagliato. Quindi si passa alla fase normativa, con diritti e doveri. Non era scontato definire cosa fosse diritto e dovere dell'uomo in quanto tale e a seconda dei suoi ruoli sociali. Infatti ci sono stati lunghi periodi e vaste aree di privilegio e allo stesso modo di limitazioni che già quando erano comuni e legali, suscitavano contestazione. La "veste" del diritto che alla fine dovrebbe essere una precisazione della "veste" della dignità umana, non è sempre stata vista così e non lo è neanche ancora adesso, perché il diritto, oltre a suoi problemi interni di precisazione, è stato ed è anche trasformazione faticosa della "legge del più forte" che ha accompagnato la storia umana. E' indubitabile che la "cesura", come dice Fiorenzo, l'abbia portata l'irruzione di Cristo nella storia. La civiltà cristiana poi ha valorizzato anche quel che ha trovato, spiccando, si sa, la filosofia greca e la cultura giuridica romana. L'innesto cristiano è proprio nella cultura del limite umano, che fa da antidoto alla volontà di potenza e alla conseguente legge del più forte. Come sappiamo, nessun "automatismo cristiano", nessuna magia, ha permesso la trasformazione delle relazioni umane in un paradiso. E' proprio l'innesto di questo approccio "rivoluzionario" rispetto all'homo homini lupus, che, giocandosi e scontando il rischio della libertà umana - e il suo limite!- ha via via, con alti e bassi, permesso la trasformazione delle relazioni sociali. Anche le "ribellioni" filosofiche, religiose, anche il sorgere del marxismo non sarebbero state possibili senza il patrimonio culturale astratto e concretizzato del cattolicesimo.
    Il limite, il problema del riferimento "arbitrale" esterno. Intanto la coscienza vi attinge comunque, sa farsi altro da sé, almeno un po'. Poi conta l'educazione della coscienza, e di nuovo siamo lì: quale educazione, da dove?
    Contano l'educazione e la cultura dell'ambiente in cui si vive.
    Bene, ma secondo quale criterio? La soddisfazione del desiderio ci guida? Allora la coscienza "premia" perché si è ottenuto ciò che si vuole.Effetti collaterali su terzi, molti.
    Se invece il criterio è un bene, una giustizia che non si limita al nostro desiderio allora entra in ballo un'educazione della coscienza per distinguere il bene e il male in modo indipendente dalla propria volontà o dal proprio desiderio primo.
    Questo criterio di oggettività non lo troviamo dappertutto. Non c'è indifferenza tra le culture, le filosofie, le religioni.

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