lunedì 25 febbraio 2019

Il "centro di comando" (di A.B. che non è Illo)

Caro Fiorenzo,

innanzi tutto ti ringrazio per avere risposto alla mia lettera e per averla meditata lungamente. Ho fatto altrettanto con la tua e non ho mancato di seguirne l’evoluzione sul tuo blog, una volta pubblicata.

Post correlatoRisposta ad A.B. (che non è Illo) - L'Ego della rete 16 febbraio 2019

Nel rispondere alle tue osservazioni argute, ho a mia volta presente la necessità di sintetizzare per non allungare inutilmente il brodo. Diciamo che, leggendoti, ho isolato quattro punti da trattare partitamente, ma mai dimenticando che si tratta di un blocco unico. I punti sono i seguenti: 1) l’applicazione della categoria amico-nemico e la potenza che è insita in essa; 2) il “centro di comando” e il suo collegamento con la sconfitta del lavoro; 3) le trasformazioni del sistema che lo rendono oggi irriconoscibile rispetto ai canoni ottocenteschi (e, qui, il tuo riferimento a Marx mi pare assai evidente); 4) il rapporto concettuale – che è anche un nodo problematico – tra movimento storico illuministico e ciò che molto opportunamente e felicemente hai definito “senso del limite”.

Nella mia considerazione-ricostruzione critica di questa tua linea interpretativa, proprio per ottenere un oggetto concettuale a un tempo unitario e distintamente articolato al suo interno, mi vedo costretto a modificare l’ordine nel quale tu li hai elencati.

Indubbiamente, le trasformazioni che il modo di produzione capitalistico ha subìto nel corso della strepitosa accelerazione dell'espansione seguita all'ultima guerra hanno scombussolato il mondo del lavoro, e questo è avvenuto perché il mondo del lavoro si è fatto imbrigliare – nella corretta comprensione della realtà delle condizioni di lavoro, là dove vigono i rapporti di produzione capitalistici – dal compromesso fordista. Saltato il quale, negli ultimi decenni il capitalismo si è visto costretto a mutare forma, progressivamente abbandonando il vecchio modello proprietario per adottare quello reticolare; ma, dacché il capitale è capitale, a una cosa non potrà mai rinunciare: la riproduzione allargata, la valorizzazione di sé stesso. Questo non può accadere perché il capitale non è soltanto un oggetto storico-empirico, ma è anche una struttura logico-ricorsiva; da questo ne discende che se lo si combatte soltanto sul piano della “praxis”, ma contestualmente non anche su quello della “theorein”, il fallimento è assicurato. Io credo che questo non fosse sfuggito a Lenin: da qui, l’esigenza di porre alla guida del movimento operaio l’avanguardia rivoluzionaria – e cioè il ceto intellettuale, formato e preparato dal partito comunista. Questo era, per sommi capi, il vecchio “centro di comando”. Oggi questa forma di centro di comando non sarebbe più riproponibile, almeno credo. Troppe cose sono intervenute a stravolgere il quadro delle relazioni industriali del modello fordista, non ultima l’iniezione massiccia di elementi allogeni (leggi: immigrati; ma secondo il mio giudizio: invasori) di cui si favorisce l’ingresso proprio allo scopo di minare unità e compattezza del fronte del lavoro. Questa duplice natura del capitale – logico-ricorsiva e storico-empirica – presuppone la convivenza in questo oggetto storico di due forme di temporalità, e l’attività di esso, la sua manifestazione nella realtà effettuale, deve obbligatoriamente discendere da questa duplicità. Altrimenti, non sarebbe possibile la riproduzione allargata. Questa struttura costituisce, perciò, una vera e propria omologia con la struttura dell’illuminismo – e in generale possiamo affermare che la monade storica “capitalismo” sia intrinsecamente illuministica. (A questo proposito, credo di avere individuato un certo numero di libri che se si volesse fondare un gruppo di studio avente lo scopo di provvedere un rinnovato movimento dei forconi o di giubbe gialle italiano, dovrebbe obbligatoriamente studiare e meditare: se vorrai, si potrà circostanziare meglio questo proposito.)

Possiamo star tranquilli, infatti, che l’illuminismo saprà continuamente superare, per non dire travolgere, tutti i limiti che in epoche passate – nelle quali, pur nel mezzo di feroci bagni di sangue, l’umano restava la misura delle cose, a cagione di un connaturato sentimento di leggi trascendenti che potevano essere violate, e lo erano, ma mai ignorate o scavalcate. Questo è il significato storico complessivo della civiltà latina. Sfortunatamente, l'illuminismo – inteso alla maniera di Horkheimer e Adorno – si è innestato nel punto debole di questo grande apporto storico che ha caratterizzato la latinità: la sua pretesa all'universalismo. Anche la merce pretende universalità, ma l'illuminismo universalistico della merce e del mercato si sta rivelando nella sua natura nichilistica. Qui sta, a mia impressione, la problematicità del nodo storico illuminismo-trascendenza-senso del limite: il nichilismo. Mi convinco sempre di più che l'illuminismo storico altro non sia che un epifenomeno su scala micrologica di quanto Nietzsche comprendeva sotto il potente concetto di nichilismo.

Di fronte a queste forze, quella del mondo del lavoro non poteva che essere una“sconfitta epocale” come tu molto opportunamente l’hai definita. Questa sconfitta è tale proprio perché è cambiata epoca, ma siamo diventati ormai troppo smaliziati per non sapere che essa non è la prima della storia, né sarà l’ultima, e non è questo quel che mi scoraggia. Lo scoraggiamento mi piglia, invece, quando leggo certi commenti anche sul tuo blog: io non so chi siano questi commentatori, cosa facciano nella vita per poter sopravvivere, se magari appartengano oggettivamente alla classe ideologicamente fiancheggiatrice della classe superiore, ma come avrai notato il lato politico del discorso è stato pressoché ignorato; al suo posto, abbondanti son fiorite le grandi pitture storiche dell’illuminismo, riferimenti al relativismo dei modelli culturali, voli pindarici sulla psicologia del profondo. C'è di che essere pessimisti? Certo è che da un humus come questo è ben difficile che possa sortire un “centro di comando”. Esistono però le giubbe gialle, e i pastori in rivolta e anche questo è un fatto. E se il centro di comando germinasse dal basso, allargandosi ad altri comparti produttivi gettati nella miseria dalla crisi? Che anche questi moti di rivolta possano essere disciplinati e ricondotti a forme “democratiche” di manifestazione, è probabile. Dicevamo che le sconfitte dei lavoratori rappresentano una costante storica, a partire da quella davvero tragica dei ciompi fiorentini dell’ultimo quarto del trecento. Non per questo, però, si deve desistere dalla prosecuzione della lotta, i mezzi della quale saranno da decidere di volta in volta, e certo non deve indurre a un ripiegamento dalla lotta in questa fase acuta della crisi la considerazione che una costante storica, proprio perché costante, è destinata ad avere ineluttabilmente la meglio. Confucio diceva: per fare un ricco ci vogliono mille poveri, mille poveri da sfruttare, intendeva dire: ma se questi mille poveri acquisiscono coscienza di essere la fonte di quella ricchezza, allora il “centro di comando” lo costituiranno da sé stessi: è il “cervello sociale” di cui parlava Marx che rivendica la sua quota di partecipazione ai profitti, quindi il cervello sociale è il vero centro di comando. Giubbe gialle e pastori sardi devono capire che potranno dare corso ad alcune ricadute positive se si faranno centro di comando di sé stessi, soviet di sé stessi, e mi conforta molto che i pastori sardi abbiano preso coscienza che la loro lotta deve svolgersi contro il vero tiranno di tutti noi: il “prezzo di mercato”! Ritengo questo elemento della lotta contro il prezzo di mercato, della coscienza della contraddizione tra prezzo di mercato e prezzo naturale non solo una piccola luce che s’intravvede alla fine del tunnel storico nel quale ci siamo dispersi, ma un fattore storico potenzialmente rivoluzionario, dal momento che la dinamica capitalistica della tensione tra prezzo di mercato e prezzo naturale, è definita da Marx, che la descrive all'inizio dei manoscritti del 1844, quale una della cause della miseria della classe operaia. Qui viene alla luce il collegamento con la dialettica di amico-nemico di Schmitt: le forze del mercato, gli agenti del commercio e della produzione capitalistica sono il nemico – punto. Te lo dice uno che lavora nella grande distribuzione, e che è attualmente a rischio di licenziamento.

Come vedi, non mi metto a discettare di differenza tra vetero e neoliberismo, tanto (come diceva Marx) è sempre la vecchia merda che ritorna. È palese, però, che una volta indicato il nemico (e sottolineo: “nemico pubblico”), il passo successivo, quello della lotta politica, deve rivolgersi contro le personificazioni di queste forze nemiche del lavoro, e senza temere di spingermi troppo in là, ti dico che in questo contesto sarebbe necessario recuperare il vecchio ma insuperato strumento pasoliniano del “processo” al Palazzo. Immaginati la scena: un tribuno del popolo, un nuovo Saint Just, occasionalmente sotto spoglia di un blogger o qualcosa del genere, si costituisce procuratore e formalizza un atto d’accusa contro i circoli liberali italiani, accusandoli di avere svenduto il lavoro nazionale agli interessi del mercato mondiale. La rete potrebbe essere utilizzata per organizzare una sorta di azione collettiva contro questi signori (che andrebbero identificati e indicati con nome e cognome), ma ovviamente l’istruttoria e l’imputazione dovrebbero assumere un formato permanente, tanto di malefatte questi signori ne hanno combinate così tante in danno al Paese, che la materia prima di questa inquisizione non verrebbe mai a mancare. Se questa iniziativa potesse marciare di pari passo con un movimento delle giubbe gialle interamente italiano, avremmo fondate aspettative che la prima fase di una resa dei conti con la borghesia italiana potrebbe diventare una realtà appena di là dall'orizzonte.

In fin dei conti, punti deboli ne hanno anche i nostri nemici. Come ben sai, esiste una “hybris” del potere che, nel caso di un dominio destinato a estendersi perché non trattenuto da alcuna Istanza contrapposta e contraria (essendo il “trascend-ens” trapassato nell’oblio del nulla) non può essere in alcun modo arrestato – se non da sé stesso, nel momento in cui il dominio totalizzato comincerà a farlo girare a vuoto.

Spero di non averti tediato oltremisura con queste mie considerazioni, e ti mando un caro saluto, a te e alla bella Ciociaria, sempre nel mio cuore.

Alberto

22 commenti:

  1. Caro Alberto, parli di "centro di comando" come presupposto per combattere una guerra per la democrazia e contro gli interessi che vogliono distruggerla. Ma mi/ti domando: quali sono i soggetti che potrebbero costituire questo "centro di comando"? Le realtà produttive grandi o piccole? A me sembra che tutte queste siano così spoliticizzate da non poter fare alcun affidamento su di esse. Allora le élites rivoluzionarie? Mi sembra che il massimo che siano riuscite a fare, in dieci anni e più, è la costruzione di piccoli gruppi settari, quando non addirittura congreghe di adoratori di qualche leader.

    Te lo dico francamente: sono scoraggiato e disgustato. Se il piddinume e il sinistrume mi fanno schifo, ebbene il mondo cosiddetto no-€uro, salvo un molto limitato numero di individualità coerenti e coraggiose, mi ha fatto letteralmente vomitare. Quanto al popolo: mi dispiace, ma devo dirti che il problema non è che esso sia disinformato, ma piuttosto che vuole essere disinformato, desidera esserlo, brama racconti e favole rassicuranti. Soprattutto, il popolo sogna tutte le notti che arrivi qualcuno che gli tolga le castagne dal fuoco sistemando le cose, così da consentirgli di continuare a fare quel che da sempre desidera sopra ogni cosa: lavorare per riprodursi. E basta.

    E tuttavia sono d'accordo con te, perché senza un "centro di comando" nulla sarà possibile. Dici le stesse cose che sostengo da sempre, che per invertire i processi in corso di distruzione della democrazia serve, è necessario, un movimento dal basso. Ma tu lo vedi questo movimento dal basso capace di costruire un "centro di comando"? Purtroppo sto perdendo la speranza.

    Ho visto, in questi anni, troppe persone in buona fede cadere vittime di inganni che era facile svelare, e sono state proprio queste persone gli ostacoli più insuperabili per condurre in porto una narrazione corretta e condivisa di ciò che accade, potrei dire da sempre. Per questa ragione, dopo le prime speranze di una possibile inversione dei processi in atto, che sono durate alcuni anni, a un certo punto mi sono posto un obiettivo più limitato: riuscire, almeno, a contribuire alla nascita di un embrione di organizzazione in difesa degli interessi del lavoro che fosse non dico egemone ma, almeno, dotata della qualità fondamentale: esistere. Ebbene, tra settarismi idioti e vergognosi tradimenti anche questa speranza si è rivelata, finora, del tutto vana.

    Accadono cose eclatanti che smentiscono chiaramente i proclami delle forze che si sono vergognosamente (schifosamente) appropriate delle tematiche sovraniste-costituzionali, parlo ovviamente del m5s e della Lega, eppure queste forze continuano ad essere considerate come un "passo avanti", mentre dovrebbero essere odiate e disprezzate ancor più dei nemici dichiarati: il PD, FI, gli euroimani in genere. Siamo arrivati al punto che persone a me care e stimate vengono a dirmi che la forza politica che, almeno a parole, più si avvicina nei programmi a ciò che noi sovranisti costituzionali sosteniamo da sempre, sia CasaPound, il che è tutto dire. E io cosa devo rispondere a persone a cui voglio bene e che ho stimato, quando vengono a dirmi che stanno lavorando con questi dementi di CPI che, nel momento in cui la Patria corre il serio rischio di essere liquidata, continuano a romperci i maroni con l'inutile tesi secondo cui "il fascismo ha fatto cose buone"? E va bene, sarà anche così, ma di cose fetenti ne avrà pur fatte, o no? E allora, che senso ha tirar fuori il fascismo quando la Patria muore?

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    1. Ho la sensazione che siano veramente pochi quelli che hanno capito la piega terribile degli eventi, e che buona parte di costoro (spesso i più capaci) abbia volontariamente scelto di vendersi a un nemico che, suppongo, deve essergli sembrato invincibile. Se posso capirli sul piano pratico, su quello morale provo per costoro il massimo disprezzo (o la massima pena, fai tu) perché se è vero che nessuno è obbligato a vivere da martire, è pur vero che l'unica scelta degna di un essere umano quando si trova davanti a un nemico invincibile è la fuga e non il volgare tradimento.

      Le ragioni di noi sovranisti costituzionali, patrioti e socialisti, sono così evidenti e cristalline, quanto diametralmente opposte a quelle del nemico, che mi rifiuto di considerare l'ipotesi che possano esserci persone in buona fede veramente convinte della possibilità di un'azione politica che non sia quella della contrapposizione pura e dura, senza cedimenti di sorta. Eppure è quello che è accaduto: gli opportunisti di ogni risma, che si sono precipitati sgomitando nel campo sovranista costituzionale patriottico e socialista quando questo appariva come un possibile "ascensore politico", oggi sono alla corte di un governo falsamente euroscettico, impegnato in vero nella definitiva frantumazione del nostro paese e alla sua riduzione a insieme di piccole entità geografiche! E la beffa delle beffe consiste nel fatto che è questo stesso governo a dichiarare per tabulas, oltre che nei fatti concreti quotidianamente ribaditi, la propria fede nella Leuropa, mentre i più cretini tra i cretini che se la bevono (e dunque anche i più attivi e dannosi) straparlano di strategggia!

      Non ho più parole né fiato, mi sento stanco, deluso e disgustato. Ho solo voglia di starmene a casa mia e di non parlare con nessuno, salvo talvolta, come in questo momento, spalmare merda sulla capa di questa gente come fosse brillantina Linetti.

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    2. Caro Fiorenzo quando le cose alle quali abbiamo dedicato energie e sogni vanno in malora è facile abbattersi, ma è anche vero che
      "Niente dura sempre, poche cose a lungo; varia solo il loro modo di essere fragili, il loro modo di finire, ma tutto ciò che ha avuto un inizio avrà anche una fine." ( SENECA )
      Buona Vita ,e su con il morale.

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  2. Ho fatto veramente fatica a leggere e comprendere, per mio difetto ovviamente, ciò che scrive il signor Alberto.
    In particolare non ho capito se secondo il Nostro tutti i mali del mondo moderno, tra cui il capitalismo, discendano dall' illuminismo o dal positivismo e sue deviazioni?
    Non capisco ancora e questa è una domanda che rivolgo a tutti, se il libero "prezzo di mercato" ovvero il liberismo siano il vero nemico e se le alternative ad esso, di cui abbiamo avuto tragici esempi nel secolo scorso, siano davvero così allettanti.

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    1. Sì, il "prezzo di mercato" è il vero nemico concettuale, ha ragione Alberto. Questo perché la dittatura del "prezzo di mercato" implica necessariamente la fine di ogni regolamentazione dei rapporti sociali basata su altro: che siano la professionalità, i diritti costituzionali e naturali, la dignità umana, tutto deve cedere il passo davanti al fatto che quando la "domanda" di un qualsiasi bene cala, chi produce quel bene debba perdere in proporzione, e non solo sul piano meramente economico ma addirittura su quello giuridico sostanziale e politico. Senza tener conto del fatto che ciò che rende più o meno "appetibile" dal mercato il prodotto di un individuo o gruppo sociale non è neanche un insieme di regole costanti e veramente non scalfibili, ma queste vengono continuamente modificate d'imperio, e sempre a favore di chi sta vincendo nella competizione, per consentirgli di continuare a vincere. Non credo ti servano esempi a tal proposito.

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  3. Ciao Fiorenzo in relazione a quale fu il ruolo del fascismo nel nostro Paese e nel suo sviluppo industriale, e quindi anche militare, bastano queste semplici cifre :
    Nel 1939 in Italia si estraevano 12.045 tonnellate di greggio, mentre in Albania se ne estraevano 141.220 per un totale di 153.265 tonnellate.
    Nel 1935 la relazione che arriva a Mussolini riferisce che l’Agip in Irak ha già raggiunto “ la quantità di circa 32.000 mila barili al giorno, corrispondenti a 1.750.000 tonnellate all’anno”. Un mare di greggio che avrebbe reso del tutto autonoma l'Italia dal punto di vista energetico, e perfino esportatrice. Ma il Duce quelle carte non le legge quasi distratto com’è dall’impresa coloniale vecchio stampo che ha deciso di condurre in Etiopia. Anzi proprio per finanziare quella guerra dispendiosissima, che agli inizi del 36 ordina all’Agip di liquidare tutto. Per 350.000 sterline offerte dalla Chase Bank il tesoro petrolifero Italiano torna all IPC: la stessa società cui il governo di Bagdad l’aveva sottratta quattro anni prima.”
    Se proprio vogliamo affondare il coltello sul regime, basta ricordare che i capi dello Stato maggiore delle tre armi, avevano stimato che il fabbisogno di greggio, in caso di una eventuale entrata in guerra dell'Italia, era di otto milioni e mezzo all'anno, quando nel 1939 e nel 1940 la macchina bellica tedesca, dopo le campagne di Polonia e Francia, non comparabile con quella Italiana, ne aveva consumato 8 milioni all'anno. Il consumo totale di greggio da parte delle tre armi, esercito, marina aviazione nei 39 mesi di guerra, giugno 1940, settembre 1943, ammonta a 5.312.000 tonnellate.
    Chiuso il capitolo fascista e la "lungimiranza" del suo capo e dei suoi collaboratori, secondo il mio personale punto di vista non si può superare la Dittatura del prezzo del mercato senza sottrarre il monopolio della creazione e distribuzione monetaria all'oligarchia bancaria. E questo problema non si risolve certamente con le armi della diplomazia. Pur di mantenere questo Monopolio l'oligarchia bancaria non si farebbe problemi a scatenare una guerra con qualche miliardo di morti. Non si può chiedere alla classe politica di una singola Nazione che dal 1945 non ha più la sovranità militare e conseguentemente di politica estera di risolvere questo ciclopico problema, verrebbe spazzata via in pochi secondi. Se un eventuale governo sovranista
    in Italia nazionalizzasse la Banca centrale, il giorno dopo le sue banche commerciali si troverebbero impossibilitate ad effettuare pagamenti transfrontalieri attraverso l'esclusione dalla piattaforma SWIFT. Sembra che abbiano costretto alle dimissioni Benedetto sedicesimo con questo sistema. Solo un conflitto vittorioso da parte dell'asse russo-cinese, nei confronti dell'impero angloamericano garante della dittatura bancaria potrà farci fuoriuscire da essa, ma non sappiamo quale sarà il modello che seguirà, potrebbe essere anche peggiore. Altra soluzione è un'implosione dall'interno degli Usa grazie a una rivolta interna.

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  4. Mi sono dimenticato di precisare che uscire dalla dittatura del mercato e uscire dall'euro sono due cose diverse. Sicuramente l'uscita dall'euro, sarebbe possibile con un altra classe politica e darebbe un pò di ossigeno all'economia asfittica di questo Paese. Ma non potremmo uscire dalla dittatura bancaria e sicuramente non potremmo recuperare la nostra totale sovranità politica che probabilmente non abbiamo mai avuto.

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  5. Ecco bisognerebbe per il momento limitarsi a rivendicare la sovranità monetaria, che già è un obiettivo poco meno che velleitario; chi predica che la sovranità monetaria sarebbe nulla senza uscire immediatamente dalla UE, dalla NATO e dal pianeta Terra, andrebbe emarginato.

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    1. L'uscita dall'euro implica necessariamente l'uscita dall'UE. Che non significa uscita dal capitalismo, ne sono ben conscio, però è anche ora che ti faccia una ragione della prima tesi, che ripeto: non si può uscire dall'euro senza uscire anche dall'UE.

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    2. Ci sono paesi che sono nella UE e che hanno la propria moneta; se gli UK non avessero avuto la sterlina col cappero che avrebbero fatto e vinto il referendum per la uscita; le cose si fanno per gradi.

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    3. Ippolito, una volta entrati nell'euro, uscirne significa uscire dall'UE, anzi le due cose devono essere contemporanee. Provo a spiegarmi. Concorderai con me che, in caso di uscita, si dovrebbero porre limiti, almeno temporanei, sia all'operatività delle banche che ai movimento di capitali, ebbene questo è proibito dai trattati. Si dovrebbero ridiscutere tutti i contratti stipulati in euro, e farlo sotto la cappa della legislazione UE sarebbe letale. Ti ricordo, ad esempio, il par. 1 dell'art. 107 del TFUE: «Salvo deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza.»

      Oppure, art. 123 TFUE: "Sono vietati la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della Banca centrale europea o da parte delle banche centrali degli Stati membri (in appresso denominate «banche centrali nazionali»), a istituzioni, organi od organismi dell'Unione, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l'acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali."

      In pratica, dopo averci messo in ginocchio con l'euro quei trattati ci dicono che, comunque, lo Stato non può intervenire nell'economia. Ovvio che, se non sei mai entrato nell'euro ma sei solo nell'UE, non hai bisogno di misure eccezionali perché probabilmente ti sei difeso nel tempo con tutti i trucchi consentiti dall'autonomia monetaria. Eppure, anche in quel caso, uscire dall'UE non è semplice (vedi UK). Ma uscire dall'euro, dopo essere stati stritolati dall'euro, è una battaglia campale che come primo atto presuppone, se la si vuol fare, di liberarsi contemporaneamente anche dei vincoli guiridici dell'adesione all'UE.

      In definitiva: o ti tieni l'euro e l'UE, oppure affronti la guerra. Pensare che si possa uscire solo dall'euro con qualche temporaneo sbandamento (come sosteneva Illo) e rimanendo nell'UE è una scemenza.

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    4. allora restiamoci nell' euro, come dice il Vate le "unioni monetarie finiscono sempre male per il paese più debole", allora perché perseguire questo " male"?

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  6. Nichilismo:
    "Ogni posizione filosofica che concepisca la realtà in genere o alcuni suoi aspetti essenziali, dai valori etici alle credenze religiose, dalla verità all'esistenza, nella loro nullità";
    Oppure:
    "Nichilismo attivo, nella filosofia di F. Nietzsche (1844-1900), quello che promuove e accelera il processo di distruzione degli ideali tradizionali, per rendere possibile l'affermazione di nuovi valori" Wikipedia

    A parte dio, che sembra ispiri una cricca di banchieri e benedica la ricchezza non solo etica dei protestanti, da "buon nichilista" fatico sempre a capire chi è il nemico e chi è l'amico, essendo tutti noi più o meno coinvolti nello stesso sistema globale di produzione/sfruttamento (a proposito di tribunali del popolo, PPP i manganellatori del futuro centro di comando dal basso li assolverebbe come a Valle Giulia?).

    Non so quanto sia filologicamente corretto far coincidere il capitalismo con l'illuminismo, e questo ultimo con il nichilismo, ma proiettare l'ombra del nemico sul contributo intellettuale di una riflessione che dura da secoli mi sembra il sintomo del moralismo alienante dei puri.

    Per me prescindere dai libri sacri, anche quelli marxiani, non è necessariamente un sintomo di inerte nichilismo, soprattutto se quei libri sono stati letti e in parte o in tutto confutati.
    Se l'approccio nicciano (trasvalutazione dei valori) incoraggia l'uomo a non temere di sfidare lo status quo (logico-ricorsivo, come scrive Alberto), oggi leggermente cambiato dai tempi della dittatura della morale giudaico-cristiana a cui l'approccio va riferito, allora per me quel metodo va preservato.

    L'alienazione moralistica dei puri è una pregiudiziale che escludendo la possibilità di con-vincere il nemico riduce la portata spirituale, cioè trascendente le parti, della proposta politica che si vuole incarnare; nonostante le buoni intenzioni la strada dei moralisti è lastricata di crimini; un buon esempio del difetto prospettico dell'approccio moralistico fondato sulla dicotomia amico/nemico è nella rappresentazione cinematografica del delirio del Col. Kurtz impersonato da Marlon Brando: "L'orrore ha un volto... e bisogna farsi amico l'orrore. Orrore. Terrore morale e orrore sono i tuoi amici ma, se non lo sono, essi sono nemici da temere, sono dei veri nemici".

    I limiti posti da una morale possono essere così vincolanti da farci collassare davanti a un nemico che ci vuole annichilire, è umano, inducendo a sua volta un superamento dei nostri limiti, svelando di questi la natura feticistica, forse solo orpelli atti a nascondere un pregresso nichilismo spirituale applicato alla politica.

    Quando siamo fortunati, e creativamente umani nel coltivare relazioni sociali che non si guastano per le divergenze strategiche in politica, è la dimensione esistenziale-spirituale che in-forma quella Politica, quando la Politica non è solo annichilimento della controparte.

    No, per me la Spiritualità non è moralismo o fideismo e la politica non è sacra, semmai è sacra la risata che sa dissacrarla.

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    1. Benissimo, nel frattempo che lei ride e dissacra, la cricca dei banchieri, calice alla mano, amichevolmente la saluta...

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  7. Il problema della strategia, secondo me, esiste, e constatare che i vari eroi no-euro si stiano coprendo di ridicolo, cosa sulla quale concordo, non toglie consistenza al segnalato problema.

    Se ti presenti alle elezioni con un programma che al primo punto dice: "Uscita unilaterale dall'Unione Europea, rifiuto delle 4 libertà del liberalismo che consistono nelle completamente libere circolazioni di capitali, merci, servizi e persone, piena attuazione della Costituzione socialdemocratica originale del 1948", si pone un problema di successione cronologica di tappe.
    Provo a spiegarmi con un esempio.

    SCENARIO.

    Immaginiamo le elezioni future e poniamo che si tenessero nel marzo del 2023.

    Una coalizione sovranista costituzionale come quella che brameremmo sta costruendo attorno a sé un enorme consenso, e nel marzo 2022, un anno prima delle elezioni, i sondaggi la danno sul 40% o addirittura sul 51%.

    Man mano che si avvicinano le elezioni, con la relativa campagna elettorale, questa coalizione sovranista costituzionale, anche immaginando che appunto goda di un forte consenso popolare, che genere di ostacoli si troverebbe di fronte, senza avere la possibilità di agire in alcun modo (ricordiamo che ancora non sono al governo, per il banale fatto che le elezioni ancora NON ci sono state!)?

    Ostacoli quali la fuga massiccia di capitali? Imponenti attacchi speculativi di vario genere?

    Personalmente, data la mia ignoranza, non saprei dettagliare, mi premeva però solo far notare che ci sarebbe una fase temporale dove inevitabilmente si scatenerebbe una tempesta senza che i futuri governanti sovranisti costituzionali avessero gli strumenti per affrontarla (giacché ancora non sarebbero governanti, ma solo... candidati). Ripeto: inevitabilmente. Necessariamente.

    Quindi, se le elezioni fossero al marzo 2023, come gestire il periodo che giunge lì e parte da marzo 2022? Ma anche da luglio 2022, volendoci avvicinare; ma anche da dicembre 2022, volendoci avvicinare ulteriormente.

    Spero sia chiaro il senso generale del mio discorso.

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    1. Molto chiaro, ma qui affiora l'importanza del valore tattico della menzogna.

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  8. ma avete tutti mangiato pesante negli ultimi giorni?

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  9. @Punt e Mes

    Rispondevo più al “come” che al “cosa” fare, sebbene i mezzi prefigurino i fini.

    A me non convince un centro di comando dal basso fondato sulla superiorità morale di persone che hanno come uno dei punti strategici l'individuare la presunta o reale mancanza di limiti dell' amico/nemico, perché credo che a parità di condizioni disumane (come potrebbero essere quelle a cui viene sottoposta la prole delle élite, dove l'eventuale delirio di onnipotenza ereditato impedisce di contattare l'intima fragilità della condizione umana, rispetto al bisogno d'amore e, quindi, di sane relazioni sociali) reagiamo istintivamente regredendo tutti alla stessa maniera, come direbbe Marx.

    Per me il centro di comando in charge ha nome cognome e religione: Rothschild e rampolli derivati.
    Credano in dio o in satana, cazzi loro, ma è sulla dicotomia amico/nemico che hanno fatto la loro fortuna (Pietro Ratto su Byoblu).

    Non è grazie a dio o satana che usciremo fuori dalla schiavitù finanziaria, la prova sono i gaudenti della globalizzazione che si baloccano nell'etica protestante, ringraziando dio per l'abbondanza (dei servi).

    Come la mafia descritta da Falcone la dittatura finanziaria finirà come tutti i fenomeni umani; cosa sono 2-3 secoli di fortuna materiale di una famiglia vorace nella storia dell'umanità?
    Perché dovremmo angosciarci per gente che invecchia si ammala o muore come noi?

    Per me il centro di comando dal basso deve essere scaltro abbastanza da non privarsi del contributo intellettuale di una riflessione che ha acceso il lume della ragione davanti alla realtà, per spingersi fino al punto di riconoscere i propri limiti nel comprendere la natura di quella stessa realtà, essendo l'uomo parte di essa, insieme oggetto e soggetto, inesplicabile mistero, possibilmente da celebrare piuttosto che esserne frustrati, per quel senso di infinito che non possiamo controllare, confinare o predire.

    Ma tornare al mito di un dio che non vuole essere sfidato sulla conoscenza non aiuterebbe, significherebbe perpetuare la storia, a colpi di clava.

    Se il potere logora chi non ce l'ha allora è chi non sa amare che si logorerà, quindi restare creativamente umani è la base Spirituale della Politica, che offre al nemico almeno una volta la possibilità di aderire a una opzione più alta, che trascende le parti.

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  10. secondo voi gli en€rchi preferiscono avere lo stipendio in Euro oppure in nuove lire?

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  11. Caro Ippolito, io non sono riuscito nemmeno ad arrivare alla fine dell'articolo non per la pesantezza concettuale, ma per i concetti in se stessi. Già parlare di centro di comando è un aberrazione, ma leggere frasi
    "un tribuno del popolo, un nuovo Saint Just, occasionalmente sotto spoglia di un blogger o qualcosa del genere, si costituisce procuratore e formalizza un atto d’accusa contro i circoli liberali italiani, accusandoli di avere svenduto il lavoro nazionale agli interessi del mercato mondiale. La rete potrebbe essere utilizzata per organizzare una sorta di azione collettiva contro questi signori (che andrebbero identificati e indicati con nome e cognome), ma ovviamente l’istruttoria e l’imputazione dovrebbero assumere un formato permanente, tanto di malefatte questi signori ne hanno combinate così tante in danno al Paese, che la materia prima di questa inquisizione non verrebbe mai a mancare."
    è versione del Grande Fratello di Orwell visto da sinistra invece che dai globalisti. Mi sono venuti alla mente Di Pietro e Travaglio.
    Per me il nostro anonimo A.B. è classificabile fra le persone rancorose che stanno perdendo il lavoro e covano rancore per il capitalismo tout court. Ma questo ci può stare è umano molto umano. Quello che non quadra è rivestire questo rancore personale sotto categorie filosofiche.
    Quindi ho cestinato il resto dello scritto.
    Ccà nisciuno è fesso.
    Buona Vita

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    1. Unica risposta possibile: https://youtu.be/UcvoVu0ZVlE

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