La traccia dell'intervento
Dicono i ricchi che
uscire dall'euro sarebbe devastante per i poveri.
La penetrante richiesta di onestà nella vita politica è l'ideale che
canta nell'anima di tutti gli imbecilli - B. Croce, Etica e politica, 1931.
Ho scelto questa frase di Benedetto Croce non perché io
pensi che l'onestà non sia una
qualità morale importante per il benessere di una nazione. Al contrario, questa
come altre qualità morali è fondamentale, ma esse non possono spiegare i
cambiamenti improvvisi. Ciò perché la struttura etica di una collettività, cioè
l'insieme delle regole condivise, dei tabù sociali, degli stili di vita,
insomma tutto ciò che caratterizza una civilizzazione, sono elementi che
cambiano in modo relativamente lento. Per dire, nel settecento i tedeschi erano
considerati i peggiori soldati d'Europa, e in generale avevano fama di essere
un popolo pigro, indolente, incline al consumo di birra, indisciplinato.
Centocinquanta anni dopo le cose erano cambiate radicalmente, ma i tedeschi di
Bismark non erano gli stessi che aveva trovato Federico II di Prussia nei primi
anni del suo lungo regno (1740-1786).
Certamente il profilo etico di un popolo ha particolare
importanza a livello amministrativo, cioè colà dove non si ha la responsabilità di assumere decisioni politiche, ma
solo quella di eseguire ciò che altrove è stato deciso. Tuttavia la causa del
progressivo peggioramento delle condizioni di vita, al quale assistiamo in
tutta Italia, non può e non deve essere ricercata in un improvviso quanto impossibile a verificarsi abnorme degrado del
profilo morale delle classi politiche locali. Queste sono, più o meno,
simili a quelle che amministravano 10, 20 o 30 anni fa.
Dunque è necessario cercare altrove le ragioni del
peggioramento.
Credo che l'indice migliore al quale possiamo riferirci sia
il tasso di disoccupazione. Possiamo isolare 5 periodi:
- 1960-1975 (stabilmente bassa)
- 1975-1987 (salita rapida)
- 1987-1999 (stabilmente alta)
- 1999-2008 (discesa rapida)
- 2008-2014 (salita rapida)
A questa variabilità del tasso di disoccupazione
corrispondono dei fondamentali cambi di struttura in politica e in economia,
dei quali mi occuperò brevemente. Per farlo mi aiuterò con un altro grafico,
che riporta il tasso di inflazione e la quota salari.
Il 1° periodo si conclude nel 1975 con un massimo
dell'inflazione e della quota salari. A partire da quella data la quota salari
inizia a declinare, di conserva con l'inflazione. Entrambe raggiungono un
minimo intorno al 1999, l 'anno
di ingresso nell'euro. Rispetto al massimo del 1975 la quota salari perde quasi
12 punti percentuali, ponendosi al di sotto del livello del 1960.
Nel 1975 si svolse un G7 al quale fu invitata per la prima
volta anche l'Italia. Gli inglesi e gli americani premevano per il rilancio di
una strategia atlantica, mirata alla creazione di un'area di libero scambio
nella quale coinvolgere anche il Giappone. Gli europei, in particolare Francia
e Germania, propendevano invece per la trasformazione della CEE in un'area a
moneta unica, uno scenario che per gli anglo-americani non aveva futuro in
assenza di un'unione politica effettiva, difficile da realizzarsi.
Prevalse la visione franco-tedesca, alla quale l'Italia si
accodò. L'idea di base era quella di vincolare i tassi di cambio delle monete
per procedere, in un secondo tempo, verso la moneta unica. A questa avrebbero
fatto seguito, quando necessari, i provvedimenti indispensabili per realizzare
l'unione politica. Questo percorso ci è stato presentato in termini positivi
senza informare le popolazioni coinvolte dei rischi insiti nel processo. In
effetti il percorso scelto - partire
dalla moneta per arrivare all'unione politica - è praticabile solo se le
economie più forti, quindi a più bassa inflazione, innalzano i consumi interni
concedendo aumenti salariali, mentre quelle più deboli li diminuiscono contenendo
gli aumenti salariali. Per questa ragione dopo il vertice ebbe inizio, in
Italia, la stagione dei cosiddetti "sacrifici".
La politica dei "sacrifici", inaugurata dal
governo Andreotti nella seconda parte del 1976, poggiava sull’accordo con il
PCI che, ansioso di entrare nell’area di governo, accettava di esercitare
pressioni sul maggiore dei sindacati, la CGIL, affinché non si opponesse. Per
Cossiga, la condizione per far entrare il Pci nell’area di governo era data “dalla capacità o meno di far accettare alla
classe operaia i sacrifici necessari per uscire dalla crisi economica” (da
la Repubblica). Ancora su la Repubblica, il 24 gennaio 1978, comparve
un’intervista a Lama, divenuta celebre, intitolata “Lavoratori stringete la cinghia”, nella quale dichiarava: “Ebbene, se vogliamo esser coerenti con
l’obiettivo di far diminuire la disoccupazione, è chiaro che il miglioramento
delle condizioni degli operai occupati deve passare in seconda linea”.
Ricordate la contestazione a Luciano Lama nel 1977
all'università? Gli studenti gridavano, ironicamente, "sacrifici
sacrifici sacrifici".
Il principale oppositore di questa linea era Aldo Moro. Con
la sua scomparsa per mano delle Brigate Rosse la linea di Andreotti prevalse. Questi
alla fine del 1978, con il corpo di Moro ancora caldo, sorprese tutti
riproponendo e ottenendo l'adesione dell'Italia allo SME, l'accordo di cambio
promosso dall'asse franco-tedesco. Vi riporto il commento tranciante di Luciano
Barca: " Europa o non Europa questa resta la mascheratura di una politica di
deflazione e di recessione anti operaia".
Dal 1978 al 1999, per un ventennio, la quota salari e
l'inflazione precipitarono di conserva. Per quanto riguarda la quota salari,
stiamo parlando di 12 punti di PIL, qualcosa come 150 mld di euro l'anno in
salari che, dal remunerare il lavoro, sono finiti in profitti! C'è qualcuno che vuole parlare ancora di
corruzione?
In questo "ventennio"
ci sono stati molti altri fatti sui quali sorvolo. Mi limito a citare il divorzio Tesoro-Banca d'Italia del 1981,
il processo di liberalizzazione dei
movimenti di capitali che ebbe luogo dal 1986 al 1990, la ratifica del trattato di Maastricht nel 1992 passato
pressoché inosservato a causa del ciclone "mani pulite".
Nel 1999 entrammo
nell'euro. Consentitemi di sorvolare sulle polemiche relative alle speculazioni
che si scatenarono, limitandomi a sottolineare che si trattò di una
redistribuzione di reddito che rimase comunque confinata all'economia nazionale.
Il dato di gran lunga più interessante è che, a partire dal
1999 e fino al 2008, si assiste a una fase di crescita economica in cui:
- l'inflazione si stabilizza
- la quota salari ricomincia a crescere guadagnando 4 punti di PIL
- la disoccupazione scende dall'11% al 6%
- anche il debito pubblico scende, dal 113% al 103%
Ora la domanda è: perché
un'economia che presenta un andamento così positivo entra improvvisamente in
crisi? E ancora: perché analogo destino occorre ad altri paesi che avevano
indici altrettanto positivi, se non addirittura migliori? Per dire: la Spagna
aveva un debito/PIL del 36%, l'Irlanda del 25%, il Portogallo del 63%.
Credo che siate d'accordo sul fatto che ciò non può essere spiegato con l'ipotesi corruzione, perché
dovremmo ammettere che improvvisamente, e in tutti i paesi della periferia
d'Europa, vi sia stato un improvviso peggioramento delle qualità morali delle
classi dirigenti, anche nell'Irlanda (la tigre celtica) e nella Spagna del
compagno Zapatero! Siamo seri!
In Italia,
dall’inizio della crisi:
- abbiamo perso 9 punti di PIL
- abbiamo perso il 25% della produzione
industriale e il 20% della capacità produttiva
- il reddito disponibile è calato
dell’11% in termini reali
- la disoccupazione è al 13% (dal 6%)
quella giovanile al 43% (dal 18%)
La spiegazione alternativa è che l'architettura dell'Unione
Europea, oltre ad essere improntata ai principi del più sfrenato
liberoscambismo, e dunque contraria agli interessi del mondo del lavoro, è
anche profondamente sbagliata. Per funzionare l'Europa avrebbe dovuto adottare
uno stile cooperativo, una cosa che, di per sé, confligge con il principio
della concorrenza assoluta. L'Unione
Europea è fondata su un ossimoro, che chiamerò liberismo cooperativo.
In base a questa impostazione, gli stati più competitivi,
dunque più produttivi, avrebbero dovuto aumentare i consumi interni, cioè i
salari, mentre in quelli meno produttivi i salari avrebbero dovuto essere
compressi. Dall'incontro tra questi due comportamenti sarebbe sorto un
equilibrio che, si noti, sarebbe stato di natura profondamente dirigista, e
dunque in contrasto con il principio di concorrenza: un altro ossimoro. Quello
che invece è accaduto è che nei paesi più produttivi i salari sono stati
compressi, mentre in quelli meno produttivi sono cresciuti più del dovuto.
Il ciclo di Frenkel
In effetti, grazie all'abolizione del rischio di cambio che
liberava i prestatori dal timore di vedersi restituiti i prestiti in moneta
svalutata, i capitali hanno cominciato a defluire dal centro per andare a finanziare
la periferia. Ciò ha determinato la compressione dei salari al centro e ha
innescato un eccessivo aumento degli stessi nella periferia. In pratica, la
crescita dei paesi della periferia è stata finanziata a debito con i soldi che,
invece di remunerare i più produttivi lavoratori del centro, hanno arricchito
le banche, cioè i capitalisti che avevano maggiori profitti proprio perché
sottopagavano i lavoratori!
La crisi è esplosa quando il flusso dei finanziamenti dal
centro alla periferia si è interrotto, dopo la crisi dei subprime americani.
Ciò ha innescato un crollo della produzione, una lunga serie di fallimenti
bancari di cui il settore pubblico si è fatto carico, dunque un aumento
repentino dei debiti pubblici. Non solo! Davanti al rifiuto dei paesi del
centro di riequilibrare la situazione attraverso la concessione di imponenti
aumenti salariali (o in alternativa
attraverso la condivisione del rischio: gli eurobonds) la soluzione
adottata è stata quella di ridurre i redditi dei cittadini.
E fu subito Monti!
Non si capisce il senso dell'azione del governo Monti se non
si ha chiaro il fatto che nel lungo
periodo le esportazioni e le importazioni si devono uguagliare, altrimenti
un paese dipende in maniera crescente dai capitali esteri. Poiché le importazioni dipendono dal reddito dei
cittadini, in un sistema di libera circolazione e concorrenza e una moneta sopravvalutata vi sono due
strumenti possibili: la svalutazione e/o la compressione dei redditi. La svalutazione però è inibita con l'euro,
dunque non rimane che la compressione dei redditi.
La compressione dei redditi può essere perseguita in due
modi: per via fiscale o per mezzo della deflazione salariale, cioè attaccando i
diritti dei lavoratori. Il governo Monti ha operato sul lato fiscale; Renzi,
con il jobs act, sta agendo su quello salariale.
Entrambe queste misure di politica economica deprimono il
PIL causando disoccupazione, la quale a sua volta alimenta un'ulteriore calo
dei salari, quindi dei prezzi. Quando questo circolo vizioso si instaura si
cade in deflazione, una condizione che assomiglia allo stallo di un aereo: il
rischio di precipitare improvvisamente in una depressione disastrosa diventa
altissimo.
La tendenza alla caduta dei prezzi, cioè la deflazione, ha
l'effetto di indurre gli imprenditori a rimandare gli investimenti. Infatti non
è conveniente investire oggi per vendere domani a prezzi più bassi. Se la
crisi, con il suo portato di disoccupazione e povertà, fa soffrire i
lavoratori, la deflazione terrorizza le
classi dominanti perché i suoi effetti sono rapidi e ingestibili. In
Germania, ad esempio, i disoccupati passarono da uno a sei milioni nel periodo
1929-1932! Per contrastare la stagnazione dei prezzi in una fase di recessione,
quando cioè questi tendono naturalmente a crescere poco (o addirittura
scendono), si possono usare metodi non
convenzionali. Uno di questi è il QE. La sostanza delle cose è questa: è
vero, i prezzi scendono perché c'è poca domanda, ma, per evitare il peggio,
cioè per evitare la gelata causata dalle decisioni degli imprenditori di
rimandare gli investimenti, faccio aumentare i prezzi artificialmente inondando
le banche di liquidità.
E' un'operazione sul filo del rasoio perché l'aumento dei
prezzi così ottenuto è orientato a stimolare solo i consumi delle fasce più
ricche, mentre l'esistenza di chi ha redditi bassi e calanti si complica, anche
a causa dell'aumento artificiale dei prezzi. In definitiva il QE serve a
guadagnare tempo per consentire il completamento della deflazione salariale, senza
che nel frattempo il sistema economico abbia un vero e proprio infarto.
Da ciò segue che assisteremo, nei prossimi mesi, ad
ulteriori attacchi sul fronte del lavoro. In questo quadro la proposta,
sostenuta anche dal M5S, di introdurre un Reddito di Cittadinanza, è
perfettamente coerente. Il problema è sostanzialmente di natura politica, cioè
trovare una giustificazione per far passare il RdC in cambio di un intervento
strutturale sulle pensioni, di cui si vocifera da tempo il passaggio, per
tutti, al metodo contributivo.
L'aggettivo "strutturale"
è importante, e merita una spiegazione. L'idea è quella di utilizzare i flussi
di reddito "certi",
derivanti dai trattamenti pensionistici in essere, per finanziare un
provvedimento che si immagina "temporaneo",
in attesa che la crisi passi e la disoccupazione scenda. Con l'ulteriore
vantaggio di imprimere una forte spinta al mercato delle pensioni integrative,
saldamente in mano al settore finanziario privato.
In definitiva siamo davanti a una politica economica che non
solo scarica sui lavoratori il costo di una crisi che è il risultato di un
errore di progettazione dell'UE, ma si coglie l'occasione per compiere un
ulteriore passo avanti nella direzione di un assetto liberistico e
privatistico. Al punto che non è più tacciabile di complottismo chi ipotizza
che la crisi stessa sia stava prevista, voluta e finanche provocata.
come faremmo senza i ricchi che hanno così a cuore il nostro bene.
RispondiEliminaringraziarli per l'altruismo è il minimo.
E poi dici che non sei un economista , la tua è una vera lectio magistralis !
RispondiEliminaFabio, ci sono le cose che uno può fare, se vuole, e quelle che non può fare, anche se volesse, fortissimamente volesse. Io avrei potuto fare l'economista (mio padre mi spingeva in quella direzione) ma ero troppo interessato ad altro.
EliminaAlla fine, ci sono le cose che uno ha fatto, dove ha una certa competenza, e quelle che non ha fatto. Per queste ultime non c'è niente da fare: o ti metti a studiare quello che serve, oppure lasci perdere e ti risparmi il ridicolo.
Io non ho studiato economia. Punto. Dunque in questo campo sono solo un sub divulgatore.
Sono invece un politico, perché un politico deve avere una cultura ad ampio spettro (oltre a qualche competenza in almeno un campo specifico) e queste caratteristiche mi appartengono grazie a una natura fondamentalmente eclettica.
Dice: sei un politico ma non ti votano! Giusto, è colpa del mondo che non mi capisce. Ho detto che sono un politico, non una fogliolina trasportata dal vento.