l’esercito, uno a testa."
Uno schiavo a testa, dunque. Il che significa che arrivarono a Roma, solo in seguito alla battaglia di Alesia, più o meno 80.000 schiavi. In realtà, in seguito ai successi delle sue guerre espansionistiche, a Roma arrivarono centinaia di migliaia di schiavi, il cui effetto fu quello di rendere superflua la forza lavoro del ceto agricolo, che infatti cominciò ad inurbarsi. Una situazione politicamente pericolosissima, che sarebbe durata secoli, ma alla quale si pose rimedio con...
... un bel reddito di cittadinanza.
La cui forma furono le distribuzioni di grano a spese dell'erario. A queste si aggiunsero, dopo un po', misure di natura keynesiana: i giochi del circo e la pratica dell'evergetismo (l'equivalente dell'intervento dello Stato nell'economia). Naturalmente, anche le spese per il lusso, e non solo le donazioni "al popolo romano", contribuirono alla circolazione della ricchezza. Il sistema funzionò, tanto da assicurare oltre due secoli di pace sociale.
L'unico prezzo da pagare fu la fine della repubblica e l'avvento dell'impero. Il perimetro all'interno del quale il potere effettivo veniva esercitato si ridusse progressivamente, fino al punto di essere la causa sistemica della seconda guerra civile romana, che esplose sul finire del II secolo ed ebbe conseguenze drammatiche per la stabilità dello Stato romano. Il potere si era talmente concentrato in poche mani che vennero a mancare i contrappesi necessari ad impedire che le ambizioni personali prendessero il sopravvento sull'interesse dello Stato.
Credo che una dinamica simile sia in opera anche oggi, nel ricco e potente occidente, sia per effetto del suo imperialismo, sia, e in misura sempre più veloce, come conseguenza dei progressi tecnologici. Il cui effetto non è diverso da quello prodotto dall'introduzione degli schiavi nell'economia romana, fatta salva ogni considerazione morale. Sebbene, a ben pensarci, la tecnologia è un prodotto non solo dell'innovazione, ma anche degli atti predatori posti in essere per accaparrarsi le materie prime necessarie ad alimentarne la pervasiva diffusione in ogni aspetto della vita organizzata.
L'espulsione dal ciclo produttivo di centinaia di milioni di lavoratori, come conseguenza dell'innovazione tecnologica, pone il duplice problema, politico ed economico, di gestire la riduzione del perimetro al cui interno si esercita il potere effettivo, come pure di assicurare il minimo di circolazione della ricchezza necessario ad evitare l'implosione del sistema.
Il prezzo di una soluzione basata su qualche forma di reddito di cittadinanza, comunque questa verrà architettata, non può che essere la fine della democrazia come l'abbiamo conosciuta, insieme ad una progressiva concentrazione del potere effettivo. Un neoevergetismo si imporrà, prendendo le forme di generose elargizioni della classe dei proprietari al fine di stabilizzare una dinamica che, lasciata a sé stessa, causerebbe troppo rapidamente ingestibili aumenti delle disuguaglianze di ricchezza.
Purtroppo tale processo difficilmente potrà raggiungere uno stato stazionario, per l'ottenimento del quale è necessario un equilibrio di forza politica tra la classe dei proprietari e quella dei lavoratori. In mancanza di ciò la concorrenza, che è quel principio in base al quale "vincere cambia tutto", cioè chi comincia a vincere è avvantaggiato e continua a vincere, produrrà disuguaglianze crescenti e, alla fine, una crisi di civiltà. Che non sarà, tuttavia, la riscossa del proletariato mondiale, come sognano i negriani, bensì una situazione di conflitti crescenti tra i grandi centri di potere, cui seguirà una guerra civile capitalistica e la fine del nostro mondo.
Qualche giorno fa discutevo con un amico liberista, al quale dissi di essere statalista. Nel senso cioè che considero essenziale, per il mantenimento della stabilità sociale, la presenza di uno Stato che svolga una funzione redistributrice, governata democraticamente e non lasciata al buon cuore dei proprietari. Apriti cielo! Il mio amico cominciò a sostenere con veemenza che lo Stato deve essere "minimo", che tutto deve essere lasciato alla mano invisibile del mercato, che eventualmente per i più poveri (ma solo per i più poveri, mica per i fannulloni) ci devono essere delle forme di tutela, e naturalmente che sono un comunista. Inutilmente cercai di argomentare che l'unica vera funzione economica dello Stato è quella redistributiva, necessaria e indispensabile anche solo per conservare stabilmente un determinato assetto della ripartizione della ricchezza, sia pure ingiusto. Perché senza di ciò si andrebbe necessariamente incontro non solo a un aumento accelerato delle disuguaglianze, ma soprattutto a una riduzione progressiva del perimetro al cui interno si esercita il potere effettivo, cioè il potere politico.
Ed è questa la vera deriva che occorre contrastare, contro la quale qualsiasi reddito di cittadinanza non ha alcun effetto, anzi è controproducente. Ma non è una battaglia facile. Ve li immaginate i legionari di Cesare rinunciare al loro schiavo gallo, dopo anni di guerra? Una guerra privata, peraltro, condotta da Cesare indebitandosi! Allo stesso modo, riuscite a immaginare i cittadini del ricco occidente che rifiutano i meravigliosi giocattoli tecnologici? Li compreremo, magari a rate, e per quelli che non potranno ci sarà il reddito di cittadinanza. Con il quale potranno permettersi, sempre a rate, di acquistare i giocattoli tecnologici della generazione precedente.
Se ci pensate, è già così: una volta i nostri padri compravano automobili nuove, oggi le compriamo usate. Certo, sono pur sempre migliori di quelle nuove dei nostri padri, ma a troppi sfugge un dettaglio: i nostri padri erano all'interno del perimetro, noi cominciamo ad esserne fuori.
Post delizioso.
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