sabato 24 febbraio 2018

Le divergenze tra un sovranista costituzionale e Marco Rizzo

Nell'ultimo post ho espresso le mie preferenze elettorali: per il FSI alle regionali del Lazio e per il PCI guidato da Marco Rizzo alle politiche. Ho anche aggiunto che, sebbene tentato, per il momento non aderirò al PCI. Voterò PCI alle politiche del (febbraio) 2018 perché non c'è nessuna lista sovranista e costituzionale che si presenta, tali non essendo né (ovviamente) CasaPound, né la Lega. Non perdo tempo a spiegare perché CasaPound non è compatibile col sovranismo costituzionale, e neppure perché la Lega sia per me invotabile.

Adesso voglio chiarire perché, pur votando PCI per il suo collocarsi su una linea di chiara e inequivocabile critica dell'UE e della NATO, non me la sento - ancora - di inoltrare richiesta di adesione. Ci sono infatti alcune questioni fondamentali, nella posizione politica del PCI, nelle quali non mi riconosco. Cominciamo tuttavia da quel che mi piace, al fine di rinforzare la spiegazione del motivo per cui lo voterò. Trovo scritto nel documento congressuale del 2017:

«Tesi 21 - L’Unione Europea rappresenta un polo imperialista costruito sulla base degli interessidel  grande capitale monopolistico europeo, attraverso una serie di compromessi tra le forze nazionali che lo compongono. Nella necessità di una vasta apertura dei mercati oltre i confini nazionali le classi dominanti europee hanno realizzato un’unità economica che oggi dispiega appieno, anche attraverso le proprie strutture politiche, l’attacco alle classi popolari e il rafforzamento degli interessi del capitale. L’Unione Europea rappresenta una struttura internazionale irriformabile, sorta per le esigenze strutturali del capitale e guidata da forze imperialiste.»

Potrei citare altri brani tratti da altre tesi, ad esempio le 15 e 16 sulla NATO e il suo ruolo, sulle quali sono d'accordo, ma tanto basta per votarli. Il punto di dissenso riguarda, oltre alla strategia d'azione su cui pure ho qualche perplessità, soprattutto la prospettiva generale.

Qualche aspetto aspetto problematico


Sottopongo alla vostra attenzione parte della tesi 36 (grassetto aggiunto):

«Tesi 36 - ........ Come insegna Lenin e come la storia dimostra, la proprietà privata di qualsiasi mezzo di produzione, indipendentemente dalle sue dimensioni, riproduce “giorno per giorno” il capitalismo e tende a imporlo come modo di produzione dominante anche dopo la vittoria politica della rivoluzione, in quanto mantiene le basi materiali per la conservazione della borghesia come classe e lascia intatto tutto il suo potere economico. Inoltre, l'esistenza di un settore privato perpetua l'anarchia della produzione, impedendo e vanificando la pianificazione, in quanto sfugge al controllo dello stato. Al contrario, solo la soppressione della proprietà privata e la socializzazione totale dei mezzi di produzione possono avviare il processo di estinzione delle classi e garantire uno sviluppo economico pianificato e stabile, finalizzato non allo scambio mercantile, ma al soddisfacimento dei bisogni materiali e spirituali dell'uomo. Consentire dopo il XX congresso la nascita di una “seconda economia” privata in URSS ne è stata probabilmente la causa principale del dissolvimento in quanto ha creato con le politiche gorbacioviane danni enormi all'economia socialista, corruzione e la costituzione di una base sociale, fino al sovvertimento della società socialista.»

e un brano della tesi 4 (grassetto aggiunto): «Vi sono quindi dei punti – a partire dal rifiuto delle concezioni riformistiche, parlamentaristiche, elettoralistiche, e dalla necessità storica della dittatura del proletariato come forma di transizione alla società socialista-comunista – che non possono essere messi in ombra in nome delle peculiarità nazionali.»

Dunque "dittatura del proletariato come forma di transizione alla società socialista-comunista", con l'ambiguità della dicitura "società socialista-comunista" e, soprattutto, il passaggio della tesi 36 laddove si afferma (grassetto aggiunto) che «la proprietà privata di qualsiasi mezzo di produzione, indipendentemente dalle sue dimensioni, riproduce “giorno per giorno” il capitalismo e tende a imporlo come modo di produzione dominante anche dopo la vittoria politica della rivoluzione, in quanto mantiene le basi materiali per la conservazione della borghesia come classe e lascia intatto tutto il suo potere economico. Inoltre, l'esistenza di un settore privato perpetua l'anarchia della produzione, impedendo e vanificando la pianificazione, in quanto sfugge al controllo dello stato.»

Perché non posso inoltrare richiesta di adesione al PCI, pur votandolo


Io credo che la nascita, nel corpo sociale, di rapporti economici - e non solo - di natura privatistica sia un fenomeno assolutamente endogeno, e in quanto tale insopprimibile, a meno di non voler forzare la natura umana profonda. Siamo dunque all'ennesima riproposizione della faustiana ambizione, non esclusivo monopolio dei comunisti, di forgiare una nuova umanità. Ma se una parte dell'uomo vuol sollevarsi dalla polvere, l'altra si aggrappa al mondo in una bramosia d'amore: «due anime vivono nel mio petto - dice Faust». Un risultato per raggiungere il quale è, ahimè, necessario passare per la fase della "dittatura del proletariato". Detto con Bertold Brecht: «Il Comitato centrale ha deciso: poiché il popolo non è d'accordo, bisogna nominare un nuovo popolo».

Ben diverso è l'approccio di un sovranista costituzionale come chi scrive, che non ha alcuna illusione circa la possibilità di cambiare per decreto la natura dell'uomo. Questa, determinata dalle condizioni oggettive della sua esistenza, come sostengono i comunisti, sarebbe invece modificabile per mezzo della dittatura del proletariato, grazie alla quale si finirebbe per distillarne la parte buona, socievole, pacifica! Chi scrive non è d'accordo perché pensa che la natura umana sia solo in parte riducibile ai rapporti economici, e di conseguenza che la cultura, la mitologia, la poesia, le grandi imprese dello spirito come le peggiori depravazioni, e tanto altro ancora, siano il frutto di un complesso di cause ed effetti retroagenti in modo estremamente complesso, non esclusa neanche la possibilità di un vettore guida di natura teleologica esogeno alla Storia come la conosciamo, tra cui anche (dunque non solo) il sistema dei rapporti economici di produzione, distribuzione e consumo.

Ma torniamo alla questione centrale, ovvero che i rapporti di natura privatistica all'interno del corpo sociale si formano, a parere di chi scrive, per l'azione di forze e pulsioni endogene, sia relativamente ai singoli individui che alle formazioni sociali che questi spontaneamente costruiscono per i propri specifici fini: la coppia, la famiglia, il clan, la tribù, la nazione. E che tali aggregati sociali, a partire dai più piccoli fino ai più grandi, posseggono al loro interno le ragioni per cui si strutturano nelle diverse forme che storicamente hanno assunto, tra le quali quelle economiche sono sì importanti, ma non le sole. In altre e più chiare parole, io credo che si debba anche tener conto di ciò che di non economico contribuisce a crearle perché, ignorandolo, si finisce col suscitare la reazione di forze in grado di distruggere anche la più razionale, e rivolta al bene collettivo, delle organizzazioni sociali.

Questo non significa che si debba prendere l'Uomo per quello che è, poiché un simile approccio sarebbe in contraddizione con l'assunto sotteso a quanto detto, e cioè che "non di solo pane vive l'uomo", ma al contrario che ogni progetto politico, sociale, religioso, in generale di gestione del potere, non può limitarsi a proporre soluzioni esclusivamente di natura economica. D'altra parte, l'ambizione di costruire una proposta di ampio respiro, che sappia comprendere se non tutte la gran parte delle forze che agiscono nella Storia, non è cosa che si possa ottenere sol perché la si desidera. Magari un giorno verrà un Messia, o gli alieni, o ci sarà un grandioso sviluppo del pensiero oggi inimmaginabile, insomma qualcosa che possa consentirlo, ma affidarsi a una simile speranza sarebbe una forma di pensiero magico. Da sovranista costituzionale, credo che dobbiamo rassegnarci all'idea che un progetto complessivo di riordino sociale, da opporre allo stato delle cose esistenti, oggi non c'è, e tale non è certamente il marxismo-leninismo professato da Marco Rizzo, pur con tutti i meriti che esso ha avuto. Né ripongo speranze nelle varie forme di keynesismo che ci vengono proposte, tutte, come il marxismo-leninismo, affette da un'eccessiva enfasi posta sulle questioni economiche.

A queste occorre affiancare almeno qualcos'altro, che in questa fase del dibattito nel mondo sovranista mi sembra poter essere il pensiero giuridico costituzionale, pur sempre ricordando che la pretesa di una palingenesi totale rischia di produrre un nuovo totalitarismo, l'ennesima dittatura di un pensiero unico. Il sovranismo costituzionale, ispirandosi alla Costituzione italiana del 1948, ha il pregio di potersi affidare a un testo di riferimento che, a dispetto del linguaggio in cui è scritto, il quale potrebbe indurre alcuni a pensare che si tratti un mero elenco di valori, seppure ben organizzati e coerenti, è anche, e forse soprattutto, un manuale operativo che disegna le linee di sviluppo di un ordine sociale improntato alla giustizia e all'efficienza produttiva. A proposito del ruolo dell'iniziativa privata, la quale ricordo essere un dato endogeno prodotto dalla naturale tendenza degli esseri umani a instaurare rapporti reciproci di natura privatistica, così recita all'art. 42:

«La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati.

La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.

La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale.

La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.»

Confrontate questo testo, chiaro concreto operativo e non metafisico, con la fumosa dizione "dittatura del proletariato come forma di transizione alla società socialista-comunista", oppure con l'apodittica affermazione secondo cui «la proprietà privata di qualsiasi mezzo di produzione, indipendentemente dalle sue dimensioni, riproduce “giorno per giorno” il capitalismo», e capirete perché, pur votando alle politiche di (febbraio) 2018 per il PCI di Marco Rizzo, tuttavia non farò richiesta di iscrizione.

Almeno per il momento. Se poi la guerra del Capitale contro il Popolo continuerà, e il PCI sarà l'unica sponda, allora... quién sabe?

3 commenti:

  1. Bellissima la tua idea di società. Ma, forse, dovremmo indagare di più sulla natura umana. Ovvero sul perchè chi, in una società dove la proprietà dei mezzi di produzione è anche privata, chi vince ( perchè di questo si tratta), non si accontenta di vincere, ma vuole stravincere, fagocitando anche tutto ciò che non può e non deve essere di proprietà privata ( sanità, scuola, assistenza sociale). Forse il pugno di ferro sovietico aveva una ragione e Stalin non era un fesso.

    https://www.youtube.com/watch?v=5yNqRNZkRas

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    1. Scrivi che "chi vince non si accontenta di vincere", ma è anche vero che chi perde non si rassegna a perdere. Dunque la lotta tra i diversi interessi (aka classi) non cessa mai. Ora il punto centrale è che se tu proponi un modello sociale che va bene a una classe che, tuttavia, non ha la forza per imporla, allora la lotta sarà perdente. L'unica soluzione è costruire un'alleanza tra classi, che diventi prevalente sul piano della forza politica. Ovvio che questa alleanza, raggiunto lo scopo (ma spesso anche mentre il confronto politico è in corso) possa sfaldarsi.

      Pertanto la soluzione proposta dal PCI serve solo per costruire, in questa fase, un blocco comunista "puro", che per vincere dovrà a un certo punto allearsi con altre forze sociali. Io, che non sono comunista, voterò per il PCI, ma continuerò ad impegnarmi per la costruzione di un blocco politico che rappresenti la classe sociale alla quale sento di appartenere, che è quella della piccola proprietà privata, che non ha alcun interesse né a farsi sfruttare e proletarizzare dalle oligarchie finanziarie, né a farsi espropriare dai comunisti.

      La bandiera dei sovranisti costituzionali è la Costituzione del 1948, intesa come carta sulla quale costruire un'alleanza coi comunisti contro le oligarchie. Se dovessimo vincere, la piccola proprietà privata starà ben attenta a che i comunisti non pensino di farci fuori e, dovessero agire slealmente, dovremmo guardarci intorno alla ricerca di altri alleati.

      Saranno capaci i comunisti, l'auspicato giorno in cui la nostra alleanza dovesse finalmente vincere, di restare leali? Io non credo! Però oggi è oggi (e li voto), domani si vedrà.

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  2. Se fossi "in charge" dopo la rivoluzione attuerei una redistribuzione della ricchezza accumulata e accumulandosi procedendo per quantità e qualità, tenendo conto degli eventuali effetti virtuosi del processo accumulativo, per esempio una casa editrice che promuove giovani scrittori è diversa da una fabbrica di sigarette. Penso che con un pò d'amore e buon senso ci sia abbastanza ricchezza per tutti, anche per accontentarsi nel caso il vicino abbia il giardino più grande del mio, come sappiamo la differenza non la fa il giardino ma il vicino.

    Solo alcune citazioni prese dal sito http://www.comunismoecomunita.org

    “L’idea di comunismo, in Marx, ha un semplice ma profondo fondamento filosofico e scientifico: i processi di accumulazione capitalistici, in quanto processi monetari di accumulazione illimitata, o meglio senza (un) fine, hanno come requisito compiuto la reificazione dei rapporti sociali, ovverosia i rapporti sociali tra uomini sono mediati dai rapporti mercantili tra le cose, mentre i rapporti mercantili tra le cose assumono la parvenza di rapporti sociali ai quali inchinarsi”

    Mi sembra implicito che Marx criticando i processi di accumulazione non esprima un opinione ma una responsabilità, facendo una scelta, etica.

    “Nella ricerca filosofica i giudizi di valore che si pronunciano hanno una certa responsabilità in chi li pronuncia. Infatti è nel pronunciare i suoi giudizi di valore che il filosofo ha una libertà di scelta intesa, in questo senso, come la norma più alta di azione efficiente. Uscendo fuori dal campo valoriale applicato alla scienza ci si è consegnati inesorabilmente nel campo delle opinioni...Nel momento in cui, al contrario, la scienza assume il carattere a-valoriale, significa che la scienza si rivolge a tutti indistintamente. Non vi sono differenze tra sfruttati e sfruttatori, tra chi detiene il potere per esercitare subordinazione e chi è costretto a piegarsi al potere altrui. La scienza in questo caso produce opinione. L’opinione si distingue dall’idea in quanto si propaga senza interferenze, media tra gli individui senza creare attrito. È moneta di scambio a-valoriale. Si diffonde senza difficoltà”

    (non sono un politico, quindi...esprimo opinioni econometriche)

    Non so se Rizzo, nell'essersi tenuto un po' separato (almeno così mi è sembrato) dall'iniziativa sovranista no-euro, tradisca la tendenza ieratica di alcuni amici sinistrati, che qui non potrei citare senza fare incazzare il padrone di casa, talmente identitari da sfancularsi davanti allo specchio, se ne usassero. E come eventualmente, da esperienza, sia puerile tentare di scuoterli dalla loro ortodossia, per esempio ipotizzando uno “spiritualismo storico”.
    Provo un senso di asfissia per tutto quel missionario darsi da fare al servizio di un proletariato percepito solo nelle sue istanze materiali, quel pane che gelosamente ogni leader sinistrato vorrebbe spezzare per i diseredati, un giorno.

    “Non aderiamo, tuttavia, a una visione meccanicistica della subordinazione storica e logica della “sovrastruttura” alla “struttura”, visione derivante da una arbitraria interpretazione dei testi marxiani e successivamente codificata dal “Materialismo Dialettico” e dal marxismo storicista instauratisi come religione ufficiale di gruppi di potere (una religione che ha fatto danni incalcolabili e che ancora continua a fare danni seri ad ogni idea di “comunismo” e alla concezione marxiana del mondo)”.

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