sabato 4 gennaio 2020

Opa sul M5S



2 commenti:

  1. A proposito della questione del conflitto Capitale-Lavoro sollevata dall'esimio dottor Bau, vorrei porre a Fiorenzo una domanda. In un articolo recente (http://www.laboratorio-21.it/la-riemersione-della-crisi-del-capitale-e-lattualita-del-socialismo/), Domenico Moro scrive:

    "Quella nella quale siamo immersi non è (...) una “normale” crisi ciclica, ma la seconda grave crisi strutturale del modo di produzione capitalistico, dopo quella degli anni ’30. (...) L’unica soluzione alla “stagnazione secolare” è mettere fine al mercato autoregolato, ma è impossibile che il capitale faccia questa scelta spontaneamente perché la fine del Keynesismo negli anni ’80 è stata determinata proprio dal ripresentarsi della crisi e quindi dalla necessità di abbattere tutti i paletti e i limiti esistenti alla creazione di profitto. Un capitalismo controllato non può esistere a lungo, a meno che non sia soltanto il prodromo al suo opposto, cioè non sbocchi nel socialismo. Oggi, dunque, si ripropone, dopo anni di damnatio memoriae, l’attualità storica del socialismo come superamento della proprietà privata capitalistica e affermazione della proprietà collettiva dei mezzi di produzione che permetta l’abolizione della produzione anarchica e l’affermazione della produzione pianificata sotto il controllo dei produttori liberamente associati."

    La frase fondamentale è con ogni evidenza questa: "Un capitalismo controllato non può esistere a lungo, a meno che non sia soltanto il prodromo al suo opposto, cioè non sbocchi nel socialismo".
    Ora, con capitalismo controllato l'autore intende ovviamente il capitalismo che l'Italia (ma non solo l'Italia) ha conosciuto durante la Guerra Fredda e la Prima Repubblica, e soprattutto durante il Trentennio Glorioso.
    Non molto tempo fa anche Andrea Zhok si espresse in una maniera simile, esplicitando i propri dubbi sulla possibilità di riproporre l'economia keynesiana, giacché quest'ultima, secondo lui, condivide con la teoria neoliberale l'assunto in base al quale la crescita deve essere infinita affinché il sistema funzioni.
    Analoghe considerazioni le fece Pierluigi Fagan recensendo il libro "Tempo guadagnato. La crisi rinviata del capitalismo democratico", di Wolfgang Streeck.

    Quello che vorrei chiedere è: per i sovranisti socialisti costituzionali, quindi statalisti, dirigisti e propugnatori dell'economia mista, la crisi strutturale del capitalismo, quindi anche del capitalismo controllato "da Prima Repubblica", costituisce in qualche modo un limite a sua volta strutturale d'azione, un impedimento profondo alla propria agenda politica?

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  2. «per i sovranisti socialisti costituzionali, quindi statalisti, dirigisti e propugnatori dell'economia mista, la crisi strutturale del capitalismo, quindi anche del capitalismo controllato "da Prima Repubblica", costituisce in qualche modo un limite a sua volta strutturale d'azione, un impedimento profondo alla propria agenda politica?»

    Una volta un barbiere espose il cartello "Oggi si paga domani no". Ovviamente chiuse bottega, perché tutti aspettavano il giorno dopo. Per noi sovranisti arcaici (lasciamo perdere "costituzionali, statalisti, dirigisti..." etc. basta "arcaici") si paga oggi come si è pagato ieri e si pagherà sempre. Ovvero non può essere libero né vivere in pace chi non ha voglia o non sa combattere per la sua libertà e il suo diritto a vivere in pace. Tutto il resto non ci appassiona.

    Su questo io e tutta la corte di pupazzi non abbiamo il benché minimo dubbio. E anche per questo noi non odiamo il capitalismo: per noi il capitale privato è solo un nemico da vincere e mettere a lavorare. Non si uccidono gli schiavi, né ha senso odiare chi si vuole ridurre alla servitù, per la semplice e banale ragione che esso è necessario.

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