mercoledì 29 gennaio 2020

Honni soit qui mal y pense

Link: Il discorso di Draghi sul Britannia

E' stato reso pubblico il discorso di Mario Draghi in occasione della crociera del Britannia il 2 giugno 1992. In questo articolo, oltre a commentarne alcuni passaggi, cosa che altri e meglio di me hanno fatto, vorrei attirare la vostra attenzione su altri aspetti di colore, non meno importanti.

Cominciamo dalla copertura che, all'evento, dedicò il quotidiano Repubblica: inviata a bordo l'allora giovane giornalista Laura Laurenzi «una delle più celebri giornaliste di costume in Italia. Ha pubblicato libri di successo, tra cui Liberi di amare (Rizzoli 2006), Il giorno più bello (Rizzoli 2008) ed è coautrice dell’autobiografia bestseller di Marta Marzotto Smeraldi a colazione (Cairo 2016)». L'articolo della Laurenzi, tratto dall'archivio, merita di essere letto. In alcuni passaggi esso è rivelatore:

1) «La regina non c' è: ha lasciato la sua nave a Palermo ed è ripartita per Londra in aereo, ma si è detta ben lieta di ospitare a bordo del suo panfilo reale, la sua dimora sull' acqua, un centinaio di invitati eccellenti di nazionalità italiana, manager di stato, economisti, banchieri, vertici del Tesoro venuti a seguire un austero seminario sottocoperta sul tema delle privatizzazioni. Privatizzazioni? Vi spieghiamo come si fa, si sono offerti soccorrevoli e certamente interessati a concludere eventuali accordi gli esperti inglesi, come i presidenti di due fra le più antiche banche d' affari del mondo, la Baring e la Warburg, che era la banca di Bismark. "E' delizioso questo utilizzo dei simboli della regalità per azioni promozionali", sorride fumando il sigaro Beniamino Andreatta. Giovanni Bazoli, presidente del Banco Ambroveneto, ha voluto indossare una cravatta in tema, a bandierine marinare. Il presidente dell' Eni Gabriele Cagliari scruta l' orizzonte, oltre l' Argentario. Sorride impeccabile e assolutamente a suo agio Luigi Spaventa: il suo intervento, in tarda mattinata, è stato come sempre in un inglese perfetto, lieve accento di Cambridge.»
2) «Anche l' Italia dunque ha avuto il suo sea day sul Britannia, una di quelle rare giornate commerciali che spesso servono poi a coprire le spese di manutenzione del panfilo durante il resto dell' anno. Sono volutamente assai poco numerose, affinché risultino ancora più ambite e selezionate: ce ne sono state sei complessivamente nel ' 91 in giro per il mondo, e tre in tutto, non di più, se ne svolgeranno quest' anno. Una, con imbarco a Civitavecchia, gita al largo fin quasi all' Argentario ed esercitazione militare della fregata di scorta "Battleaxe", è toccata all' Italia che conta: un summit del potere, fra salatini, Bloody Mary e caffé lunghi, con decine e decine di auto blindate in attesa sulla banchina numero 12 del porto, accanto al Forte Michelangelo, e ingorgo di Lance Thema e Croma ministeriali al casello. Imbarco alle otto e trenta; alle quattro e mezzo del pomeriggio è tutto finito.»

In sintesi: la Regina non c'era (visto che l'affitto del panfilo aveva finalità commerciali) ma c'erano tanti italiani, quasi tutti quelli che contavano, e un paio di grossi banchieri inglesi. Il che significa, per uno spirito come il mio poco incline al complottismo, che le privatizzazioni sono state un progetto della borghesia cotoniera italiana, al più col supporto finanziario di qualche amichetto interessato all'affare, anzi all'arraffare. Eppure, a livello di opinione social, è passata l'idea che nel 1992 l'Italia sia stata vittima di un attacco delle potenze plutocratiche guidate dalla perfida Albione, con lo scopo di impoverirci perché noi eravamo diventati troppo forti e dunque costituivamo una minaccia bla bla bla bla... citofonare Amodeo!

En passant vi segnalo la presenza a bordo del keynesiano Luigi Spaventa, laureato in giurisprudenza ma docente di economia, che dapprima si distinse «tra le altre cose per essere, in linea col PCI, un oppositore della Moneta Unica Europea, contrapponendosi decisamente al compagno di partito Altiero Spinelli ed al radicale Marco Pannella» per essere poi nel 1989 «titolare della cattedra intitolata a Luigi Einaudi presso la Cornell University negli Usa, cattedra creata nel 1986 con fondi principalmente dello Stato Italiano stesso» e infine relatore al convegno del Britannia «come sempre in un inglese perfetto, lieve accento di Cambridge». Non provate una straniante sensazione di deja vu?

Veniamo al discorso di Mario Draghi, definito da Francesco Cossiga "un vile affarista. Il liquidatore dell'industria pubblica italiana". Ma qui, prima di continuare, voglio lanciare una provocazione. Alzi la mano chi, già maggiorenne nel 1977, non ha gridato "Kossiga boia" dopo la tragica morte di Giorgiana Masi. Bè io quel giorno c'ero, avevo 21 anni ed ero da poco scappato da casa e dai miei doveri, ai quali sarei tornato un anno più tardi. C'ero! Come il caso ha voluto che fossi presente come atomo tra atomi, quindi senza alcun ruolo salvo il fatto di far parte di quell'Italia che da sempre cerca un riscatto per essere regolarmente tradita dai suoi "salvatori"; c'ero come il giorno delle monetine a Craxi (che non lanciai grazie a un amico che riuscì a farmi ragionare in extremis con argomentazioni che non ho mai dimenticato), come c'ero l'8 settembre 2007 al primo Vaffa-day, o il 22/23 ottobre 2011 al convegno che aprì la stagione no-€uro (per una parziale ricostruzione si veda qui), come ci sono stato in tante altre occasioni nelle quali ho avuto sentore di un tentativo dal basso. I quali non solo sono tutti miseramente falliti, ma si sono trasformati, nel tempo, fino a diventare assi nella manica della maledetta borghesia cotoniera, qui magistralmente raffigurata dal genio di Bernardo Bertolucci:



Ebbene la provocazione è questa: come è possibile che Francesco Cossiga sia stato un boia e un difensore dello Stato? Come è possibile che sia passata, nel 1977, la narrazione di un ministro dell'interno che "commissionava" l'esecuzione di un'anonima giovane cittadina italiana al fine di difendere... cosa? Uno Stato democratico che, di lì a qualche anno, sarebbe stato oggetto dell'esproprio da parte dei gruppi privatistici della maledetta borghesia cotoniera italiana? Io quel giorno ero lì, a poche centinaia di metri, ma non era contro Cossiga che stavo manifestando, bensì perché ero parte (inconsapevolmente) di una generazione figlia del baby boom che voleva affermare la sua esistenza e si ribellava, con giovanilistica esuberanza, ai vincoli di un mondo che tardava a cambiare. Ebbene, chi ha manipolato la realtà costruendo una narrazione di quei fatti che ha condotto l'opinione pubblica a identificare la liberà col libero mercato e l'assenza di libertà col socialismo? Lo ha fatto, senza dubbio alcuno, chi aveva i mezzi per farlo.

Veniamo al discorso sulle privatizzazioni che Draghi descrive come «una grande – direi straordinaria – decisione politica, che scuote le fondamenta dell’ordine socio-economico, riscrive confini tra pubblico e privato che non sono stati messi in discussione per quasi cinquant’anni».

Una questione sulla quale, e come si potrebbe giammai negarlo!!! c'è stato un ampio e democratico dibattito! Se sbalio mi corigerete.

E infatti il processo delle privatizzazioni «indebolisce un sistema economico in cui i sussidi alle famiglie e alle imprese hanno ancora un ruolo importante. In altre parole, la decisione sulla privatizzazione è un’importante decisione politica che va oltre le decisioni sui singoli enti da privatizzare. Pertanto, può essere presa solo da un esecutivo che ha ricevuto un mandato preciso e stabile».  

Ah ecco! «un mandato preciso e stabile»!

Continua Draghi: «La privatizzazione implica un cambiamento nella composizione della ricchezza finanziaria privata dal debito pubblico alle azioni. L’effetto di riduzione del debito pubblico può implicare una discesa dei tassi di interesse. Ma l’impatto sui mercati finanziari può essere molto più importante, quando vediamo che la quantità di ricchezza privata in forma di azioni è piccola in relazione alla ricchezza privata totale e che con le privatizzazioni può aumentare in modo significativo. In altre parole, i mercati finanziari italiani sono piccoli perché sono istituzionalmente piccoli, ma anche perché – forse in modo connesso – gli investitori italiani vogliono che siano piccoli. Le privatizzazioni porteranno molte nuove azioni in questi mercati.»

E infatti ecco a voi il risultato:


In effetti la ricchezza privata investita in azioni è cresciuta, salvo essere tosata dalla crisi del 2007-2009, per cui oggi i piccoli risparmiatori, come chi scrive, i soldini se li tengono sul conto corrente (sul quale si pagano costi sempre crescenti). Vero è che i tassi nominali sul debito pubblico sono diminuiti, ma stranamente il prelievo fiscale è aumentato a dispetto delle privatizzazioni che avrebbero dovuto spostare i costi dalle tasse alle bollette, e invece sono aumentate entrambe! Insomma le privatizzazioni hanno prodotto ciò che inevitabilmente dovevano produrre, come già sapevamo da Novecento atto I: quando i raccolti sono buoni la paga non aumenta, quando sono cattivi la paga deve diminuire.

Ma tutto ciò, secondo l'amodeismo e teorie affini, sarebbe l'esito di complotti massonici, dei quali la borghesia cotoniera sarebbe, in fin dei conti, essa stessa vittima! In nome dell'italianità, dell'interesse nazionale, come sostengono alcuni economisti sedicenti post keynesiani e pro flat-tax, nonché bibbianologhi di chiara fama! Una menzogna disgustosa e rivoltante che è difficile contrastare, e che, se è ancora possibile farlo nel discorso pubblico, ciò dipende da una considerazione che è necessario fare.

Questo blog, come tanti altri, propugna idee che, in uno Stato autoritario, costerebbero la galera, eppure nulla di tutto ciò avviene. Anzi, grazie a questa libertà di parola un buon numero di paraculi - definizione corretta: i declassé - si è fatto strada nella vita. Come mai in oltre dieci anni nessuno è finito in galera e anzi molti sono finiti in parlamento a 15/20 k€/mese al servizio di forze politiche liberali? Come mai?

Ve lo spiegherò nel prossimo video, ma posso darvi un'anticipazione: immaginate di far parte della classe dirigente di un grande impero e che un piccolo paese sia importante per motivi strategici: ebbene, cosa cambia per voi se in quel piccolo paese la sanità è pubblica o privata? Nulla, se non una sola considerazione: quale gruppo di potere, in quel piccolo paese, può offrirvi la totale fedeltà strategica, cioè la sola cosa che vi interessi veramente?

Il gruppo di potere che ha scambiato la promessa della totale fedeltà strategica all'impero è la borghesia cotoniera, quella che chiudeva i suoi braccianti a chiave al calar del sole. Ancora Novecento di Bertolucci, un regista chissà perché dimenticato:



Ma se le cose stanno come penso, allora deve essere chiaro che il riscatto del popolo lavoratore non passa per l'impossibile lotta contro l'impero americano (o contro qualsiasi altro impero) ma per la lotta nazionale contro la classe dominante nazionale, nella piena compatibilità con gli equilibri globali esistenti, contro i quali non si può fare nulla. E anche se si potesse fare qualcosa, state certi che in tal caso sarebbe la stessa borghesia cotoniera a farsi nazionalista, ma per i suoi interessi, non per quelli del popolo lavoratore. Anzi, ancora e sempre contro di esso.

Nota: perché i padroni del denaro, quelli cioè che possono stamparne quanto ne vogliono, sono così interessati ai nostri piccoli redditi? Non vi passa per la testa l'idea che questo modo di vedere le cose sia una cagata pazzesca?

Nessun commento:

Posta un commento