sabato 4 aprile 2015

Noi statali

Soldati di leva nel 1984
Il mio primo lavoro è stato da "statale": una supplenza annuale nel 1983 per insegnare elettronica. Feci anche il commissario d'esame. Di ritorno dal militare, mentre pensavo al da farsi, mi arrivò una proposta di lavoro dalla Nira (gruppo Ansaldo). Me lo ricordo come fosse ora. Fine settembre, ero nella mia bellissima casa in affitto in un palazzotto del '600 di un paese vicino. Di lavoro come supplente ce n'era quanto ne volevo, ma fare l'insegnante per un neolaureato in ingegneria era considerato, anche da me, un ripiego. Per questa ragione quando, quel pomeriggio di fine settembre, lessi la lettera che mi era arrivata (all'epoca mi svegliavo molto tardi) nella quale mi si offriva un lavoro da ingegnere a Genova per partecipare allo sviluppo della prima delle sei centrali nucleari previste dal PEN (Piano Energetico Nazionale) non stetti su a pensarci e telefonai subito. Mi risposero e mi dissero che avrei potuto presentarmi il lunedì successivo, cioè tre giorni dopo, per un colloquio.

Non solo fui assunto senza problemi, ma la mia richiesta di quattro milioni di lire di buon'entrata, per potermi stabilire a Genova, fu immediatamente accolta senza resistenza alcuna. Quando un paio di anni dopo cambiai idea sul nucleare, dopo la tragedia di Chernobyl, e decisi di cambiare lavoro, mi bastarono un paio di telefonate. La nuova azienda, di Pomezia, non si rivelò un buon affare perché qualche mese dopo il mio arrivo entrò in crisi e finì per chiudere. Non solo non ne ebbi alcun danno, ma ci guadagnai. Per finire l'ultima commessa nella quale ero stato impiegato, dopo la chiusura dell'azienda fui chiamato come consulente e staccai un buon assegno. Finito quel lavoro ne trovai un altro, sempre come consulente, in meno di 24 ore: mi fu offerto di recarmi a Milano per due settimane, vitto alloggio e viaggio a rimborso spese, per studiare un sistema sul campo e, al mio ritorno, tirar fuori un documento di specifiche. Chiesi ed ottenni sette milioni sull'unghia, in anticipo, e fui prontamente accontentato. Negli anni successivi continuai a lavorare per quell'azienda e per altre del settore, con retribuzioni che non scesero mai sotto i cinque milioni al mese.

Il ciclone tangentopoli e la crisi economica del 1992 cambiarono lo scenario e cominciai e veder scendere le retribuzioni proposte ai miei colleghi che, terminata una commessa, andavano al rinnovo dei contratti. Per questa ragione decisi di fare nuovamente domanda di supplenza e, terminata la mia di commessa, non andai neppure in cerca di un nuovo contratto ma tornai a insegnare. Per una decina d'anni mi trovai benissimo. Non ero di ruolo ma, in pratica, non perdevo nemmeno un giorno di retribuzione perché i periodi in cui non lavoravo erano coperti dalla cassa integrazione. Anzi, in pratica mi facevo quasi cinque mesi di vacanza all'anno, e guadagnavo come se fossi stato di ruolo. Non solo! Poiché la mia classe di concorso era in eccesso di offerta di posti, ogni anno potevo scegliere in assoluta libertà la scuola per l'anno successivo. Naturalmente ne approfittai, cosicché girai un bel po' di istituti scolastici. Si aggiunga a ciò che ero un raro (all'epoca) esperto di informatica e, come potete ben immaginare, mi divertii moltissimo.

I primi segnali che qualcosa non andava li ebbi con l'arrivo di Letizia Moratti al ministero dell'istruzione. Ci fu una cosa che mi colpì molto e che voglio raccontare perché ha a che fare con una tesi cara all'economista Luigi Zingales, secondo il quale una delle ragioni della bassa produttività italiana sarebbe da ricercarsi nel fatto che il nostro paese non è stato capace di "agganciare" la rivoluzione informatica. A mio parere questa circostanza è vera, sebbene non creda minimamente (come lo stesso Zingales, per altro) che ciò sia stato determinante nell'eziologia della crisi dell'euro. Però, visto che qualcuno ancora pensa che la spiegazione principale, se non l'unica, dei nostri problemi siano questi o altri analoghi casi, consentitemi di raccontarvi brevemente come fu che andò la rivoluzione informatica nella scuola.

Negli anni precedenti, proprio a causa della crisi del 1992, molti ingegneri e tecnici, impiegati come me a livello medio-alto nello sviluppo di sistemi informatici, optarono per l'insegnamento, magari in contemporanea allo svolgimento della libera professione a tempo parziale. Feci la stessa cosa anch'io, per altro, cosicché in quegli anni continuavo ad avere bei soldini in tasca. Nella scuola questo input di competenze fece sì che in moltissimi istituti si cominciarono a proporre progetti informatici che, rapidamente, evolsero verso la realizzazione di reti informatiche di istituto. Furono anni entusiasmanti perché, come può ben capire chi mi conosce, mi gettai con passione in questo genere di attività, ricavandone anche qualche soldino. Non molti, a dire il vero, ma solo perché non volevo lavorare troppo. Insomma il discorso è chiaro: lavoravo quando volevo, quanto volevo, facendo quel che mi piaceva, senza problemi di sorta. 

In quegli anni la scuola italiana, soprattutto gli istituti tecnici, era su buoni livelli. Ogni anno avevo molti studenti che andavano all'università, molti dei quali sono oggi miei colleghi. Mi aspettavo, a quel punto, che il Ministero della Pubblica Istruzione facesse la cosa giusta, ovvero definire un nuovo ruolo lavorativo negli organigrammi scolastici istituendo la figura di responsabili dei sistemi informatici, e che lo facesse indicendo un concorso. Ma il nuovo ministro dell'istruzione fu di diverso avviso e promosse, invece, un mega progetto formativo rivolto a tutti gli insegnanti, suddiviso in tre categorie di crescente difficoltà: dai corsi di tipo A, riservati ai principianti, fino a quelli più avanzati di tipo C, con una tipologia B intermedia. I corsi erano di diverse centinaia di ore (se la memoria non mi inganna, il corso C ne prevedeva 500), si svolgevano nelle principali città e tutte le spese erano a carico dei partecipanti.

Fui uno dei pochi, tra gli "esperti" di informatica locali, a non abboccare. Il fatto è che il ministro non aveva preso alcun impegno in merito a coloro che avessero superato gli esami finali, nemmeno la promessa di un concorso. Tra l'altro erano già alcuni anni che i concorsi ordinari, per legge obbligatori ogni biennio, non si svolgevano. Inoltre, c'era da considerare il fatto che avrei dovuto perdere centinaia di ore di tempo per ascoltare cose che conoscevo benissimo, da formatori più giovani di me in gran parte diplomati. E qui, se mi volete bene, lasciatemi gonfiare il petto, come si confà a ogni ingegnere quando si parla di ciò che sa fare bene!

Non ci fu nessun concorso, quei pezzi di carta non hanno mai avuto alcun riconoscimento e le reti di istituto sono finite nelle mani di tecnici di laboratorio diplomati perché liberi dall'insegnamento frontale, se non addirittura di ex-bidelli perdenti posto! Ora vi domando: secondo voi funzionano decentemente (ho scritto: decentemente) le reti di istituto? La domanda è (volutamente) pleonastica.

Da allora anche la mia vita cominciò a cambiare. Concorsi non se ne facevano, le retribuzioni, già stagnanti, continuarono a stagnare; il lavoro come libero professionista iniziò a diradarsi e ci ritrovammo nell'euro. Nel 2001 feci il primo concorso per il passaggio in ruolo ma fui respinto alla prova pratica perché l'oscilloscopio che mi misero tra le mani non rispose correttamente alle mie manipolazioni. Certamente perché ero un esperto di informatica, non di misure elettriche! Riuscii ugualmente ad entrare di ruolo per il rotto della cuffia, grazie a un corso-concorso, e piano piano mollai anche l'informatica.

Il destino volle, però, regalarmi una luminosa "estate di San Martino" perché, ormai occupato dal solo insegnamento ed essendo ancora giovane, passai alcuni anni di ottimo umore, circondato da moltissimi amici con i quali tiravo tardi discutendo oziosamente di Prodi&berlusconi.

Ma qualcosa mi rodeva dentro. Era una specie di scontentezza, che si palesava non appena mi ritrovavo solo. Vedevo degli emeriti imbecilli declamare nelle pubbliche piazze le magnifiche sorti e progressive, mentre tutto, intorno a me, aveva un sapore diverso dagli anni precedenti. E questi emeriti imbecilli erano i politici. Cominciai a detestarli, ma senza una ragione particolare. Certo, mi indignava sapere quanto guadagnassero per fare quei discorsi vuoti, ma in fondo, mi dicevo, ero stato io che non avevo più avuto voglia di darmi da fare! Mi ero stancato alle prime difficoltà. Riprovai con la libera professione, ma l'impegno si rivelò maggiore del previsto, mentre le retribuzioni non erano più granché. E inoltre, trovare qualche commessa diventava sempre più difficile. Anche i miei colleghi non se la passavano più tanto bene. Ero abituato ad andarli a trovare dai tempi delle vacche grasse, quando ognuno di loro mi mostrava orgoglioso i nuovi computer che aveva acquistato, i software (spesso italiani), i progetti di espansione dell'attività dello studio. Ora era diverso. Quegli studi professionali sembravano città in via di svuotamento. 

Una decina di anni fa, piuttosto indignato per quello che vedevo progettare dai politici locali, fondai un giornale cartaceo con l'amico di sempre Claudio Martino. Da allora, con crescente intensità, continuai ad occuparmi di politica. Ricordo che, inizialmente, la mia indignazione fu enorme. Non riuscivo a credere a quello che scoprivo leggendo i progetti proposti, tutti con un denominatore comune: fare spazio ai privati a condizioni scandalosamente favorevoli per essi. Ed erano anche forze di sinistra, a fare tutto ciò!

Dalla carta passammo al web. Partecipammo a due elezioni amministrative locali con scarsi risultati. Fummo i primi, in Italia, a riprendere in video le sedute del consiglio comunale e a metterle su Internet. Diventai un grillino della prima ora.

Poi arrivò la crisi dell'estate del 2007. Cominciai a "studiare economia". Scoprii che in tanti lo facevano ed entrai in contatto con idee nuove. All'inizio la mia confusione fu grande, ma ne capii abbastanza per sospettare che quella non era una congiuntura, bensì una crisi di ben altra portata. E per una seconda volta, dopo lo sconcerto provato nell'informarmi sui progetti dei politici locali, restai basito da ciò che scoprii. Lo dico con semplicità: avevano giocato con le nostre vite.

E ho scoperto che il problema non è la corruzione, per quanto grande possa essere, ma il fatto che hanno distrutto un modello sociale che funzionava, che poteva permettersi perfino il lusso della loro corruzione, con un altro, inedito, che non funziona.

Oggi, quando racconto il mondo come era una volta, almeno per un giovane laureato come ero io, mi accorgo di non essere creduto. La disoccupazione ha reso tutti più deboli, anche la mia posizione lo è. Certo, sono un dipendente statale, ho il posto fisso, ma ci sono inchiodato. Il mio salario è stagnante, il momento di andare in pensione si è spostato in avanti verso un futuro indefinito e, soprattutto, se perdessi questo lavoro non ne troverei facilmente un altro. Nemmeno, direi certamente, a condizioni peggiori.

Sono diventato uno statale improduttivo, sebbene pur sempre un privilegiato. Guardo i giovani intorno a me e tremo per loro. Si rendono conto della situazione in cui sono stati messi? Oppure pensano di poter stare meglio togliendo qualcosa a me e a quelli come me? Parlo spesso con loro, ma da quello che sanno della crisi e capiscono della situazione credo che siano a notte fonda, anche quelli che, più o meno confusamente, hanno capito qualcosa dell'euro e dei trattati europei. La cosa più difficile da spiegargli è che questo stato di cose non è una crisi temporanea dalla quale in qualche modo si uscirà, ma una condizione stabile per rovesciare la quale sarà necessaria una grande battaglia politica. Una battaglia che, se non sarà fatta, lo farà diventare secolare e che, seppure verrà fatta, rischia comunque di essere persa e, di sicuro, farci vivere tempi molto duri.

8 commenti:

  1. Ciao Fiorenzo, un bel post non c'è che dire.
    Ho recentemente scoperto quest'articolo che parla dell'uscita dall'euro da parte dell'Italia. Nell'ultima parte si parla di possibili problematiche a livello di software delle banche dati che richiederebbero un aggiornamento in tal senso. Tale aggiornamento non si potrebbe realizzare nel giro di pochi mesi ma forse anche di anni (almeno così ho capito). Poichè tu svolgi a livello professionale l'attività di informatico, secondo te questo problema esiste o è facilmente bypassabile?

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    1. Petyr sono andato a leggere l'articolo che hai linkato (mammamia che brutti siti frequenti! :D) e onestamente credo che il tizio che l'ha scritto sia un idiota totale. Anzi no, se riesce a trovare qualcuno che lo legge e magari ci fa pure dei soldi col suo sito, tanto scemo non è, ma basta leggere qualche commento più sotto per capire il livello economico/culturale di quel luogo, tipo questo per esempio:

      "Continuo a non capire perchè siete tutti cosi fissati sulla moneta, è un bluff. Se tu produci beni che il mercato vuole, il mercato te li acquisterà comunque. Semplice. Il problema del cambio nasce se tu produci prodotti uguali o peggiori di quelli che fanno gli altri, ma con la nostra pressione fiscale non potremo MAI essere competitivi con certi paesi se non potremo far valere la qualità (germania docet)"
      Il fatto che nessuno si sia preso la griga di correggere una castronata simile mi convince che ne sono tutti concordi -_-

      Io, a differenza di quel borioso falso esperto che hai linkato, non posso dire di avere tutte le risposte a partata di mano, e neanche posso "gonfiare il petto" per la mia laurea economica, visto che sono un semplice diplomato "ragioniere".
      Ma per 20 anni mi sono fatto il c*lo amministrando una srl, facendo tutta la contabilità fino al bilancio CEE, e ne ho gestito la trasformazione lira/nEuro.
      A parte che la difficoltà che si ebbe nella migrazione al nEuro fu dovuta ad un cambio completamente diverso, che introduceva i decimali che prima non c'erano (per dirne una) mentre in questo caso adottando un cambio 1:1 col nuovo conio non ci sarebbe molto da modificare informaticamente e nemmeno nei numeri.
      Ma la considerazione principale che vorrei fare è che la contabilità è fatta di numeri e date, legate tra loro e che, per tanto, possono essere rielaborate in qualsiasi momento.

      E' chiaro che un nEurexit impone leggi speciali per gestire la transizione, è anche logico pensare che dovranno - preferibilmente - esserci accordi internazionali, ma quasi nulla è legato temporalmente e indissolubilmente al "D-Day"e neppure impossibile da ottenere.

      Chi pone problemi contabili o software non solo è un ciarlatano, ma è evidentemente in malafede e, ovviamente, l'una cosa non esclude l'altra.

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    2. Ahò, non è che siccome ora leggo certi siti significa che sono una spia liberista? :-D

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  2. A mio avviso il problema non è a livello di software gestionale, ma giuridico. Cosa credi, che i progettisti sw non si siano già posti il problema, e da tempo? Certo che sì, ed hanno predisposto le contromisure (a meno che non siano stati fermati, intenzionalmente, dai decisori politici). Insomma, va bene ironizzare sugli "ingegnieri", ma del tutto cretini non lo siamo. Grazie.

    Questo genere di osservazioni (a proposito: l'autore del post mi sembra lievemente "pieno di sé") mi fa venire in mente il Titanic. Non c'erano abbastanza scialuppe per tutti (era inaffondabile), e allora? Altro che il "problema dei pos" avremo davanti! L'euro affonderà perché non è sostenibile. Punto.

    Lasciami aggiungere una nota. Questi di rischio calcolato non è che putacaso sono un tantinello fans di von-Hayek? Il sospettuzzo mi viene leggendo questa frase ("l’introduzione di una moneta parallela, lasciando la libertà ai cittadini di scegliere quale moneta usare, è l’unica possibilità per uscire unilateralmente dall’Euro"), che mi ha fatto venire in mente un articolo, su il giornale, di Carlo Lottieri, nel quale egli scrive: "Hayek propone invece che gli attori economici possano scegliere tra monete di mercato. Ogni Paese dovrebbe consentire la piena circolazione delle valute straniere e anche permettere ai privati di crearne altre". Ho discusso l'articolo di Lottieri nel post "L'ombra di von Hayek".

    Osservazione conclusiva: ma dimme te si me tocca difenne Arberto puro si ce semo mannati affanculo! Robba da pazzi...

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    1. Che siano un tantinello fas di Von Hayek è vero, tra l'altro l'autore non è propriamente "uno de sinistra" se intendiamo per sinistra l'intervento dello stato nell'economia.
      Riguardo alla fine, chettedevodì Illo è sempre Illo, che ce voi fà? ;-)

      PS:
      Ancora non te li ho fatti, quindi auguri di buona Pasqua

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  3. Caro Fraioli hai dipinto veramente un bel quadro (storico) del (bel) tempo che fu e, purtroppo, di quella schifezza che è l'oggi e il domani, nel quale ho messo al mondo anche un figlio! Ho fatto il militare 20 anni prima di te e poi il tecnico (aeronautico) statale quindi ti capisco in pieno, grazie per aver condiviso la tua illuminante esperienza di vita. A proposito, dei marmittoni sei l'ultimo a destra? Un virile abbraccio. Libero Vichi.

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    1. Sì, sono il marmittone ultimo a destra. Quel giorno avevo la febbre a 38 ma, per non rinunciare alla libera uscita, non marcai visita e mi feci 5 km di corsa sotto il sole. Bei tempi!

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