martedì 20 novembre 2018

Paolo Savona verso i Campi Catalaunici

Quello che segue è il messaggio che Paolo Savona, Ministro per gli Affari europei, ha indirizzato all'UE dalle colonne del sole24ore.

Paolo Savona
"La Commissione dichiara di volere il dialogo con il Governo italiano, ma verba volant, scripta manent. Se dialogo si vuole veramente, e noi lo vogliamo, si deve partire dal nobile discorso pronunciato dal Presidente Mattarella in Svezia, da quello che si può considerare il podio dei Premi Nobel, ivi incluso quello della pace. Il quesito è quale risposta deve dare l’Italia a una nuova caduta della crescita, già insoddisfacente, e a una disoccupazione e una povertà insostenibili?

La risposta implicita da parte dei conservatori di un’Europa che non assolve a tutti i compiti concordati è «colpa vostra che non avete fatto le riforme che avevamo richiesto», ignorando che i destinatari politici non sono più quelli ai quali quelle richieste erano state rivolte e con i quali gli accordi erano stati raggiunti. Lo Stato è naturalmente responsabile del rispetto degli impegni internazionali da chiunque assunti, ma il punto di partenza del dialogo deve restare la questione che l’attuale Governo ha sollevato: «che fare per reagire alla caduta del Pil, di cui l’Italia ha la sola responsabilità di farsi cogliere in un perenne stato di debolezza, e per affrontare i rischi gravi di un aumento della disoccupazione e della povertà?».

La via del dialogo è stata già indicata dal Governo italiano fin dall'inizio di settembre nel documento intitolato “Una politeia per un’Europa diversa, più forte e più equa”.

Esso propone di costituire a Bruxelles un Gruppo di lavoro ad alto livello che invii il messaggio ai cittadini europei che l’Unione sta esaminando i modi per completare l’architettura e le politiche europee, con un respiro più ampio dei negoziati oggi in corso sul tema. Chi continua a ripetere che il Governo intende pilotare l’Italia fuori dall’euro e dall’Unione spera che la situazione peggiori per tentare di recuperare la sconfitta del 4 marzo e si appella al mercato affinché crei ulteriori squilibri, senza dare una risposta ai tre problemi indicati.

La soluzione allo scontro, che doveva essere evitato, passa attraverso una decisione che, come suol dirsi, salvi la faccia di tutte le parti in causa: quella del Governo, che ha indicato una strada per affrontare i tre problemi (caduta della crescita, disoccupazione e povertà), offrendo un luogo di discussione, il citato gruppo ad alto livello; quella della Commissione, che avrebbe dovuto aprire un dialogo diverso dal semplice «rispettate i parametri fiscali»; e quella degli altri Stati Membri che ignorano il problema da affrontare.

Un verba volant è che sarebbero alcuni Stati membri a non volere aprire un dialogo e, quindi, non ci sarebbe spazio per la Commissione di dare avvio alla discussione proposta. I Paesi Bassi e l’Austria si sono espressi a favore di una doverosa procedura di infrazione; se i primi avessero accompagnato la richiesta con l'impegno di riassorbire l'inaudito surplus di bilancia corrente che sottrae crescita all'Unione, e se l'Austria avesse svolto in questo frangente con più equilibrio il suo ruolo istituzionale di Presidenza di turno dell’Ue, forse avrebbero favorito il dialogo.

Il dialogo può essere avviato in forme diverse, utili e razionali, come quello avviato dall'ottima e paziente (nei miei confronti) collega francese Loiseau, che nella sua risposta al documento del Governo mi ha indicato i punti sui quali si poteva discutere. Una pari cortesia, non meno apprezzata, mi è stata usata da altri colleghi europei. Altri, compreso il Presidente Juncker, si sono trincerati in un silenzio che voglio rifiutarmi di considerare mancanza di volontà di dialogo sui veri problemi dell’Unione.

Poiché tutti dichiarano di volere l’Europa unita la strada non può essere se non quella indicata dal Presidente Mattarella nel corso della sua visita in Svezia: dialogare e recuperare l'Esprit d'Europe. L’Italia vuole dialogare. Sta agli altri dimostrare che vogliono occuparsi seriamente del futuro dell'Unione Europea.

Ministro per gli Affari europei"

Ho scelto di evocare la battaglia dei Campi Catalaunici per indicare una situazione in cui lo scontro con l'UE appare ormai inevitabile e, per questa ragione, è necessario trovare alleati per affrontarlo. Al tempo della battaglia dei Campi Catalaunici questi alleati furono i franchi e i visigoti, cioè gli odierni francesi e spagnoli. Mettiamo tuttavia da parte queste suggestioni e analizziamo con fredda logica la situazione odierna.

Al di là dei numeri della manovra è ormai chiaro che la questione è tutta politica. Il problema è costituito dal fatto che l'UE, per quello che oggi è, favorisce il ritorno allo status di grande potenza dei paesi del centro Europa: Germania, Francia e Olanda, e dunque occorre riflettere sulle convenienze reciproche delle altre grandi potenze in partita. Non solo USA, Cina e Russia, ma anche le altre potenze regionali del teatro europeo. Tra queste, oltre all'Italia, ci sono la Gran Bretagna, la Spagna e la Polonia.

La situazione è vicinissima al punto di non ritorno. In sostanza Paolo Savona pone il seguente quesito: volete voi - tedeschi, francesi e olandesi - costruire un polo geopolitico europeo tra pari, oppure il vostro orizzonte è quello di un impero gerarchico fondato sulla prevalenza dell'asse Parigi-Berlino-Amsterdam a spese dei paesi del mediterraneo, dei paesi anseatici, dei Balcani e dell'Africa occidentale? Le condizioni al contorno essendo almeno due:
  1. Evitare una soluzione militare
  2. Tenere a bada, in ogni paese, le componenti sociali escluse dalla dialettica politica
La sfida è di quelle che fanno tremare i polsi. Il buon Savona è costretto a manovrare tenendo conto del fatto che, nel caso di una grave recessione indotta con centinaia di migliaia di altri disoccupati (per non parlare dei fallimenti bancari) rischia di perdere il controllo del paese perché la stragrande maggioranza della popolazione è stata indottrinata a forza di slogan e quindi il consenso del governo gialloverde potrebbe facilmente evaporare davanti a una controffensiva propagandistica delle forze euriste. Per converso, spiegare agli italiani come stanno veramente le cose, operazione pure possibile allo stato attuale dei rapporti di forza, è un passo di gravità inaudita per il ceto dominante di cui il governo giallovere interpreta una parte degli interessi in gioco, che equivale alla decisione di armare il popolo per resistere a un'invasione esterna: si può fare, ma dopo si dovrà affrontare quello stesso popolo armato. 

Non vi è, a quanto pare, alcun modo di evitare l'alternativa tra la resa o lo scontro. Lo dice lo stesso Savona nella sua lettera, laddove scrive "La soluzione allo scontro, che doveva essere evitato, passa attraverso una decisione che, come suol dirsi, salvi la faccia di tutte le parti in causa". La resa implica la cessione dei titoli di proprietà reale - di quella parte della classe dominante italiana danneggiata dall'euro - su gran parte delle risorse nazionali che controlla; lo scontro non può essere vinto senza una mobilitazione di tutte le forze della nazione il cui prezzo sarà, comunque vada, il successivo caos interno.

Torna qui l'analogia coi Campi Catalaunici. La necessaria alleanza coi franchi e i visigoti contro gli Unni segnò, in modo definitivo, la rinuncia di Roma al suo ruolo di concessionaria della sovranità nei confronti di quei popoli i quali, da allora in poi, agirono in completa indipendenza. Allora come oggi vi era un impero esterno, i romani d'Oriente, intenti solo solo alla difesa dei loro interessi che, nel tentativo di ristabilire il loro potere, un secolo dopo misero la penisola a ferro e fuoco.

Cosa sceglierà Paolo Savona, e con lui il governo gialloverde, la resa o la mobilitazione del popolo italiano?

2 commenti:

  1. Savona dice cose giuste e come al solito, le dice bene con un linguaggio chiaro e diretto.
    Tuttavia, permettimi di dire che trovo sconcertante che egli si accorga adesso che questi tre paesi abbiano scelto di imporsi sugli altri, visto che mi pare ci fossero delle evidenze da tempo di come sia organizzata proprio attorno a questo centro l'intera UE.
    Quando tu, io e i pochi sovranisti rimasti diciamo che bisogna necessariamente uscire dalla UE e tutte le riflessioni riguardano il quando e il come e non il fatto in sè, mi sembra siamo più lungimiranti di Savona che a me pare sinceramente sorpreso di queste scelte del blocco franco-tedesco, e proprio questa sorpresa è ciò che più mi preoccupa.

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    1. Caro Vincenzo, su quello che pensa veramente Savona siamo nel campo delle illazioni multiple. Pian piano stiamo diventando come i cremlinologi del tempo che fu, quando per capire cosa bolliva in pentola in Unione Sovietica si teneva conto anche della disposizione dei dirigenti del PCUS in occasione delle parate.

      Il guaio per noi pochi sovranisti rimasti, infine, è che proprio non riusciamo minimamente a coordinarci. Io non so più che fare per porre rimedio a ciò, davvero non so più che fare.

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