venerdì 15 novembre 2019

Macelleria messicana (I parte)

La prima parte dell'intervista di Leda, per conto del telegiornale dei Sovranisti Arcaici, a Martin Wood - capo editorialista del TINAncial times - sul tema della ricomposizione dell'Unione Europea e dei riflessi che ciò avrà sull'Italia.


Leda: Benvenuti al telegiornale dei sovranisti arcaici. Mi trovo a Londra per intervistare Martin Wood, capo editorialista del Tinancial Times. Come sapete il centro studi del Tinancial Times sta preparando un report sull'Italia, in particolare alla luce di una possibile ricomposizione dell'Unione Europea. La prima domanda che rivolgo a Martin Wood è quale probabilità ci sia che ciò avvenga e in che tempi.

Martin Wood: Benvenuta a Londra.
Partiamo da un presupposto fondamentale di ogni discussione sull’entità paneuropea: L’Unione Europea è un atto di fede, perseguìto con fiducia da generazioni di politici della vecchia e nuova Europa. Alti e bassi dell’economia hanno un prezioso significato per i portafogli di noi squali della finanza, ma guardando le cose con l’occhio spietato della geopolitica la distruzione dei patrimoni non modifica la prospettiva storica:  l’integrazione europea andrà avanti, le nuove generazioni cambieranno lo storytelling senza deviare dall’obiettivo finale.
La ricomposizione dell’Unione Europea, o per meglio dire il disegno di una nuova geografia della stessa, è una certezza. Stabilire con precisione quando avverrà lo è molto meno, ma non è una domanda da porsi in questi termini. L’UE è in continua evoluzione, non c’è un momento preciso che segna un cambiamento monolitico.
Se guardiamo a cosa è successo solo negli ultimi anni, possiamo vedere che l’Eurozona, il nucleo intra-europeo più importante, ha continuato ad ampliarsi nonostante le crisi (l’ultimo membro a essere entrato nell’euro è la Lituania, nel 2015). Ci sono molteplici livelli di integrazione e sub-integrazione allargata a Stati non membri.
Nel frattempo si è consolidata la sinergia esclusiva tra paesi:  il Gruppo di Visegrad di alcuni paesi dell’est, l’asse franco-tedesco celebrato con il trattato di Aquisgrana e la nuova Lega Anseatica che comprende tutti i piccoli paesi nordici.

Allo stato attuale quindi, anche se i paesi dell’UE fanno tutti parte della stessa organizzazione intergovernativa la realtà è fatta di un’integrazione differenziata a più livelli che si nasconde dietro allo storytelling di una convergenza verso un’Europa unita e omogenea.

Un’integrazione differenziata in continuo movimento, che l’Italia (come altri paesi meridionali) sta ignorando completamente perché troppo presa con il proprio conflitto redistributivo nazionale.
Come tutti sanno l’UE è una creazione americana e franco-tedesca, forse benedetta dai primi e accolta con piacere dai secondi, o forse esattamente il contrario. Capirlo non è importante come spesso si vorrebbe credere.

Leda: A giudicare dalle mappe che mi proponi la mia prima impressione, e ti chiedo scusa se dico qualcosa di sbagliato ma ho molto da imparare, è che esse descrivano, più che un processo di integrazione, la costituzione di alleanze che potrebbero essere prodromiche della formazione di grandi blocchi, e quindi di una spaccatura sempre più accentuata, e che i paesi meridionali siano esclusi sia dalla possibilità di aderire ad uno di essi come pure incapaci di coalizzarsi.

Martin Wood: L’osservazione è corretta. Quella europea è una storia di alleanze tra paesi che finiscono con l’andare in guerra tra loro, solo l’arrivo di potenze nettamente più forti ha messo fine a questa storia. Adesso i paesi europei possono finalmente dedicarsi alla competizione che preferiscono: quella commerciale. Tra i paesi importanti solo la Francia e il Regno Unito hanno una visione del mondo che va oltre le logiche economicistiche. Ma il Regno Unito sta uscendo, e la Francia punta a imbracciare la bandiera della UE per usarla come moltiplicatore della sua altrimenti ridotta potenza.
Il resto dei paesi vive in una dimensione post-storica, vedono la politica estera quasi esclusivamente come politica commerciale, affidano alla NATO la sicurezza e vedono nell’orizzonte europeo – che ognuno interpreta a modo suo – l’impresa da consegnare alla storia e alle prossime generazioni.
Queste alleanze intra-europee quindi non servono a costruire blocchi pronti a separarsi, sono segmentazioni interne che servono a competere meglio. Idealmente un’organizzazione come l’Unione Europea ha senso se serve a proteggersi, anche economicamente, ma la parola  “protezionismo” è bandita. La parola d’ordine è invece “competizione”.
Nel caso della mappa che ti ho mostrato vediamo che Francia e Germania cercano di aumentare la loro sinergia per diventare egemoni assoluti, quindi i paesi nordici e i paesi dell’est (più piccoli economicamente e demograficamente) hanno deciso di coalizzarsi per adottare strategie unitarie all’interno delle sedi comunitarie. Parigi e Berlino hanno numeri soverchianti, possono modellare l’Unione come vogliono. Adottando strategie comuni i nordici e gli orientali possono contrastare questa egemonia.
Per esempio, l’Irlanda e i Paesi Bassi hanno bisogno di mantenere i propri vantaggi fiscali e insieme al resto della Lega Anseatica un regime di concorrenza che apra spazi per le proprie imprese, mentre il Gruppo di Visegrad ha bisogno di contrastare le contestazioni sui metodi di governo poco liberali e di continuare a godere dei fondi strutturali che servono a costruire il loro sistema industriale subordinato a quello tedesco.
Ecco allora che arriviamo all’Europa mediterranea, di cui in teoria dovrebbe far parte anche la Francia ma che come abbiamo visto gode di una sovranità  tutta sua.
Portogallo, Spagna, Italia e Grecia fanno fatica a stare nell’Eurozona, una fatica che non troviamo in Germania e nei paesi nordici. Il problema è che questi paesi non sono in grado di coalizzarsi. Quindi sì, Leda, hai ragione: i paesi meridionali sono esclusi dalla possibilità di aderire ai blocchi di cui abbiamo parlato e sono altrettanto incapaci di coalizzarsi per formarne uno loro.
Se oggi dovessimo suddividere l’Europa in base a questi valori, avremmo: un nucleo franco-tedesco e nordico-anseatico che forma un’eurozona funzionante, un blocco di paesi a basso salario molto competitivi a est (con valute proprie ma agganciate all’euro), e poi un cerchio esterno di satelliti meridionali che va dal Portogallo alla Romania passando per Italia e la Grecia. Un’Europa messicanizzata integrata nel mercato unico ma fuori dall’eurozona, destinata a produzioni diverse, spesso meno pregiate e in contesti di maggiore illegalità. Paesi da cui attingere risorse umane e materiali e su cui scaricare il peso dell’immigrazione non gradita.
Dal mio punto di vista di britannico che non farà altro che guadagnare enormi somme di denaro speculando su questa straordinaria macchina produttiva potrebbe anche andar bene così, ma in questa storia c’è un problema molto grave da risolvere: l’Italia è il paese in cui la frattura interna dell’Eurozona è più visibile e violenta. Se questo scenario dovesse concretizzarsi, il vostro paese così come lo conosciamo non potrebbe sopravvivere.

Leda: Molto bene Martin, siamo arrivati al punto che interessa in particolare noi sovranisti arcaici e per il quale l'editorialista egèmone Fiorenzo Fraioli mi ha mandata a Londra. Nella seconda parte dell'intervista affronteremo in dettaglio gli scenari che si aprono per l'Italia in questa ormai evidente e conclamata fase di ricomposizione dell'Unione Europea.

Martin Wood: Sono d'accordo con te Leda, la vicenda dell'Italia in questo complesso frangente storico merita di essere approfondita con cura. Per oggi possiamo fermarci qui e ti propongo di continuare a parlarne davanti a un buon Yorkshire pudding e a un arrosto di tacchino, ovviamente accompagnati da buon vino italiano. Saluto gli amici sovranisti arcaici con il vostro slogan: viva l'Italia viva il socialismo viva la Costituzione!

Nessun commento:

Posta un commento