giovedì 21 novembre 2019

Not stonks

Link correlato: Cos'è il Mes e perché la sua riforma fa discuter (AGI)


Riguardo al MES e alle polemiche che stanno infuriando è bene fissare alcuni punti. Il fondo cosiddetto salva stati è stato istituito nel luglio 2012 ed è divenuto effettivamente operativo dopo la pronuncia favorevole della  Corte Costituzionale Federale tedesca (seppure con alcune limitazioni) nel settembre 2012. Il MES 1.0 aveva una dotazione finanziaria di 650 mld di euro, compresi i fondi residui del FESF, pari a 250-300 miliardi.

L'ESFS e il MES 1.0 hanno erogato sostegni finanziari per un totale di 254,5 miliardi di euro a cinque diversi Stati: Irlanda, Cipro, Portogallo, Spagna e Grecia (per tre volte). Nel complesso il contributo dell'Italia ai due fondi è stato di circa 50 mld. Relativamente al solo MES 1.0 è stato di 14,33 mld a fronte di 125,4 mld sottoscritti.

Come ci riferisce l'AGI "Il 14 giugno, quando in Italia era ancora in carica il governo Conte I sostenuto da Lega e M5s, l’Eurogruppo – la riunione dei ministri delle Finanze dei 19 Stati Ue che hanno adottato l’euro – ha concordato una bozza di riforma del Mes. La riforma del Mes si inserisce nei più ampi obiettivi di completare l’Unione bancaria dei 19 Stati che fanno parte dell’Eurozona e di rafforzare l’Unione monetaria."

Il punto da capire è quali sono le ricadute per l'Italia di una riforma del MES, che è di natura normativa visto che la dotazione finanziaria resta sostanzialmente immutata. Per farlo occorre tornare indietro di qualche anno.

La crisi del 2011 e il governo Monti


Nel 2011 esplose in Italia quella che è stata semplicisticamente definita crisi del debito sovrano. In realtà si trattava di una doppia crisi: di deficit della bilancia dei pagamenti e di eccessivo drenaggio fiscale per il servizio del nostro grande debito pubblico. La manovra di Monti intese risolvere il primo problema con una dura deflazione interna ottenuta per via fiscale, nella speranza che, aggiustati i conti con l'estero come è in effetti avvenuto, ci sarebbe stata una ripresa del ciclo economico internazionale che avrebbe potuto rilanciare gli investimenti privati, in una misura tale da sostituirsi agli investimenti pubblici declinanti a causa del costo in interessi per il servizio del debito pubblico. Come è noto, in seguito alla manovra di Monti la nostra posizione netta sull'estero (NIIP) è tornata in sostanziale pareggio grazie a un netto miglioramento del saldo import/export, ma al prezzo di una riduzione di quasi il 20% del PIL passato dai 2276 $ del 2011 ai 1832 mld di $ del 2015. A causa di ciò il rapporto debito/PIL è cresciuto raggiungendo la preoccupante soglia del 135%. 

Le speranze di Monti di una ripresa dell'economia mondiale vennero frustrate dal perdurare della crisi della globalizzazione che, ancora oggi, continua a determinare una stagnazione della domanda internazionale. In tal modo le preoccupazioni degli acquirenti dei nostri titoli di stato cominciarono a crescere e, per farvi fronte, nel 2013 furono introdotte le Clausole di Azione Collettiva (CACs) sulle nuove emissioni di titoli di stato. 

In sostanza le CACs offrivano la garanzia ai sottoscrittori dei titoli di Stato che il loro valore  non sarebbe stato alterato da un qualsivoglia evento, fosse esso un'uscita dall'euro con ridenominazione del debito nella nuova lira o una intenzionale ristrutturazione del debito pubblico, senza il loro consenso. Sarebbe infatti bastata un'assemblea dei sottoscrittori dei titoli nella quale una maggioranza qualificata di essi si fosse opposta, e ogni proposta di modifica contrattuale sarebbe stata respinta.


Questo è un punto fondamentale da capire perché, delle 5 modifiche del MES 2.0 rispetto al MES 1.0, quella che riguarda le CACs è la più importante. Il nuovo meccanismo, che tralascio di spiegare in dettaglio perché non indispensabile alla comprensione, indebolisce la posizione dei creditori restituendo ai governi una maggiore libertà d'azione nell'eventualità di una ristrutturazione del debito. E infatti subito si sono alzati gli alti lai del Presidente dell'ABI Patuelli:



Sul versante politico il partito più inquieto è la Lega, in quanto egemone in quel settentrione della penisola dove è concentrato l'80% residenti sottoscrittori dei titoli di stato. La questione, dal punto di vista macroeconomico, è come abbattere il peso degli interessi sul debito pubblico senza colpire il risparmio, concentrato soprattutto nel settentrione. Una possibilità, sia pure nell'ottica di restare nell'eurozona, è quella prospettata da Paolo Savona, di farlo con il rilancio del mercato interno attingendo al surplus della bilancia dei pagamenti, puntando alla piena occupazione, quindi investendo al sud anche con strumenti come il reddito di cittadinanza e tutelando il sistema pensionistico, ma quel surplus è tutto privato e prodotto soprattutto al nord, per cui Savona è stato messo da parte. Anzi, letteralmente "bruciato" anche col contributo del ventriloquo di Borghi Aquilini che non si fece scappare l'occasione di facilitare il promoveatur ut amoveatur di Savona alla Consob con il suo assenso alla proposta (quando ancora sognava di diventare ministro). Un sogno ben presto svanito perché, come mi disse all'epoca un insider di livello, "è curioso come un santone visto dall'alto sembri solo un buffone".

Dal resoconto stenografico dell'Assemblea - Seduta n. 61 di giovedì 11 ottobre 2018

Paolo Savona: "Io dico che c'è spazio, c'è un eccesso di risparmio di 50 miliardi e, quindi, abbiamo bisogno di una politica economica che miri ad assorbire questo spazio. Nella tavola, a pagina 3, il tendenziale e, quindi, il modello econometrico che noi utilizziamo per queste previsioni, dice chiaramente che, se non facciamo niente, il risparmio in eccesso, invece di diminuire, aumenta: 2,7 nel 2019, 2,9 nel 2020 e 3 nel 2021. Messi tutti insieme, noi, in tre anni, se non facciamo niente, accumuleremo 160 miliardi di risparmi in eccesso, il che significa che il Paese vivrà al di sotto delle proprie risorse, contrariamente a quello che dicono, soprattutto a livello europeo, che siamo degli sperperatori."

Non dovremmo essere nella gabbia Ue ma, finché ci siamo, forse è meglio trattare. La Lega sta proponendo una lettura unidirezionale del MES 2.0, mentre una logica di pacchetto dovrebbe prevedere sia assicurazioni sulle banche che convergenze per il bilancio unico. Conte punta al no proprio per incompletezza del resto e l'accordo con la lega era su quello. Ma la Lega, che aveva concordato su tutto, oggi che è all'opposizione fa una comoda cagnara. Un'alternativa seria potrebbe essere quella di mantenere le promesse fatte durante la campagna Basta Euro, invece di tirare un colpo alla botte (Giorgetti e il suo ventriloquo Salvini) e uno al cerchio (B&B). In quest'ottica la norma del MES 2.0 che consentirebbe a un governo italiano, qualora ciò fosse necessario, di ristrutturare più facilmente il debito pubblico in conseguenza di un'uscita dall'euro, dovrebbe essere accolta con favore, ma la Lega insiste nella sua ormai non più accettabile ambiguità.



Il sospetto, che con il passare del tempo diventa sempre più una certezza, è che la parte che conta della Lega punti a una spaccatura dell'unità nazionale mascherata nella forma di un federalismo che, di fatto, manterrebbe il nord agganciato all'eurozona relegando il sud alla condizione della Germania est e dei paesi dell'est Europa che ricoprono il ruolo di sub-fornitori a basso prezzo della filiera produttiva dei paesi core. Una prospettiva che il M5S sembra aver rifiutato candidandosi a diventare il partito del sud, almeno se dobbiamo dar credito all'ultima esternazione di Luigi Di Maio:

«"Io vorrei portare a compimento il programma iniziato con la Lega", continua a ripetere Di Maio ai suoi "Ho capito che l'unico modello vincente è il sovranismo. Quello è il futuro". E continua a difendere quanto fatto quando era al governo con la Lega, quota cento - "non si tocca" - e il decreto sicurezza - "resta"-. O ancora lo ius soli, "provo sconcerto a sentirne parlare. Non sarà mai nel programma".»

Dal versante PD, ovvero della sinistra sorosiana, non giungono segnali di inversione di rotta rispetto all'europeismo acritico e fideistico. Abbiamo così contezza dell'esistenza, nel campo del Partito Unico Liberale, altrimenti detto PUL, di tre differenti approcci alle sempre maggiori difficoltà del nostro paese ad aderire al modello export-lead imposto dalla Germania al resto dell'eurozona:
  • Il PD che insiste nel difendere le magnifiche sorti e progressive dell'euro
  • La Lega nel ruolo di più genuina espressione della borghesia nazionale kotoniera del nord
  • Il M5S in quello di partito non ideologico che, essendo strutturato in forma verticistica e pertanto non obbligato a rispondere a logiche di poltrona, dispone di una libertà di manovra che continua a garantirgli almeno un ruolo di ago della bilancia.
In questo catastrofico caos si muovono altresì altri cespugli, già esistenti o in fase di formazione, da Italia Viva di Matteo Renzi ad Azione di Carlo Calenda, passando per Patria&Costituzione di Stefano Fassina. Una situazione da repubblica di Weimar, foriera di sviluppi drammatici ove dovesse manifestarsi una crisi, da molti paventata ma non ancora manifesta.

Il movimento dal basso


"è curioso come un movimento dal basso visto dall'alto sembri solo fascio-populismo"

Dal mondo del lavoro, quello vero del popolo sofferente, giungono segnali desolanti. Non solo litigiosità, il che sarebbe comprensibile e in fondo sintomo di vitalità, ma una sconcertante permeabilità alle infiltrazioni e strumentalizzazioni di personaggi in cerca di affermazione personale. L'elenco dei nomi da citare è lungo, mi limito ad alcuni: Alberto Bagnai, Luciano Barra Caracciolo, Marco Zanni, Paolo Maddalena, Antonio Maria Rinaldi, Francesca Donato, Alfredo D’Attorre, Stefano Fassina...

Costoro sono passati tutti, e dico veramente tutti, per i convegni organizzati dagli attivissimi compagni marxisti dell'Illinois, sulla cui buona fede spero/credo si possa continuare a contare ma che, a giochi fatti, si sono dimostrati essere l'anello debole della cordata dal basso. Un vero e proprio portale di ingresso per psicofanti della politica, fino agli eccessi incomprensibili dell'appoggio tattico al governo giallo-verde, passando altresì per un'imbarazzante comparsata del loro indiscusso leader Moreno Pasquinelli in un convegno presso la chiacchierata Link-University (vedi: Le divergenze tra il compagno Pasquinelli e noi). Questa contiguità è il frutto di una ingenuità di fondo mascherata dietro l'argomentazione secondo cui «LA RIVOLUZIONE "PURA"? NON ESISTE...».

E infatti la rivoluZZZione è talmente impura che non solo sono stato bannato dal loro sito, ma da oltre un anno i miei tentativi di commentare i loro articoli vengono cassati. Il tutto è avvenuto dopo questo delitto di lesa maestà nei confronti di sua costituzionalità Luciano Barra Caracciolo, presidente della VI sezione del Consiglio di Stato ed ex sottosegretario del governo giallo-verde nonché ex-ex-sottosegretario del governo Berlusconi, ovvero il seguente commento al post "NON SOCCOMBERE ORA di Luciano B. Caracciolo - 19 luglio 2018", che vi invito a leggere onde meglio apprezzare il mio commento, anche alla luce degli eventi successivi:

Fiorenzo Fraioli scrive: 
19 luglio 2018 10:30
"Se arretriamo ancora, anche solo ricercando un compromesso, - magari consigliato dal retaggio di ideologie e sovrastrutture ormai posticce e alimentate appositamente per dividerci- non avremo più alcuno spazio di libertà e democrazia."

Struggente questa lettera dal carcere.

L'asprezza del commento era ovviamente un segno della profonda diffidenza nei confronti dell'apertura al governo giallo-verde, in particolare per quanto riguarda la componente leghista. 

Come già detto, considero quello dei compagni di Sollevazione un errore di analisi politica e non un tradimento, dal quale tuttavia essi non hanno sufficientemente preso le distanze, almeno a parer mio. Ma il problema è che le conseguenze di questo non lieve errore di analisi politica sono state devastanti per il movimento dal basso. In particolare, esso ha consentito al Savastano del sovranarismo di continuare a egemonizzare la piazza di spaccio di questa letale droga politica. Sui social, in particolare twitter, l'influenza della compagnia di giro messa in piedi con sopraffina abilità dagli psicofanti sovranari è ben più profonda di quanto appaia, perché costoro hanno conquistato gli animi e le menti di tanti genuini sovranisti. Capisco che questa riflessione possa apparire fondata solo su sensazioni - e non mancheranno coloro che mi accuseranno di acribia - ma questo non è affatto un eccesso di criticismo. Al contrario è la triste constatazione dell'esistenza di un rapporto di subordinazione prima di tutto psicologica verso un insieme di personaggi che è giusto cominciare a considerare, e di conseguenza trattare, come meritano. Per narcisismo, per sete di protagonismo, per una poltrona, e non arrivo ancora a sostenere con premeditata e prezzolata missione, costoro hanno impresso una torsione alle loro posizioni di un tempo rendendole funzionali all'esigenza della borghesia dominante, kotoniera e sorosiana, di disattivare ogni movimento dal basso. La prima, ineludibile, risposta a tutto ciò consiste nell'innalzare una barriera difensiva, affinché gli psicofanti sovranari siano espulsi definitivamente dal mondo della classe lavoratrice.

Viva il Socialismo, viva la Costituzione, viva l'Italia!

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