sabato 12 aprile 2014

Qual è il rimedio a un "errore" che non c'è?

Una caratteristica del potere assoluto è quella di aver bisogno di un'ideologia di sostegno. Un'ideologia che sia simile a una religione. Non sempre questa è disponibile, anche perché, quando lo è, forse i tempi per il potere assoluto sono maturi. Ciò nonostante si può provare a crearla artificialmente, cosa che credo sia avvenuta con l'economia neoclassica (in Italia gli economisti bocconiani). Se questa lettura è corretta, allora l'attenuante che l'euro sia stato un semplice "errore" dei politici cade, e diventa credibile l'ipotesi che "essi sapevano quel che stavano facendo". Perché mai creare una religione (economica) di supporto se, essendo caduti in "errore", non si sa di stare mentendo? Poiché lo hanno fatto, ciò implica che i politici che hanno "intenzionalmente sbagliato", e con essi i loro ispiratori, non si arrenderanno facilmente: le conseguenze, per essi, sarebbero insostenibili!

Se questa linea deduttiva è corretta, allora la battaglia è appena agli inizi e sarà durissima. Gli architetti dell'euro e dell'UE non si arrenderanno facilmente, ma sarà necessario arrivare fino al loro bunker. Che sembra essere, ancora una volta, a Berlino. Al contrario, se questa linea deduttiva è scorretta, cioè davvero di "errore" si è trattato, allora siamo all'antivigilia della fine dell'euro. Usciremo dalla moneta unica, prevedibilmente prima di implementare il Fiscal Compact, e al massimo entro un anno ci saranno nuove elezioni politiche. In questo caso, una parte della classe politica eurista sarà pensionata, il suo posto preso da facce nuove e avremo quella che, con espressione infelice, viene denominata "uscita da destra dall'euro". La fine dell'euro non implicherà la fine del mercato unico, né un arresto definitivo del processo di globalizzazione.

Sebbene con qualche incertezza, la tesi dell'"errore" sembra essere quella sposata dai promotori del convegno "UN’EUROPA SENZA EURO. COSTI E BENEFICI PER FAMIGLIE E IMPRESE NELLE PROPOSTE DI ECONOMISTI E POLITICI EUROPEI". Poiché il rimedio ad un errore economico, giustificabile con l'impetuoso succedersi degli eventi successivi alla caduta del muro di Berlino, è la razionalità economica, ecco che, se questa ipotesi dovesse inverarsi, la linea scelta da Alberto Bagnai risulterebbe vincente. Questa può essere sintetizzata con l'enunciato "ci tireranno fuori dall'euro quelli che ci hanno portato dentro". In tal caso avremmo la cosiddetta "uscita da destra", poiché alla guida del processo potranno porsi, senza eccessive difficoltà, le stesse forze politiche (eventualmente rafforzate da qualche new-entry all'uopo creata) e le stesse forze sociali che hanno voluto l'euro. Coloro che premono per un radicale cambiamento, cioè per la fine del Mercato Unico, oltre che dell'euro, si troverebbero spiazzati e avrebbero poca voce in capitolo. Al massimo potranno sperare di riuscire a portare, in Parlamento, una pattuglia di radicali senza reale peso politico.

Lo scenario alternativo, la resistenza senza se e senza ma degli euristi, colti con le mani nel sacco nel tentativo di sovvertire la millenaria natura democratica della civiltà occidentale, aprirebbe prospettive completamente diverse, e molto più radicali. I mesi che mancano all'effettiva entrata in vigore del Fiscal Compact chiariranno il dilemma, sebbene già dopo le elezioni per il rinnovo dello pseudo-parlamento europeo potremo farci un'idea più precisa. L'eventuale proposta di ratifica dell'ERF (European Redemption Fund) sarebbe un segnale, già esso definitivo, del fatto che non di errore si è trattato, ma di precisa criminale volontà. A quel punto la "razionalità economica" sarebbe uno strumento inutile, e la parola passerebbe alla politica vera.

L'ARS, l'associazione politica nella quale milito, non crede alla tesi dell'"errore", e dunque non ritiene che la "razionalità economica" possa rimediare ad una cosa che non c'è

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