Se i partiti globalisti-liberisti (in Italia soprattutto PD, Scelta Civica, NCD... ma non solo) imbastiscono sfacciate larghe intese, sull'altro fronte, quello dei sovranisti-statalisti, si procede con i piedi di piombo. A ragione, perché il rischio di posizionamenti tattici e comportamenti camaleontici è dietro l'angolo. Ciò vale anzitutto per il M5S, la cui natura è sommamente ambigua, ma anche per Fratelli d'Italia e Lega Nord. Ma non ci sono solo preoccupazioni tattiche a rendere problematica la costituzione di un "fronte sovranista-statalista", vi sono anche problemi di ben maggior peso politico.
Siamo in un periodo di transizione nel quale alcune forze politiche, meglio dire frazioni di queste, hanno avviato un percorso di ripensamento e riposizionamento, mentre sono in incubazione tentativi dal basso di costruire nuovi partiti di orientamento sovranista-statalista. Per un lungo periodo i successi delle ricette globaliste e liberiste sono stati sostenuti da una narrazione che, partendo dalla demonizzazione delle vicende del socialismo reale, ha finito con il persuadere molti che il ruolo e l'interventismo degli Stati nell'economia potesse essere ridotto, devolvendone molte funzioni alle forze del mercato. Ciò è avvenuto anche con il ricorso alla menzogna pianificata, come è il caso della riunificazione della Germania, che un'opinione pubblica distratta è stata indotta a considerare un successo indiscutibile e un caso esemplare di buone pratiche. Il libro di Vladimiro Giacchè, Anschluss, che sbriciola questa amena falsità, dovrebbe essere letto da tutti coloro che nutrono ancora qualche dubbio sul regime di disinformazione nel quale abbiamo vissuto per almeno due decenni.
La crisi del 2007 negli USA, trasferitasi in Europa l'anno successivo, ha posto fine alla lunga "luna di miele" tra il globalismo-liberismo e una parte, genericamente "socialista", di opinione pubblica che, convintasi della "superiorità" del mercato, aveva ripiegato su battaglie di stampo morale e di costume. Non tutta, è bene ribadirlo, ma solo una parte, composta per lo più da cittadini di cultura medio-alta e non troppo compromessi durante la ventennale "luna di miele" successiva alla caduta del muro. Ad essi, che costituiscono l'avanguardia dell'onda sovranista-statalista, si stanno aggiungendo, con il passare del tempo, quote crescenti di cittadini poco o scarsamente politicizzati.
Resta la vasta pletora di "intellettuali e politici ex qualcosa" che, durante il ventennio della "luna di miele", si è acconciata a svolgere il ruolo di coscienza critica degli eccessi del mercato, senza tuttavia metterne in discussione la pretesa superiorità, quasi mai dichiarata esplicitamente ma, nei fatti, accettata implicitamente. Questa disposizione d'animo, in parte sincera, ma anche agevolata dagli indubbi vantaggi derivanti dall'aver accettato il ruolo di critici non troppo severi (un ruolo indispensabile per asseverare l'esistenza di un libero dibattito politico), con il passare del tempo ha prodotto in questi individui una mutazione psicologica, rendendoli incapaci di cogliere l'enormità degli errori e delle omissioni di cui si sono resi responsabili durante il ventennio della "luna di miele". Ci riferiremo a costoro con l'appellativo di "liberisti di complemento".
E' accaduto così che, a partire dal 2008, si è venuta a creare una profonda frattura tra l'opinione pubblica "de sinistra" non troppo compromessa, dunque più libera di ripensare le proprie idee, e quella più compromessa, costituita da personaggi politici e intellettuali di caratura sia nazionale che locale. Tra i due gruppi è in corso una "battaglia delle idee" che è particolarmente aspra, poiché potrà concludersi solo con la completa vittoria di una parte e la sconfitta ignominiosa dell'altra.
Come sempre accade, quando si tratta di una "battaglia delle idee", non si faranno prigionieri!
Il dibattito è reso più confuso dal fatto che ad esso partecipano, in modo storicamente legittimo, sia i "marxisti duri e puri", quelli cioè che non hanno mai ammainato le bandiere del socialismo, sia gli ex-fascisti (quando non addirittura i "fascisti duri e puri"). I più critici nel denunciare queste contaminazioni sono, ovviamente, proprio i "liberisti di complemento", che vedono in ciò la possibilità di delegittimare il fronte sovranista-statalista. In realtà la maggior parte dei sovranisti-statalisti non sono né "marxisti duri e puri", né "fascisti più o meno duri e puri", e tuttavia essi si trovano nella scomoda posizione di condividere con essi una posizione fondamentale: la necessità di tornare ad un maggiore interventismo dello Stato nella conduzione dell'economia, in aperta contrapposizione con le ricette globaliste-liberiste.
Un ulteriore elemento di confusione deriva, ovviamente, dal fatto che i "liberisti di complemento" negano di essere tali. Il loro cavallo di battaglia è una versione, edulcorata e politically correct, del globalismo liberista, cioè l'internazionalismo, una visione secondo la quale sarebbe più utile alla causa del socialismo spostare il fronte di lotta su scala globale, essendo questo il terreno sul quale sono più acute le contraddizioni capitalistiche. Questa posizione è condivisa anche da intellettuali e gruppi che non è giusto etichettare come "liberisti di complemento", e ciò rende definitivamente e drammaticamente confuso il quadro generale.
Sic stantibus rebus non sorprende il fatto che, mentre il fronte globalista-liberista può adottare, senza grandi traumi, la formula delle "larghe intese", da parte dei sovranisti-statalisti sia necessaria una ben maggiore cautela. Di fatto, e senza che ciò venga esplicitato, la strategia dei sovranisti-statalisti è improntata a una sostanziale non belligeranza con le altre forze del nascituro fronte, di tanto in tanto spezzata da qualche occasionale polemica. E tuttavia questa situazione non potrà durare a lungo. Presto o tardi sarà necessario trovare una risposta alla domanda topica: chi è il nemico principale? Il fascismo (alias: il comunismo) o il globalismo-liberismo?
Quando il gioco si farà duro, e i duri cominceranno a giocare, la risposta a questa domanda potrà significare la scelta tra il perdere subito e sicuramente, e il perdere (forse) dopo aver vinto (si spera) la battaglia contro i globalisti-liberisti. In altre parole: cosa preferire tra il "morire fascisti" (per i comunisti) o il "morire comunisti" (per i fascisti), e il NON fare un armistizio, così da morire subito e sicuramente "globalizzati e liberalizzati"?
Giro la domanda all'amico Moreno Pasquinelli, del Movimento Popolare di Liberazione (i famosi marxisti dell'Illinois). Qualcuno mi suggerisca qualche fascista cui porla: io non ne conosco di intelligenti... magari ce ne sono... chissà.
Addendum: e morire democristiani? Come la vedete? In fondo, viste le alternative... almeno quelli le pensioni ce le hanno date! Visto che se deve morì...
Siamo in un periodo di transizione nel quale alcune forze politiche, meglio dire frazioni di queste, hanno avviato un percorso di ripensamento e riposizionamento, mentre sono in incubazione tentativi dal basso di costruire nuovi partiti di orientamento sovranista-statalista. Per un lungo periodo i successi delle ricette globaliste e liberiste sono stati sostenuti da una narrazione che, partendo dalla demonizzazione delle vicende del socialismo reale, ha finito con il persuadere molti che il ruolo e l'interventismo degli Stati nell'economia potesse essere ridotto, devolvendone molte funzioni alle forze del mercato. Ciò è avvenuto anche con il ricorso alla menzogna pianificata, come è il caso della riunificazione della Germania, che un'opinione pubblica distratta è stata indotta a considerare un successo indiscutibile e un caso esemplare di buone pratiche. Il libro di Vladimiro Giacchè, Anschluss, che sbriciola questa amena falsità, dovrebbe essere letto da tutti coloro che nutrono ancora qualche dubbio sul regime di disinformazione nel quale abbiamo vissuto per almeno due decenni.
La crisi del 2007 negli USA, trasferitasi in Europa l'anno successivo, ha posto fine alla lunga "luna di miele" tra il globalismo-liberismo e una parte, genericamente "socialista", di opinione pubblica che, convintasi della "superiorità" del mercato, aveva ripiegato su battaglie di stampo morale e di costume. Non tutta, è bene ribadirlo, ma solo una parte, composta per lo più da cittadini di cultura medio-alta e non troppo compromessi durante la ventennale "luna di miele" successiva alla caduta del muro. Ad essi, che costituiscono l'avanguardia dell'onda sovranista-statalista, si stanno aggiungendo, con il passare del tempo, quote crescenti di cittadini poco o scarsamente politicizzati.
Resta la vasta pletora di "intellettuali e politici ex qualcosa" che, durante il ventennio della "luna di miele", si è acconciata a svolgere il ruolo di coscienza critica degli eccessi del mercato, senza tuttavia metterne in discussione la pretesa superiorità, quasi mai dichiarata esplicitamente ma, nei fatti, accettata implicitamente. Questa disposizione d'animo, in parte sincera, ma anche agevolata dagli indubbi vantaggi derivanti dall'aver accettato il ruolo di critici non troppo severi (un ruolo indispensabile per asseverare l'esistenza di un libero dibattito politico), con il passare del tempo ha prodotto in questi individui una mutazione psicologica, rendendoli incapaci di cogliere l'enormità degli errori e delle omissioni di cui si sono resi responsabili durante il ventennio della "luna di miele". Ci riferiremo a costoro con l'appellativo di "liberisti di complemento".
E' accaduto così che, a partire dal 2008, si è venuta a creare una profonda frattura tra l'opinione pubblica "de sinistra" non troppo compromessa, dunque più libera di ripensare le proprie idee, e quella più compromessa, costituita da personaggi politici e intellettuali di caratura sia nazionale che locale. Tra i due gruppi è in corso una "battaglia delle idee" che è particolarmente aspra, poiché potrà concludersi solo con la completa vittoria di una parte e la sconfitta ignominiosa dell'altra.
Come sempre accade, quando si tratta di una "battaglia delle idee", non si faranno prigionieri!
Il dibattito è reso più confuso dal fatto che ad esso partecipano, in modo storicamente legittimo, sia i "marxisti duri e puri", quelli cioè che non hanno mai ammainato le bandiere del socialismo, sia gli ex-fascisti (quando non addirittura i "fascisti duri e puri"). I più critici nel denunciare queste contaminazioni sono, ovviamente, proprio i "liberisti di complemento", che vedono in ciò la possibilità di delegittimare il fronte sovranista-statalista. In realtà la maggior parte dei sovranisti-statalisti non sono né "marxisti duri e puri", né "fascisti più o meno duri e puri", e tuttavia essi si trovano nella scomoda posizione di condividere con essi una posizione fondamentale: la necessità di tornare ad un maggiore interventismo dello Stato nella conduzione dell'economia, in aperta contrapposizione con le ricette globaliste-liberiste.
Un ulteriore elemento di confusione deriva, ovviamente, dal fatto che i "liberisti di complemento" negano di essere tali. Il loro cavallo di battaglia è una versione, edulcorata e politically correct, del globalismo liberista, cioè l'internazionalismo, una visione secondo la quale sarebbe più utile alla causa del socialismo spostare il fronte di lotta su scala globale, essendo questo il terreno sul quale sono più acute le contraddizioni capitalistiche. Questa posizione è condivisa anche da intellettuali e gruppi che non è giusto etichettare come "liberisti di complemento", e ciò rende definitivamente e drammaticamente confuso il quadro generale.
Sic stantibus rebus non sorprende il fatto che, mentre il fronte globalista-liberista può adottare, senza grandi traumi, la formula delle "larghe intese", da parte dei sovranisti-statalisti sia necessaria una ben maggiore cautela. Di fatto, e senza che ciò venga esplicitato, la strategia dei sovranisti-statalisti è improntata a una sostanziale non belligeranza con le altre forze del nascituro fronte, di tanto in tanto spezzata da qualche occasionale polemica. E tuttavia questa situazione non potrà durare a lungo. Presto o tardi sarà necessario trovare una risposta alla domanda topica: chi è il nemico principale? Il fascismo (alias: il comunismo) o il globalismo-liberismo?
Quando il gioco si farà duro, e i duri cominceranno a giocare, la risposta a questa domanda potrà significare la scelta tra il perdere subito e sicuramente, e il perdere (forse) dopo aver vinto (si spera) la battaglia contro i globalisti-liberisti. In altre parole: cosa preferire tra il "morire fascisti" (per i comunisti) o il "morire comunisti" (per i fascisti), e il NON fare un armistizio, così da morire subito e sicuramente "globalizzati e liberalizzati"?
Giro la domanda all'amico Moreno Pasquinelli, del Movimento Popolare di Liberazione (i famosi marxisti dell'Illinois). Qualcuno mi suggerisca qualche fascista cui porla: io non ne conosco di intelligenti... magari ce ne sono... chissà.
Addendum: e morire democristiani? Come la vedete? In fondo, viste le alternative... almeno quelli le pensioni ce le hanno date! Visto che se deve morì...
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