martedì 31 marzo 2015

Ce lo chiede la Lega Delio-Attica


A livello di opinione pubblica di medio-basso livello è prevalente la convinzione che la cosiddetta "globalizzazione" sia una conseguenza, necessaria e inevitabile, dei grandi progressi tecnologici degli ultimi decenni, in particolare quelli nel settore delle telecomunicazioni. A mio parere si tratta di un'idea del tutto infondata, come argomenterò in questo post.

Non che i progressi tecnici non abbiano importanza nei processi di globalizzazione, ma il loro peso relativo può essere molto variabile. Prenderò ad esempio tre episodi storici di globalizzazione, e mostrerò come solo in un caso i progressi tecnici abbiano avuto un ruolo rilevante nell'innescarle. I periodi ai quali intendo riferirmi sono quello immediatamente successivo alle guerre persiane nel V secolo a.c., il XIX secolo e il periodo attuale.

La "globalizzazione" del V secolo a.c.


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La "globalizzazione" del V secolo a.c., relativa ovviamente solo al piccolo mondo delimitato dalle sponde del mediterraneo orientale, ebbe origine da un trattato internazionale, la Lega delio-attica, promossa da Atene sul finire della seconda guerra persiana nel 478 a.c., cui aderirono quasi duecento polis greche. La Lega nacque per iniziativa di quella che possiamo considerare la "sinistra" dell'epoca, capeggiata da Temistocle ed espressione dei ceti mercantili e artigiani favorevoli ad una politica di espansione nel mar Egeo, in opposizione alla fazione aristocratica che privilegiava l'alleanza con Sparta in funzione difensiva anti persiana. Dopo un decennio di alterne vicende, durante il quale lo stesso Temistocle dovette cedere il potere al capo della fazione aristocratica Milziade, che riportò una schiacciante e definitiva vittoria navale sui persiani, la fazione democratica (de sinistra) finì con il prevalere. La conseguenza fu l'inizio di un periodo di crescenti contrasti con Sparta, e la trasformazione della Lega, che divenne ben presto strumento delle mire espansionistiche della nuova classe mercantile ateniese. Grazie ai versamenti che le polis della Lega dovevano obbligatoriamente devolvere alle casse del tesoro comune Atene riuscì a rafforzare la sua potenza navale, per di più concentrando le commesse per la costruzione delle navi nel Pireo. I tentativi di alcune polis di sottrarsi a tali obblighi furono repressi militarmente, usando la stessa forza militare che esse avevano conferito ad Atene. Il controllo della navigazione nel mar Egeo, infine, consegnò alla classe mercantile ateniese l'egemonia commerciale. Non vi fu, in occasione di questo episodio di "globalizzazione", alcun decisivo miglioramento tecnologico che possa essere invocato come concausa. Si trattò, in definitiva, di un'operazione di puro imperialismo, originatasi dall'avventata adesione delle polis greche a un "trattato internazionale" che finì con il renderle subordinate agli interessi ateniesi.

Illuminanti sono le parole dello storico greco Tucidite, che così descrive i reali rapporti di forza tra gli ateniesi e le altre polis della federazione:

«Tra i numerosi motivi di defezione, primeggiavano il mancato versamento del "contributo", il rifiuto di consegnare le navi e la renitenza al servizio armato, quando toccava. Gli Ateniesi procedevano con inflessibilità; perciò le loro pretese pesavano intollerabili su gente che, non avvezza e meno disposta a durar fatiche, si vedeva costretta da un'energia ferrea a subire le privazioni e le miserie di una guerra continua. Anche per altri e diversi motivi gli Ateniesi esercitavano il comando non più circondati dal consueto favore. Non partecipavano infatti in parità di condizioni alle campagne: per loro era immensamente più facile piegare i ribelli. Ma di questo stato di cose si rendevano responsabili gli alleati stessi: per la loro renitenza al servizio armato, la maggior parte di essi, per poter restare a casa, si lasciava imporre il pagamento di una somma pari in valore alle navi non corrisposte. In tal modo cresceva la potenza navale degli Ateniesi, che vi impegnavano i fondi derivati dalle varie contribuzioni, e gli alleati quando accennavano a un tentativo di rivolta, si trovavano in guerra senza preparazione né esperienza.» (Tucidide, Guerra del Peloponneso, libro I, 99)

Insomma, un "Ce lo chiede la Lega Delio-Attica" che riecheggia sinistramente un refrain al quale ci stiamo abituando, quel "Ce lo chiede l'Europa" figlio, anch'esso, dell'incauta adesione a dei trattati internazionali.

La "globalizzazione" del V secolo a.c. terminò con le guerre del Peloponneso, che sancirono la breve egemonia spartana prima del ciclone Alessandro Magno e, soprattutto, dell'arrivo della nuova potenza emergente, la Repubblica Romana.

La "globalizzazione" del XIX secolo


Nel XIX secolo le cose andarono diversamente. E' vero, si impose il gold-standard, ma non si può parlare, in questo caso, di un trattato internazionale in senso stretto, perché nulla obbligava gli Stati che ad esso si conformarono al suo rispetto: in questo caso ci troviamo davanti a uno standard de-facto, che si impose con la forza delle convenienze reciproche delle borghesie nazionali che dominavano gli Stati europei. In compenso, quella fu un'epoca di straordinarie innovazioni tecniche. Navigare con la forza del vapore invece che con il vento, e subito dopo con la tecnologia dei motori a combustione interna, rappresentò un cambiamento radicale. La nascita del telegrafo e del telefono, lo sviluppo delle ferrovie, l'industria del ferro e del carbone, la sintesi di nuovi materiali grazie ai progressi della chimica, mutarono radicalmente e velocemente il quadro economico. Il gold-standard, in questo contesto, si impose come una sorta di quadro normativo neutrale nei cui confini la concorrenza tra i nuovi padroni del mondo, i grandi detentori di capitali, si svolgeva senza esclusione di colpi. Nulla era più come prima: questa "globalizzazione" era effettivamente causata e alimentata dagli stupefacenti progressi tecnologici, dei quali era contemporaneamente causa ed effetto.

Anche questa "globalizzazione", come quella del V secolo a.c., terminò con una guerra. Nel 1914 il rapporto tra il valore degli scambi commerciali e il PIL mondiale era dello stesso ordine di grandezza di quello odierno, ma questa cornucopia non solo non rappresentò un ostacolo alla Grande Guerra, ma anzi ne fu la causa scatenante. Nel dopoguerra vi furono tentativi di ricostituire un regime di gold-standard, soprattutto per impulso della Gran Bretagna, ma la crisi del 1929 ne sancì la fine. Da quel momento, e per mezzo secolo, di globalizzazione non si parlò più.

La "globalizzazione" moderna


Nel 1980 le merci viaggiavano ad una velocità non dissimile da quella odierna. Il sistema di telecomunicazioni, come oggi, copriva l'intero pianeta. I computer esistevano già. La velocità degli aerei era simile a quella di oggi. C'erano, come oggi, reti ferroviarie e stradali, e grandi opere di ingegneria. Gli scambi commerciali poggiavano su un sistema bancario che usava una tecnica contabile non dissimile da quella odierna. Le reti televisive, commerciali e non, coprivano tutto il pianeta. Le armi atomiche c'erano allora come oggi. Ci sono stati cambiamenti tecnologici, questo è vero, ma nella continuità, senza nessuna vera innovazione paragonabile a quelle verificatesi nei decenni conclusivi del XIX secolo. Paradossalmente, ci sono stati più cambiamenti tecnologici nei decenni che hanno preceduto questa "globalizzazione", che non da quando essa ha iniziato a dispiegare i suoi effetti nella vita di ognuno di noi! Mancava, per capirci, una "spintarella"... che è arrivata.

Eppure si parla di una "globalizzazione" che sarebbe figlia dei progressi tecnologici! Questa favola, perché di ciò si tratta e di null'altro, è stata data in pasto alle opinioni pubbliche utilizzando, ironia della sorte, proprio l'unica tecnologia che, pur evolvendosi senza soluzione di continuità dalle prime reti telematiche fino all'Internet dei nostri giorni, avrebbe dovuto garantire una maggiore consapevolezza nella partecipazione alla vita pubblica di tutti i cittadini. La favola della "globalizzazione" guidata da Internet si è affermata grazie a un'attenta operazione di natura culturale, alimentata dal contributo di intellettuali sedotti dalla possibilità di emergere propalando la mistica per cui tutto è nella rete e la rete è nel tutto, in ciò ampiamente supportati dall'editoria padronale e dallo spirito di emulazione di milioni e milioni di ignoranti un tanto al chilo che, illusi dal fatto di padroneggiare l'abbiccì di una nuova tecnologia, si sono sentiti, ognuno nel suo piccolo, protagonisti di un cambiamento epocale.

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Il vero driver della "globalizzazione" moderna è stato, come già nel V secolo a.c., la politica, attraverso la ratifica di una serie di trattati internazionali che hanno letteralmente cambiato il mondo. Si è cominciato con l'Uruguay Round del 1986, conclusosi nel 1994, che pose fine all'accordo GATT ratificato nel 1947. Il GATT è stato poi sostituito dal WTO (World Trade Organization - 1995), e nel mezzo ci sono stati l'Atto unico europeo (1986) e il trattato di Maastricht (1992), seguiti dal trattato di Amsterdam(1996) e dall'Unione Monetaria Europea (1999). E adesso si parla di TTIP.

Particolare non trascurabile: la storia inizia nel 1986, tre anni prima della caduta del muro di Berlino. Esattamente come accadde nel V secolo, allorché la Lega Delio-Attica venne costituita in concomitanza con la fine delle guerre persiane!

Nota Illo-style: Ora io non pretendo che dei neo-alfabetizzati digitali, gente che quando il sottoscritto faceva da anni il programmatore sistemista ad alto livello non sapeva nemmeno cosa fosse una memoria ram, non si occupino delle nuove tecnologie, ma da qui a pensare che la rete sia nata con i social ce ne corre! E qui il pensiero corre alle famose picconate del grullo...


Se Historia magistra vitae, come può finire secondo voi questa "globalizzazione" moderna? La prima di quelle cui ho brevemente accennato è finita con una guerra. La seconda è finita con una guerra. La terza? Per non parlare delle altre: nihil sub sole novi.

Eppure il mondo è pieno di imbecilli che pensano che oggi c'è Internet... che le nuove tecnologie... che non si può fermare il progresso... piccoli scemi che credono di partecipare ad una nuova era di democrazia digitale, illusi da un grande scemo cui è stata spianata la strada verso un effimero successo proprio perché non tocca i fili ad alta tensione della politica vera. 

5 commenti:

  1. Ricordo una puntata del talk di Paragone (precedente a La Gabbia, mi adesso scoccia cercare il video) in cui ci fu Estulin a parlare del Bilderberg. C'era anche Sapelli, era la prima volta che lo vedevo, che gli rispose presappoco così: il problema caro amico non è la concentrazione del potere, questo semmai è stato il problema fino ad ora, il problema adesso è che il potere si sta disgregando.

    Risposta che trovai subito molto azzeccata tanto che mi si chiavò nel cranio.

    Ecco, penso che sostanzialmente stiamo entrando un periodo in cui vedremo le scosse di disassestamento della (an)globalizzazione dovuta alla progressiva disgregazione dell'ordine di potere attuale. Il mondo unipolare ci dice bye bye, incrociamo le dita che c'è da aver paura.

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    1. Completamente d'accordo. Ormai si stanno creando nuove sfere d'influenza, i BRICS si stanno mostrando sempre più un'alternativa all'unipolarismo USA in fase di declino.
      Saprà la classe politica che abbiamo cogliere la palla al balzo?

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    2. Se saprà cogliere la palla al balzo dipende dal modo e soprattutto dai tempi in cui gli eventi si svilupperanno. Se proseguirà il bollito di rana senza grosse rotture mi sentirei di rispondere no, non saprà cogliere la palla al balzo.

      Confidiamo allora che la calma piatta sia interrotta prima possibile, magari iniziando proprio dalla Grecia.

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  2. Riguardo alla guerra, beh, in realtà quella c'è già, magari non si combatte con gli strumenti convenzionali ma con altri metodi, poi c'è sempre il buon vecchio sistema della guerra per procura (vedi Ucraina), come finirà non è dato saperlo.

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