Hanno paura, un vero terrore che si risvegli in ogni paese, ma soprattutto in Italia, lo spirito nazionale, perché questa eventualità può essere la scintilla che incendia la prateria. Ricordate la lettera con cui Andreatta commemorava il divorzio Tesoro-Banca d'Italia? C'è un passaggio che mi ha sempre colpito:
«Il divorzio non ebbe allora il consenso politico, ne' lo avrebbe avuto negli anni seguenti; nato come "congiura aperta" tra il ministro e il governatore divenne, prima che la coalizione degli interessi contrari potesse organizzarsi, un fatto della vita che sarebbe stato troppo costoso - soprattutto sul mercato dei cambi - abolire per ritornare alle piu' confortevoli abitudini del passato.»
Ho evidenziato in grassetto la frase incriminata: prima che la coalizione degli interessi contrari potesse organizzarsi. Questa ci rimanda alla questione fondamentale, la necessità che nasca la coalizione degli interessi contrari alle politiche liberiste e globaliste che favoriscono la rendita finanziaria a discapito del lavoro. Una tale coalizione non può nascere all'interno degli ambienti politici, economici e culturali che da mezzo secolo conducono la guerra contro il lavoro; neppure è ormai possibile far leva su delle pur piccole e residuali rappresentanze politiche organizzate del mondo del lavoro, perché queste sono state completamente spazzate via, dopo essere state infiltrate e piegate agli interessi dell'avversario di classe. Quello che ne resta sono dei piccoli gruppi che, distanziatisi per tempo, hanno condotto in questi anni battaglie di natura per lo più informativa, e rafforzatisi nel corso del tempo grazie all'arrivo di un certo numero di attivisti/militanti che hanno preso coscienza della situazione per la gravità della crisi economica, sociale e morale che attanaglia il paese. Ciò nonostante, siamo ancora ben lontani dal poter sperare che anche solo l'embrione della coalizione degli interessi contrari sia stato fecondato.
Le ragioni di questo perdurante fallimento sono numerose e sotto gli occhi di tutti, nonché comprovate dall'insuccesso di ogni tentativo di costituire una lista ispirata alla Costituzione in occasione delle ultime elezioni, e ciò a dispetto dello slancio che la vittoria al referendum del dicembre 2016 sembrava aver impresso. Alla prova dei fatti, i sovranisti (e i sedicenti tali) si sono squagliati, dimostrando che:
1) sono molto meno numerosi di quanto si potesse immaginare in base al loro attivismo nel mondo virtuale dei social
2) in occasione delle elezioni la gran parte di essi ha preferito ammorbidire le posizioni per essere accolti in contenitori che, erroneamente, hanno creduto avessero maggiori probabilità di successo
3) un certo numero ha avuto paura, sia di potenziali penalizzazioni di carriera, sia (soprattutto io credo) di far brutta figura collezionando pochi consensi
Non credo ci sia molto da obiettare a questa lista, ma c'è un altro elemento che è, a mio avviso, ancora più importante: tanti o pochi che siano i sovranisti, è certo che sono per lo più isolati l'uno rispetto agli altri. L'adesione all'ideale sovranista si risolve così nel rivolgere l'attenzione verso uno o più centri di irradiazione ideologica: siti web, pagine social, convegni nazionali, senza che nasca una rete di relazioni orizzontali sufficientemente strutturata, tale da condurre alla nascita, nei territori, di gruppi di attivisti/militanti che rimangono in contatto tra loro.
Per una rete sovranista i cui nodi siano le sezioni, non i singoli |
I primi passi sono, al contempo, semplici e terribilmente difficili. Si tratta di costruire almeno due o tre sezioni locali, ognuna composta da almeno dieci iscritti, le quali successivamente si raccordino attraverso un direttivo comune i cui membri siano stati eletti all'interno di ognuna di esse. Questo direttivo avrà il compito di elaborare ulteriormente l'architettura statutaria, in vista di successive adesioni di altre sezioni che, per emulazione, dovessero formarsi, nonché la responsabilità di gestire la comunicazione comune di tutte le sezioni aderenti. Queste ultime, invece, dovranno attivarsi nei rispettivi territori, cercando di espandersi e/o favorire la nascita di altre sezioni locali.
Ho già idea di come, secondo me, dovrebbe configurarsi lo statuto della rete, ma per ora le terrò per me. Esso dovrà essere elaborato dai delegati delle sezioni locali, e ovviamente sottoposto a revisione quando richiesto da un certo numero di sezioni cui la versione corrente dello statuto assegna questo diritto. In linea generale, posso dirvi che quello che spero venga a nascere è una gestione della democrazia politica interna non verticistica, non assemblearistica, non referendaria.
"No piattaforma Rousseau" per intenderci, vale a dire "zero possibilità di brogli", perché i delegati vengono eletti all'interno di piccole sezioni, dove il controllo democratico è facile, ed ogni organo di livello via via superiore è sempre composto da un numero limitato di soggetti che possono controllarsi reciprocamente. Infine, la Coalizione degli interessi contrari dovrà essere scalabile, ma non facilmente scalabile: per farlo si dovranno presentare mozioni congressuali, vincere i congressi, resistere alle controffensive. Insomma politica vera.
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