mercoledì 4 aprile 2018

Libertà è Partecipazione (o Fettuccine alla Boscaiola)

A me piacerebbe che il movimento sovranista costituzionale dal basso si chiamasse "Libertà è Partecipazione", ma ovviamente non posso decidere io, altrimenti che movimento dal basso sarebbe? Per come la vedo potrebbe anche chiamarsi "Puffi Patrioti" o "Fettuccine alla Boscaiola", quello che conta è la sostanza, cioè il metodo. Per metodo intendo un insieme di procedure democratiche che siano in grado di tenere insieme un gruppo crescente di persone che condividono un obiettivo, garantendo sia la competizione interna che tutelando il movimento da infiltrazioni di agenti distruttivi. Allo scopo, tempo fa, ho indirizzato a un gruppo, con cui ho collaborato per anni, uno scritto nel quale descrivevo per sommi capi un'ipotesi iniziale. Avendo preso atto del disinteresse con cui la proposta è stata accolta, ma essendo al contempo convinto della sua bontà, ho deciso di continuare provando a renderla pubblica. Vox clamantis in deserto?

Nel seguito riporto, con qualche correzione, la proposta naif che avevo elaborato, evidentemente ancora in uno stato embrionale. Posso fare di meglio, credo che chi mi segue da tempo lo sappia, ma è uno testo scritto d'impeto, con passione e rabbia. L'idea di fondo è che sono convinto che ci sia una grande voglia di partecipare, ma anche che nessuno sia disposto a spendersi se le regole del gioco non sono chiare. E sapete perché? Perché non si fa politica solo per ragioni ideali, ma anche per contare, e a nessuno piace l'idea di spendersi per anni per poi vedersi scavalcato dai figli di puta. Ecco perché il metodo democratico, che deve essere rigoroso, è fondamentale. Chi lavora deve contare, i figli di puta devono fare gavetta. Che poi è la speranza suscitata dal M5Scontrini, che all'inizio riuscì a prendere piede mobilitando migliaia di compatrioti di buona volontà. Ma era un trucco, perché quel movimento era dall'alto, non dal basso.



Come si costruisce dal basso un movimento sovranista costituzionale


L'obiettivo di questo scritto è cominciare a riflettere sulle tecniche per costruire da EKATON un nuovo movimento sovranista che sia capace, a differenza di altri, di crescere esponenzialmente. L'idea di base è quella di mettere insieme un primo nucleo di 100 (EKATON) persone, ognuna delle quali deve riuscire ogni anno a conquistare un nuovo militante alla causa. Aritmeticamente, la progressione sarebbe la seguente: 100, 200, 400, 800, 1600, 3200, 6400, 12800, 25600, 51200, 102400.

Col termine militante si intende una persona che, avendo compreso i fini dell'iniziativa politica, la faccia sua dedicando ad essa tempo ed energie finalizzate alla sua crescita. Non discuterò in questa sede, nello specifico, quali siano gli obiettivi politici del movimento, ai quali mi riferirò genericamente con la dizione "sovranismo costituzionale". Questa denominazione è, tuttavia, un fatto importante, perché fornisce al movimento un "libro sacro", che è un elemento di fondamentale importanza per il successo di qualsiasi azione di proselitismo.

Ogni azione di proselitismo non può prescindere da alcuni presupposti. In primo luogo, l'obiettivo politico che ci si prefigge deve essere proposto in modo emotivamente coinvolgente, tale da caricare le persone sul piano motivazionale. E' importante, dunque, utilizzare parole capaci di evocare le forze "primitive" che agiscono nell'animo umano, ad esempio il coraggio, la giustizia, la verità, la comunità nazionale.

Inoltre è necessario costruire, fin dall'inizio, il sentimento di appartenenza emotiva/sentimentale al gruppo, stabilendo criteri morali di accesso e di allontanamento; i primi legati al possesso di qualità nobili dell'animo umano e riassunti nella breve selezione di parole d'ordine poc'anzi elencate, i secondi a comportamenti deplorevoli dal punto di vista della comunità che andrà via via formandosi.

Di fondamentale importanza, sia per determinare la natura profonda del gruppo in formazione, sia dal punto di vista delle motivazioni a farne parte, dovrà essere l'enfasi sulla democraticità, sia formale che sostanziale, dei processi decisionali interni. In particolare è importante sottolineare, ovviamente avendoli creati per tempo, la presenza di rigidi meccanismi a garanzia e difesa del principio democratico.

Per la crescita del gruppo è necessario predisporre anche uno strumento di comunicazione verso l'esterno, che sia pubblico e aperto a ogni genere di discussione e interventi, anche da parte di non iscritti, e uno o più strumenti anch'essi pubblici, tuttavia riservati alle pubblicazioni ufficiali.

Ogni militante, a partire dai primi 100, sarà tenuto a contribuire economicamente tramite il versamento simbolico di 1 euro al mese, da anticipare in un'unica rata annuale di 12 euro o in due o quattro rate di 6 o 3 euro. Il mancato adempimento dell'obbligo di contribuzione implicherà la sospensione dal gruppo, con la perdita del diritto di voto in ogni sede, fino al momento del saldo. Sono ovviamente consentite le contribuzioni di valore superiore, sia periodiche che occasionali, ma sempre con un limite superiore.

Un criterio potrebbe essere quello per cui la somma delle contribuzioni eccedenti quelle dovute non deve mai essere superiore a quelle dovute. Ad esempio, se il mese x le contribuzioni dovute assommano a 100 euro, un singolo militante non può versare più di 100 euro oltre all'euro comunque dovuto; lo stesso per due, tre o più militanti. Ad esempio, se ci fossero 4 militanti disposti a versare più del dovuto, la somma delle loro contribuzioni eccedenti non potrebbe superare la cifra di 100 euro. Quanto detto non si applica al caso delle contribuzioni straordinarie, sollecitate (ma non imposte) da apposita deliberazione degli organi dirigenti.

La struttura organizzativa-decisionale del gruppo dovrà essere pensata per evolversi nel tempo, sia in funzione del numero degli iscritti che della loro localizzazione geografica, ma dovrà sempre tendere alla formazione di un organismo politico decentrato e federale, tenuto insieme, oltre che dalle finalità comuni, dai meccanismi democratici interni.

L'unità organizzativa di base è la sezione, composta inizialmente da almeno 5 iscritti. La scelta della sezione alla quale iscriversi è libera. Occorre riflettere, col crescere degli iscritti, sulle dimensioni massime di una sezione, al fine di limitare la crescita di alcune, in luoghi ad alta densità di abitanti, che possano diventare sede di potere decisionale esorbitante rispetto alle più piccole. Queste valutazioni saranno sotto la responsabilità del comitato centrale, democraticamente eletto, il quale potrà imporre che una sezione troppo numerosa si divida in due.

Nella fase iniziale, fino a un massimo di 400 iscritti, il comitato centrale sarà eletto dall'assemblea plenaria. Oltre questo numero, si procederà col metodo dei grandi elettori, il cui funzionamento è testé descritto.

Immaginiamo di avere 600 iscritti, suddivisi in 24 sezioni sparse sul territorio, e che il comitato centrale sia composto da 20 iscritti. In tal caso, ogni sezione eleggerà un numero di componenti del c.c. proporzionale al numero dei suoi iscritti, con il correttivo di arrotondare a 1 il risultato per le sezioni più piccole che non raggiungessero tale numero, e arrotondare per difetto per tutte le sezioni che esprimono almeno un membro del c.c. sulla base dei loro iscritti. Eventuali posti vacanti risultanti dall'applicazione di questo metodo verranno assegnati alle sezioni più piccole, a partire da quella col minor numero di iscritti. In caso di parità si procederà per accordo o, se ciò non è possibile, per estrazione.

Il c.c. è l'organo direttivo e di indirizzo politico del partito. Il numero dei suoi componenti può aumentare al crescere degli iscritti. In linea generale, ritengo che il numero massimo di componenti non dovrebbe superare le 50 unità. Superata tale soglia, il c.c. potrà eleggere al suo interno una commissione esecutiva per il disbrigo degli affari correnti, riservando tuttavia a sé l'indirizzo politico.

Con l'ulteriore crescita degli iscritti, ad esempio oltre i 2000, il c.c. stabilirà le forme e i modi per celebrare i congressi.

Ora consentitemi un pizzico di spregiudicatezza, ma devo saccheggiare un po' dalle tecniche del multilevel marketing. Se vi fa schifo pazienza, mi corre comunque l'obbligo di ricordarvi che con la realtà degli esseri umani bisogna fare i conti.

Nel multilevel marketing si fa uso di alcune tecniche che trovano la loro ragion d'essere nella naturale tendenza degli esseri umani al gioco. L'abilità dei manager consiste nell'utilizzare questa inclinazione per rafforzare il sentimento di appartenenza e stimolare una concorrenza tra i venditori che produce utili per l'azienda. Ad esempio, viene stabilita una soglia di vendita oltre la quale scattano dei bonus, il cui valore spesso non giustifica razionalmente l'extra impegno necessario per superarla. Ciò nonostante tutti si danno da fare per vincere perché la remunerazione è solo in parte pecuniaria, dal momento che a ciò si aggiunge il piacere di giocare per vincere.

Nota: con tanto di premi e cotillons per i migliori, che vengono fatti sfilare sul palco a suon di musica mentre un presentatore ne esalta il valore. Coreografia con belle pupattole e giovinotti muscolosi e ben vestiti, all'uopo assoldati. Ma in fondo Stalin, con Stakanov, cos'altro faceva? Diciamocelo, anche 'sta cosa l'ha inventata il compagno Iosif!

Io credo che dovremmo inventarci qualcosa del genere, sia pure con modalità abbastanza più austere e serie. Penso, ad esempio, al fatto che quando un iscritto riesce a portare nel gruppo un nuovo militante, sulla tessera di costui dovrebbe essere scritto "presentato da...." e, in occasione di assemblee nazionali e/o regionali, si dovrebbe offrire un riconoscimento ai migliori reclutatori. Inoltre si dovrebbe tener traccia e conto di questa capacità, e dovrebbe essere compito del c.c. trovare il modo di impiegarle politicamente nel modo migliore.

10 commenti:

  1. "...non si fa politica solo per ragioni ideali, ma anche per contare, e a nessuno piace l'idea di spendersi per anni per poi vedersi scavalcato..."

    Se per "contare" si intende il prestigio, non mi sentirei scavalcato se dopo anni di militanza le mie ragioni ideali venissero meglio di me espresse da uno che ha meno militanza di me.

    Se per "contare" si intende il potere in sé, potrebbe trattarsi di una militanza in cerca di una compensazione, per tutto lo stress e i compromessi incontrati nel cammino o per una insoddisfazione personale preesistente.
    Per questo per me la militanza può/deve essere una gioiosa occasione di crescita personale mentre si perseguono obbiettivi politici, cioè collettivi, dietro i quali non dovrebbero nascondersi quegli altri.

    Cruciale non fare l'errore di Illo che ha divulgato in virtù del senso del dovere, da cui la retorica di un presunto sacrificio e relativo risentimento vittimistico.
    Nessuna meraviglia se poi si cerca una compensazione, se non, con tali modalità, dal principio segretamente cercata.

    Personalmente se non mi fossi ritrovato semi schiavo insieme a tanti altri avrei continuato a delegare ai piddini.

    Contro il logorio della politica moderna la militanza può/deve essere compatibile con la celebrazione e la voglia di condividere.

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    1. Io cerco sempre di non confondere quello che le persone sono con quello che io vorrei che fossero. Per questo non credo nella palingenesi rivoluzionaria, ma solo nella lotta. La "lotta di classe" comincia quando le persone capiscono che gli conviene lottare insieme con gli altri, invece che da soli. Tuttavia sono sempre individui, e un buon numero prepone sé stesso agli obiettivi comuni, ed è esattamente per questo che è necessario costruire le regole che tengano ben legati i normali (e in fondo naturali) desideri egotici. Per capirci: non fu facile per Giulio Cesare, Pompeo, Antonio, Cesare Ottaviano, aggirare il profondo sentire repubblicano del popolo romano. Lo stesso può dirsi del popolo fiorentino coi Medici. Certo, alla fine la repubblica cedette il passo alla signoria, ma entrambe erano durate secoli e avevano condotto le città al successo.

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  2. La mia osservazione vuole indagare nella direzione di come e se sia possibile usare il potere senza esserne egoicamente usati.

    Secondo me il rischio del "tradimento" c'è, sempre, ma concentrarsi su questo cercando le regole che lo prevengano sottrae energie al sentimento di fiducia e amore che sostengono le idee di quello che si vuole realizzare.

    Le regole democratiche secondo me devono prevedere che io possa democraticamente perdere il potere, cioè leadership che detta la linea, e diventare minoranza o addirittura espulso, punto (ma anche e 'sti cazzi, morta una sezione sovranista se ne fa un'altra).

    Per questo propongo un cambio di paradigma dove l'uomo (nuovo) fa il militante (e la "politica nuova"....ecco un possibile nome alternativo del soggetto nascente).

    Quando si presenta un bravo e diligente militante che vuole contare, ma cazzaro e che vuole scalare il soggetto sovranista, l'unico modo per disciplinare tale volontà senza diventare paranoici è far capire che da soli non si va da nessuna parte, a parte che nel cesso della storia;
    e che non c'è tempo per essere bravi a fare tutto, che dobbiamo imparare a cooperare con tutti i compartimenti in cui andrebbe organizzativamente strutturato il soggetto sovranista, rendendolo al suo interno interdipendente.

    Sono ignorante sugli esempi storici che fai, Fiorenzo, ma intuitivamente se aggirare il sentimento repubblicano ha portato le città al successo mi suona un po' paradossale rispetto alle nostre intenzioni democratiche. Evidentemente ti riferisci a un "malinteso sentimento repubblicano".

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    1. Probabilmente mi sono spiegato male. Quello che voglio dire è che il successo delle repubbliche è determinato proprio dal fatto che esse sono democratiche, riuscendo così a mobilitare in profondità le forze sociali. Solo dopo che le repubbliche hanno avuto successo, e sono diventate ricche e potenti, riemergono le spinte oligarchiche. Esempi? La fine della repubblica di Roma antica (quella che aveva conquistato l'impero, dal 509 a.c. al 31 a.c.), Firenze, la stessa Atene.

      In generale, ti voglio ricordare che la politica interna è confronto/scontro di interessi di classe, per cui non servono persone "buone e oneste", ma personalità capaci di condurre la lotta di classe. Ovviamente, alcune di queste personalità possono essere comperate, oppure una volta raggiunto l'obiettivo essere tentate dall'idea di sostituirsi esse stesse alla repubblica instaurando un potere personale. Per questo le istituzioni, sia del partito che della repubblica, devono essere ben progettate.

      In tutto questo, la crescita spirituale c'entra ben poco, per non dire nulla. Si può essere politicamente dalla stessa parte (e quindi votare insieme) di un mascalzone che va a rubare e mangia la polenta con gli osei, e avversario di un azionista di banca vegano che va a messa tutti i giorni (e quindi votargli contro). Sono cose diverse.

      Secondo te, avrebbe senso frequentare un circolo buddhista e parlare di politica? Ovviamente no. Allo stesso modo, se fai politica devi guardare solo ed esclusivamente alla coincidenza di interessi concreti tra te e gli altri, i quali interessi concreti si riducono a: soldi e potere.

      Le due cose, spiritualità e politica, possono eventualmente convivere in uno stesso individuo, ma sarebbe solo una coincidenza. Pertanto, in generale, si fa politica in un contesto della propria esistenza, si fa ricerca spirituale in un altro. Unire questi due aspetti non solo è difficile ma, soprattutto, inutile.

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    2. Non so in un circolo buddhista ma con me si può parlare di tutto se messo nella prospettiva di un interesse condiviso, tipo non tediare nessuno.

      Se la meditazione, quale strumento della crescita spirituale, è l'arte di stare con quello che c'è, dentro e fuori se stesso, allora fare politica non contraddice questo approccio, presente nell'osservare qualunque dominio, non solo politico; non vedo nessuna contraddizione o controindicazione.
      Al contrario sarebbe inutile lottare per conquistare soldi e potere non sapendo cosa farne.

      Contendersi soldi e potere in modo democratico mi sembra l'obbiettivo minimo, del metodo.

      Cosa farne dei soldi e del potere attiene alla visione, questa non può prescindere dalla soggettività e dalla sua più o meno evoluta spiritualità.

      Non credo possibile maturare una visione di come si vorrebbe il mondo se non si conosce un po' se stessi, in particolare quanto si sia emancipati o meno dal prorio ego, con le sue fuorvianti identificazioni.

      Poi, se a nessuno interessa la mia visione, e mi ritroverò da solo o con la fidanzata sulla spiaggia quasi inutile di Marzo a inventare nuove primavere, let it be.
      https://www.youtube.com/watch?v=ctDUT-zeXN0

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    3. Consentimi Francesco, ti faccio un esempio. Supponi di essere nell'america del nord intorno al 1850, doce si sono gli agricoltori e gli allevatori in lotta tra di loro. In entrambi i gruppi ci sono protestanti, battisti, avventisti, cattolici, e perché no? anche buddhisti, confuciani e atei. Mica essere dalla parte degli agricoltori (o degli allevatori) ha qualche attinenza con il seguire una di queste confessioni! Sono cose completamente diverse. Quando vai ad una riunione al saloon con gli agricoltori (o gli allevatori) le tue personali convinzioni le metti da parte. Finita la riunione, queste tornano importanti. Non c'è altro, a meno di voler considerare la politica come una branca della morale o della filosofia, o (Dio non voglia) della religione.

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    4. Oggi, invece degli agricoltori e degli allevatori ci sono il lavoro e il capitale. Sia tra i lavoratori che tra i capitalisti ci sono persone con le più diverse convinzioni e stili di vita, ma il punto è uno solo: o col lavoro o col capitale.

      Al lavoro conviene delimitare la lotta sul piano nazionale, al capitale (per sua natura cosmopolita) conviene allargare il campo da gioco all'intero globo. Così nel saloon si parleranno centinaia di lingue diverse (oltre ad avere convinzioni e gusti differenti) e si fa la torre di Babele.

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    5. In altre parole, i diritti civili (tra cui rientra la libertà filosofica) non si scambiano coi diritti sociali. Aka: quale frazione del plusvalore spetta ai lavoratori? Trovato l'accordo su questo punto (dopo aspra lotta, visto quello che hanno combinato) tutto il resto rientra nella libertà di ognuno. Ma mi ci vedi a negare ai gay il diritto di camminare mano nella mano? Fatti loro. Oppure a sostenere che una religione, uno stile di vita, sono permessi e altri negati?

      O a impedire a qualcuno di dedicare la sua vita a far soldi? Lo faccia, purché stia nei limiti dell'equilibrio politico ed economico sancito dalla Costituzione, cioè dal "trattato di pace" della lotta di classe.

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    6. "Quello che voglio dire è che il successo delle repubbliche è determinato proprio dal fatto che esse sono democratiche, riuscendo così a mobilitare in profondità le forze sociali. Solo dopo che le repubbliche hanno avuto successo, e sono diventate ricche e potenti, riemergono le spinte oligarchiche. Esempi? La fine della repubblica di Roma antica (quella che aveva conquistato l'impero, dal 509 a.c. al 31 a.c.), Firenze, la stessa Atene".

      Le auguro ogni fortuna nella sua avventurosa impresa, ma tenga presente che - come scrivevo qualche giorno fa - tutte le realtà da Lei citate partivano da un forte sentimento di OMOGENEITA' preesistente, che ne ispirava comportamenti e istituzioni repubblicane (*NON* democratiche).

      Secondo punto: non faccia l'errore macroscopico di confondere repubblica e democrazia. Quella romana era una repubblica gentilizia prevalentemente diretta dal senato, quella fiorentina una repubblica di principi-mercanti, ad Atene la democrazia (diretta) c'era ma riguardava fra il 10 e il 20% dei residenti che formavano a tutti gli effetti una classe privilegiata.

      In una situazione di sfacelo atomistico come quella attuale l'omogeneità (intesa come un sentimento istintivo e non ragionato per l'ordine, la disciplina, la gerarchia, l'autosacrificio) non può essere presupposta bensì andrebbe creata, e certamente ciò non avverrà sulla base di idealità irenistiche e procedimenti democratici.

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  3. Lascio sedimentare le cose che ci siamo detti, anche di persona, e ti rispondo.
    Per ora solo una cosa: quando parlo di spiritualità non mi riferisco a nessuna confessione e relativa morale ma all'autenticità (fraganza) di quando le cose che facciamo (inclusa la buona politica) sono esigenza ed espressione di una ricchezza interiore, piuttosto che di miseria esteriore, propria o altrui.

    P.s. Dubbi notturni, aspetta per la P. Orm. ti chiamo nel pomeriggio.

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