sabato 20 aprile 2019

Le emozioni sono causate dai pensieri, i quali a loro volta sono controllati dalle parole, dal nostro dialogo interno…

Disclaimer: il titolo del post è tratto da un vecchio articolo di Antonella Randazzo. Dell'articolo, comunque da leggere, condivido in pieno l'impostazione epistemica, non del tutto il resto.

Continua la disgustosa, e sempre più spesso rivoltante nella sua spocchia, appropriazione indebita del termine "sovranismo" da parte di forze politiche che con questo pensiero non hanno nulla da spartire, anzi ne sono gli acerrimi nemici. In questa squallida operazione si distinguono i media liberali (cioè tutti) che a giorni alterni descrivono il salvinismo come sovranista o populista. Già, perché una volta che si è deciso di rubare, perché limitarsi? Chi scrive però è un sovranista, non un populista, per cui non mi occuperò di questo secondo furto, essendo questo un compito dei populisti. Alcuni dei quali, a quanto pare, sono talmente imperturbabili davanti al fatto da spingersi a invocare la mobilitazione popolare in difesa del governo quando esso sarà attaccato dalle cosiddette forze euriste, aka l'articolazione, un tempo maggioritaria, dello stesso vasto fronte liberale. Li chiameremo "grillini dell'Illinois", con riferimento puramente voluto.

Le emozioni sono causate dai pensieri, i quali a loro volta sono controllati dalle parole, dal nostro dialogo interno: ne consegue che distruggere il nostro dialogo interno presuppone la manipolazione delle parole per arrivare al controllo delle emozioni. Che l'adesione al salvinismo sia di tipo emotivo non credo possano esservi dubbi; la principale leva è stata l'immigrazione, alla quale (sacrificio di pedone) è stato imposto uno stop momentaneo anche perché, in ogni caso, i flussi si stavano già riducendo. Ma l'obiettivo più importante era, ed è ancor oggi, quello di scongiurare la rinascita di un sentimento di amor patrio, costituzionale, genuinamente socialista e democratico. Per questo i liberali hanno sentito il bisogno di appropriarsi non solo delle parole ma addirittura delle idee dei sovranisti, ed hanno raggiunto lo scopo assoldando quelli che erano disposti a vendersi: Parigi val bene una messa.

«Dopo anni di sanguinosa guerra vinse Enrico di Navarra, divenendo così il primo monarca del ramo Borbone a prendere il trono di Francia. Però, a questo punto, divenne necessario per il futuro Re, che era ugonotto e di religione protestante, convertirsi al cattolicesimo per poter salire sul trono di Francia ed è proprio prima di farsi cattolico che Enrico IV pronunciò la famosa espressione "Parigi val bene una messa", indicando con tali parole che "vale la pena sacrificarsi per ottenere uno scopo alto", ossia rinunciare alla sua fede protestante in favore di quella cattolica pur di conquistare il regno di Francia.»

Funzionò col popolo analfabeta francese del 1500, e a quanto pare ha funzionato con gli italiani di oggi. Ma non perché gli italiani non sappiano ragionare, bensì perché dei sovranisti e delle loro idee non hanno fatto in tempo a sentir parlare: quando stavamo cominciando ad uscire dalla nicchia della nicchia della nicchia è partita l'operazione babele, giunta al pieno successo grazie allo struggente sacrificio di pochi eroi no €uro.

La manipolazione delle parole, quindi dei pensieri e delle emozioni, viene sviluppata a partire dalla storia dei popoli non solo e non tanto approfittando della debolezza umana dei suoi leaders, ma soprattutto sussumendone i simboli e i valori al fine di distorcerli contro i suoi interessi. Ecco allora che i piddini convertiti al verbo liberale sono diventati, nella narrazione del noto imprenditore brianzolo, i comunisti; per i piddini, il liberale europeista e secessionista Salvini è un fascista; il socialista Benito Mussolini, vendutosi agli industriali e agli agrari nonché a libro paga degli inglesi, ottenne dapprima gli entusiastici peana della testata ufficiale della borghesia compradora y vendedora italiana:


che poi effettuò una giravolta a 180°, sempre con l'unico ossessivo scopo di conservare il potere:


La premiata ditta liberale


Saranno gli stessi liberali salviniani, quando verrà il momento, cioè quando a dispetto dei loro sforzi cominceremo ugualmente ad essere conosciuti per quel che siamo veramente, a tacciare di fascismo noi sovranisti! Col pieno ed entusiastico supporto della premiata ditta liberale.

Questa premiata ditta non opera nell'oscurità bensì alla luce del sole per il tramite delle sue organizzazioni nazionali e internazionali, nonché col supporto di quelle che un tempo, prima di vendersi, difendevano gli interessi dei cittadini lavoratori: partiti e sindacati. La premiata ditta ha il compito di promuovere l'ideologia liberale, ma sia essa che l'ideologia liberale non devono essere confuse col capitale, cioè tout court con i possessori di ricchezze private. Il capitale, senza l'ideologia liberale che ne difende e promuove gli interessi per il tramite della premiata ditta, è un animale cieco e stupido che non è difficile sottomettere, costringendolo a lavorare per gli interessi collettivi del popolo e della nazione. Detto in altri termini, non si deve essere anticapitalisti, ma antiliberali! Quelli che si definiscono anticapitalisti e antiliberali sono i veri comunisti (non i piddini), ma noi sovranisti non siamo comunisti; quelli che dichiarano, ad ogni pié sospinto, di essere anticapitalisti ma dimenticano di definirsi antiliberali, sono traditori senza ombra di dubbio.

Provate a rileggere quello che hanno scritto i più noti eroi no €uro negli ultimi dieci anni, e unite i puntini.

10 commenti:

  1. Riguardo alla distinzione tra liberalismo e capitalismo a me sorgono due dubbi.



    1. Il primo di natura strutturale, ossia economica, ed è riassunto dalla parole di Andrea Zhok (si tratta di un commento di egli stesso a un suo post, metterò il link alla fine):

    «La versione oggi più accreditata non è che la stagflazione fosse una conseguenza delle politiche keynesiane (questa è la versione monetarista), ma che una volta creatosi uno sbilanciamento dovuto ad uno shock esogeno (uno spostamento della curva di Phillips), le politiche keynesiane non sono in grado di correggere la nuova taratura dei rapporti tra inflazione e stagnazione (disoccupazione). Il problema per me sta tutto nel dover condizionare (non necessariamente nel breve, ma nel lungo termine) le forme del lavoro e l'occupazione alla crescita. - Le ricette keynesiane sono le migliori fino a quando c'è crescita, o fino a quando la si riesce a produrre, ma il problema è che questo significa che devono entrare nella competizione con quelle neoclassiche su chi fa più crescita, e qui c'è un doppio problema: 1) avendo come obiettivo la mera crescita del Pil le politiche keynesiane potrebbero rivelarsi meno efficaci, anche solo occasionalmente, e ciò richiamerebbe in auge il modello neoclassico, che una volta al potere non lo molla: gareggiare sulla crescita con il modello neoclassico-liberista può risultare strutturalmente perdente; 2) a parte ciò la crescita non può comunque essere infinita e tende ad essere strutturalmente più bassa nei paesi già sviluppati. - La comunanza di obiettivi in termini di crescita tra neoliberismo e keynesismo è, a mio avviso, un grave problema.»

    https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=995634650617934&id=100005142248791



    2. Il secondo di natura sovrastrutturale, e concerne la logica di sviluppo del capitalismo stesso.
    Costanzo Preve scrisse:
    «A lungo la sinistra ha accusato il capitalismo di conservatorismo, ed ha addirittura etichettato come "conservatori" i suoi sostenitori. Questa etichetta è priva di fondamento storico, e si applica soltanto (parzialmente) ai residui nobiliari e alle classi legate alla rendita fondiaria ed in parte finanziaria.
    Marx sapeva perfettamente che il capitalismo è la forza meno conservatrice che esista, e che fa saltare in aria tutto ciò che sembra solido.»

    In altre parole l'impostazione previana suggerisce che è la logica stessa del modo di produzione capitalistico, il quale deve rinnovarsi continuamente, che fa sì che esso si liberi delle sue catene borghesi, o keynesiane, per diventare liberale e globalista, e dunque assoluto.



    Incrociando pertanto Zhok e Preve, mi chiedo: è davvero possibile sperare di avere il capitalismo senza il liberalismo, ovverosia il capitalismo che resti incatenato e (dopo un po' di tempo) non si scateni? O forse è inevitabile uscire non solo dal liberalismo, ma dal modo di produzione capitalistico tout court?

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    1. Su questo credo che Marx abbia già risposto. Piuttosto, appare chiaro che qualunque trattazione che disgiunga la politica dell'economia (e viceversa) è destinata a fare il gioco dei padroni del valore. Grande è la confusione sotto il cielo.

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  2. Se posso permettermi, senza offesa alcuna, sia ben chiaro, quando ho letto che "Il capitale, senza l'ideologia liberale che ne difende e promuove gli interessi per il tramite della premiata ditta, è un animale cieco e stupido che non è difficile sottomettere, costringendolo a lavorare per gli interessi collettivi del popolo e della nazione", mi è scappata una risatina. Nel mondo d'oggi, un quadro di questo tipo lo trovi solo in Cina o in Vietnam. Ma la Cina ed il Vietnam non sono democrazie rappresentative pluripartitiche. C'è un partito (comunista) che mantiene il controllo totale dei meccanismi economici e sociali. E voi non siete comunisti.
    Buona Pasquetta.

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    1. ...E su questo invece ha risposto il professor Bellofiore

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  3. Quello che dice Bellofiore non lo so. Ma so per certo, perchè "il capitale" l'ho letto, anche se parecchi anni fa e ancora mi domando se ci ho capito veramente qualcosa, che per Marx il Liberalismo è la sovrastruttura ( ovvero la mistificazione ideologica creata dalla classe dominante) del capitalismo. Ciò detto, ognuno la vede come vuole.

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    1. "per Marx il Liberalismo è la sovrastruttura"

      Grazie per per ricordato un altro motivo per cui noi sovranisti non siamo comunisti. Se lo fossimo, perché mai avremmo dovuto inventare una nuova parola?

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  4. Ciò non toglie, al di là di come ci si definisca, che, a mio modestissimo parere, il capitale non è un animale cieco, men che meno stupido ed è tutt'altro che facile sottomettere. Il denaro è potere e se vuoi che chi lo detiene, ovvero il capitalista, non interferisca con il tuo agire politico, lo devi ingabbiare in un sistema politico rigido. La sola Costituzione, e la storia italiana del dopoguerra sta lì a dimostrarlo, non basta.

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    1. Il denaro non è vero potere, lo è la proprietà dei beni reali normata da leggi e codici, nonché protetta da vasti apparati militari. Chissà perché, oggi, c'è questa strana allucinazione per cui i segni in moneta fiat della proprietà (cioè i pezzi di carta o i click del computer) vengono percepiti come sostanza reale. Alla base, però, non ci sono i pezzi di carta, ma il possesso dei beni reali, e dunque è la solita vecchia minestra: la proprietà dei mezzi di produzione.

      La differenza tra noi sovranisti e i comunisti consiste nel fatto che i secondi pensano di poter risolvere il problema alla radice, una volta e per sempre realizzando una società di eguali da cui nascerà l'homo novus, mentre per noi l'equilibrio tra capitale (proprietà giuridica dei mezzi di produzione, non pezzi di carta) e lavoro (anch'esso normato dalle leggi) è dinamico e dipende dalla capacità delle due parti di organizzarsi per vincere la lotta. Per questo il vero nemico è l'ideologia liberale con le sue organizzazioni reali e concrete, non il cieco possesso dei beni che dipende dalle norme vigenti, figlie del conflitto politico.

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  5. Beh, dovresti convincere i capitalisti che il pensiero liberale non è il loro riferimento ideologico. Una roba da nulla. :-D

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    1. E' da sempre che ci si riesce, poi si fallisce, ancora ci si riesce e così via. Ovviamente servono metodi, come dire? convincenti.

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