domenica 5 maggio 2019

Romanzetto fantasmagorico (Cap.1 prologo)


IL QUIRINALE

Quando ripenso agli anni della guerra civile, è passato tanto tempo che il ricordo di quegli avvenimenti non mi suscita più angoscia, non posso fare a meno di provare, ogni volta, un senso di meraviglia per il modo in cui il mio paese si condusse alla rovina. C’era stata la vittoria dell'Alleanza, una sorpresa, ed erano iniziate le trattative per il nuovo governo, pur tra polemiche e tatticismi all’interno del gruppo dei vincitori. Ricordo che anche la crisi economica sembrava superata, e in qualche modo il Cavaliere, Vanlisi e Amidio avrebbero trovato la via di un accordo, per cui, benché rattristato per la sconfitta della piccola frazione in cui militavo, non immaginavo certo che, di lì a poco, la mia vita, e quella di milioni di Italiani, sarebbe stata sconvolta da avvenimenti tragici e assolutamente imprevedibili. In realtà, osservandoli in prospettiva, dall’alto di questa prigione dorata dove, quasi certamente, concluderò la mia esistenza, come sembrano confermare le attenzioni di tutti gli organi di informazione, e la quantità di messaggi augurali per il mio novantesimo compleanno, la spaventosa crisi sociale e politica che ci travolse tutti era nell’aria. Mi sono chiesto, sia durante gli avvenimenti di quel decennio, sia dopo, quando la sanguinosa battaglia di Mantova ebbe posto fine alla guerra civile, quale sia stato il fatto, o la circostanza, che determinò la rottura dell’equilibrio. Molti si sono affannati nel cercare spiegazioni economiche, sociali, politiche, ma esse non mi hanno mai convinto. Pochi giorni fa, ricevendo Alfonso Barreca, capo dell’opposizione in Messico, abbiamo ripreso l’argomento, ed egli sostenne che senza l’assassinio di Vanlisi l'Alleanza non sarebbe mai caduta nelle mani di Padovani, con quel che ne seguì. Barreca è un politico, ed è normale che, ai suoi occhi, siano i fatti politici a determinare gli avvenimenti, ma questo non spiega perché un fatto come la morte di un leader politico possa scatenare l’ondata di violenza omicida che insanguinò per molti giorni il paese. In fondo, altri assassini politici non avevano avuto conseguenze così gravi, basti pensare all’attentato a Togliatti, o all’omicidio di Matteotti, o alla morte di Carrero Blanco, se non si vuole restare al caso di politici dell’opposizione. Certo, l’avvento di Padovani alla guida dell'Alleanza fu un fatto determinante, fu sua l’iniziativa di agire fuori della legalità. Non ci accorgemmo subito della sua follia, quell’uomo sembrava, al contrario, molto sicuro di se, dotato di un carattere orientato alla ponderazione e alla mediazione. Forse, fu anche grazie alla considerazione che seppe guadagnarsi che, quando lanciò l’accusa di tradimento nei confronti dei suoi alleati, poté risultare così convincente.
Il giorno che spararono a Vanlisi ero in vacanza. Facevo l’insegnante, precario, per cui nel mese di Settembre non avevo impegni. Avevo preso una camera in affitto a Cagliari, per poter essere vicino a Agathe, la giovane donna che sarebbe stata la causa della mia adesione al partito della Rivoluzione, ma allora non potevo immaginare che una moretta conosciuta in barca fosse anche un membro inconsapevole di un’associazione new-age, i seguaci di Rigel, alla cui ombra si muoveva un gruppo terroristico.  Cosa posso dire, che non abbia già detto, in proposito? Questa circostanza sembra destinata a gettare un dubbio odioso sulla lealtà delle mie scelte, insostituibile strumento per campagne diffamatorie e insinuazioni da parte di quanti, e cominciano ad essere molti, si lanciano in analisi revisionistiche per inconfessati scopi politici. Agathe era una giovane molto graziosa, dalla conversazione affascinante, anche se i suoi argomenti, e soprattutto le sue convinzioni, potevano lasciare perplessi. Che dire dell’idea, che avevano tutti in quel gruppo, che il vero governo della terra fosse nelle mani degli extraterrestri, vere potenze spirituali dell’universo, con funzioni di guida per le razze meno sviluppate? La sola ragione per cui continuai a vederla, pur non condividendo affatto i suoi convincimenti, era che mi piaceva pazzamente, e inoltre era molto giovane. Non corrisponde al vero, lo smentisco nel modo più categorico, e continuerò ad agire nei confronti di quanti affermano il contrario, che anche io facessi parte dell’organizzazione. D’altra parte, condivido la meraviglia di quanti scoprono che il capo della nazione, il Presidente, l’uomo che ha guidato la resistenza nei giorni bui della sconfitta e del tradimento, possa essersi trovato ospite nella stessa villa da cui partì il commando che uccise Vanlisi, ospite del gran maestro della fratellanza universale Rigeliana, Edo Padovani, il quale così commentò la notizia del telegiornale: “La sua anima si è ricongiunta allo spirito cosmico, ora vive nella luce..”
Agathe mi aveva parlato della villa, nella quale lei e gli altri della Rigel avevano intenzione di festeggiare l’equinozio d’autunno, e mi aveva invitato a trascorrere un periodo ospite della setta. Avevo tuttavia rinunciato all’ospitalità, per godere di maggiore libertà, e avevo preso alloggio in una pensione appena fuori Cagliari, anche se, in realtà, finii con il passare lì quasi tutto il mio tempo, anche le notti.
Giunsi a Cagliari il 13 Settembre, subito dopo gli esami di riparazione, a bordo della motonave Salerno, con moto, casco e sacco a pelo, oltre a un minimo di bagaglio. Sono sempre stato un viaggiatore con pochi bagagli, perché riuscivo sempre a procurarmi, in qualche modo, le cose che tralasciavo di portare con me. In quell’occasione potevo contare sull’organizzazione di Agathe, che invece, quando si muoveva, aveva bisogno di un TIR. D’altra parte questa caratteristica, che indubbiamente è sintomo di un atteggiamento un po’ parassitario nei confronti degli altri, mi sarebbe tornata utilissima negli anni della latitanza, quando divenni il ricercato numero uno del regime di Edo Padovani, il Federliberismo, che durò al potere per 8 lunghi anni, riducendo l’Italia al livello di un paese sudamericano, nel quale tutto era permesso, ai federliberisti naturalmente. In particolare ai membri della MILFED, il famigerato corpo istituito da Padovani, sulle ceneri del vecchio servizio d’ordine dell'Alleanza, dopo la resa dei conti con Perniso alla convenzione di Milano. La morte di Perniso, avvenuta due mesi dopo in un finto incidente d’auto, segnò il punto di svolta decisivo della politica dell'Alleanza. Liquidata, sia politicamente che fisicamente, la vecchia guardia, Padovani poté dare inizio al suo regime personale, che sarebbe durato fino al mattino del 13 Giugno 2034.
E’ strano come la mia vicenda personale si sia inserita in questa immane tragedia in seguito ad una serie di avvenimenti casuali, a partire dall’incontro con Agathe sull’aliscafo per Ponza. Se quel giorno non avessi sofferto il mal di mare, molto probabilmente sarei finito anche io, come migliaia di Italiani, in un campo di concentramento, o sarei rimasto ucciso nel corso delle numerose campagne di normalizzazione organizzate da Padovani. Era il 26 Giugno, e avevo deciso di trascorrere una breve vacanza in campeggio, nei pressi di Sperlonga, ospite di amici. Quella mattina avevo preso la moto per andare a prendere il giornale, e senza una ragione apparente, invece di salire su in paese, avevo imboccato la Flacca in direzione di Formia, dove giunsi in tempo per la partenza dell’aliscafo. La vidi per caso, poiché la brusca frenata di un’auto mi indusse a voltarmi. Era una moretta dall’aspetto luminoso. Rimasi talmente colpito che feci una cosa che pochissime altre volte ho fatto nella mia vita, le corsi dietro, con la mente suggestionata dall’emozione che la  vista di quella sconosciuta aveva suscitato nel mio animo. Parcheggiata la moto nel piazzale, mi precipitai sulle sue tracce, in tempo per vederla entrare nella biglietteria del porto, cosa che prontamente feci anch’io. Fu così che mi ritrovai, poco dopo, sull’aliscafo per Ponza, senza alcuna ragione sensata per recarmici, con gli occhi fissi sulla sua seducente persona. Con il cuore impazzito riuscii a sedermi di fronte a lei, senza poterle staccare gli occhi di dosso, al punto che, mi confessò in seguito, le ero sembrato pazzo, e in quel momento lo ero, mentre un senso di vuoto e insensatezza si impadroniva del mio animo. Deve essere stato l’insieme di molti fattori, mi ero appena svegliato, ero digiuno, faceva un po’ freddo e il mare era mosso, avevo gli occhi fissi sulla punta del suo naso come quando si legge un libro in autobus e si fissa la pagina ignari di tutto il resto, fatto è che, d’un tratto, lo stomaco si ribellò, tentando di vomitare il nulla che conteneva, e poi svenni. Seppi così che il paradiso si chiamava Agathe, perché rinvenni con la testa poggiata sulle sue ginocchia, mentre decine di facce sconosciute si tendevano verso di me. Passai il resto della giornata con lei, me ne innamorai, continuai a vederla nei giorni seguenti, tutti i giorni su e giù tra Formia e Ponza, qualche volta rimanendo a dormire clandestinamente su una spiaggetta, ma non riuscii ad ottenere nulla. Non posso dire che divenni la sua marionetta, ma certamente così apparivo agli altri. D’altra parte, non le ero indifferente, visto che veniva a prendermi al porto, passavamo la giornata insieme, ci ascoltavamo con attenzione reciproca, eppure ogni volta che cercavo di baciarla mi sfuggiva con allegria. Non riuscivo a capire il motivo di questo comportamento, anche perché sentivo, con l’istinto, che il suo cuore non mi respingeva, ma c’era qualcosa che si frapponeva tra noi due, qualcosa di reale, come scoprii in seguito, un uomo, con il quale ero destinato a scontrarmi molto presto, Edo Padovani.
Quando giunsi a Cagliari ero ancora innamorato di lei, nonostante fossero passati più di due mesi dall’ultima volta che l’avevo vista, e nonostante una nuova ragazza, la dolce Ingrid, bella e mondana. Ero dunque molto più tranquillo rispetto a due mesi prima, eppure, quando avevo letto il messaggio che mi informava del suo arrivo in Sardegna, senza alcuna esitazione, e approfittando del fatto che Ingrid si trovava a Milano per uno stage, avevo preso la moto ed ero partito. Mi ero aspettato di trovarla sul molo, ma rimasi deluso nelle mie aspettative. Dopo aver atteso per una mezz’ora, mi risolsi a muovermi in direzione della pensione dove avevo prenotato. Scaricai i bagagli, presi accordi con la proprietaria, e uscii per fare un giro di perlustrazione. Ero già stato diverse volte a Cagliari, per il servizio militare, e molti anni dopo, quando mi ero fidanzato con Miranda, una sarda completamente pazza, che avevo creduto di amare finché non avevo conosciuto sua sorella. Con la moto, la fida Gilda compagna di tante avventure, mi diressi verso il Poetto, in cerca di un bar dove sedermi a sorseggiare una birra. Si erano fatte le 11 del mattino, la spiaggia cominciava a riempirsi di bagnanti, ma un vento fastidioso mi dissuase dal tentare un bagno di fine stagione. Mi sedetti invece vicino a un Juke-box, misi su un vecchio brano dei Police, accesi la sigaretta di prammatica e assaporai l’attimo fuggente. Non avevo fretta di telefonare a Agathe, preferivo invece fantasticare su quello che sarebbe successo. Mi sentivo in una posizione di forza, potevo giocare con l’amore avendo a disposizione la via per un’onorevole ritirata. Non sapevo che, in quello stesso istante, un’auto con a bordo Terenzi, il fanatico seguace di Padovani, stava lasciando la villa per l’aereoporto. Sarebbe atterrato a Linate, destinazione finale Pontida, due giorni dopo.
Presi un giornale abbandonato su un tavolo, titolava su 4 colonne “La Costituzione non si tocca!”. Ero disgustato, ogni giorno di più, dallo spettacolo della politica in un paese che andava a rotoli, nel quale il liberismo si stava affermando più come assenza di governo che come progetto politico, e gli eletti dal popolo non si preoccupavano di fare leggi per regolamentare il mercato, guidare l’economia. Il modo, in fondo, mi importava poco; da qualche parte nel cervello covavo l’idea, blasfema per uno come me, che forse un po’ di liberismo sarebbe stato salutare per tutti. Aspettavo di vedere cosa sarebbero riusciti a fare quei tre che avevano vinto. Ero un ingenuo, non sapevo nulla di politica, mi illudevo ancora che l'Alleanza fosse qualcosa di diverso da un’accozzaglia di avventurieri, preoccupati solo di conquistare potere, potere e ancora potere. Oggi si fanno studi sulla figura di Vanlisi, santificato solo perché assassinato da Terenzi durante un comizio a Pontida, ma io credo che anche lui fosse della stessa pasta degli altri. In fondo, cos’altro era se non un ex figurante televisivo abituato a vivere di politica? Il potere gli stava dando alla testa. Quanto a Mangai, questi aveva venduto la sua intelligenza a un desiderio insano di rivincita, secondo una logica tutta interna al suo piccolo mondo di economisti marginalizzati. Eppure, l’ex figurante televisivo e l'economista marginalizzato avevano tolto il coperchio a una pentola, da cui sarebbero usciti personaggi come Padovani, l’ineffabile gran maestro di una setta esoterica che credeva negli extraterrestri.

Nessuno, credo, è mai sfuggito alla fantasia che esistano una o più sette segrete che governano gli affari del mondo, e che la storia che si studia a scuola sia solo la manifestazione apparente di scelte prese altrove. Si tratta di un’idea infantile, ma contiene un fondo di verità. E’ sufficiente, per ristabilire le debite proporzioni, sostituire alla parola governare l’espressione tentare di governare, e subito ci si avvicina molto di più alla realtà. Quanto possa essere grande l’influenza coordinata di un numero esiguo di individui, purché organizzati, e di grande livello mentale, non può essere compreso da una mente moderna, abituata a considerare la storia come la risultante delle scelte caoticamente coordinate di miliardi di individui. Queste sette esistono, anche se la loro potenza non è grande come vogliono far credere, e le loro origini, seppur lontanissime nel tempo, non sono senza soluzione di continuità con il presente. Molte volte, nel corso della storia, di esse non è rimasto che una flebile presenza, talmente labile da non riuscire ad influenzare nemmeno gli avvenimenti degli sperduti villaggi dove i maestri trovavano rifugio. In altre occasioni, invece, la loro potenza si è eretta ad arbitra del mondo, e quelle che sembravano convulsioni disordinate erano, al contrario, avvenimenti fermamente controllati e guidati verso un fine. Tutto questo, ed altro ancora, ho imparato da Edo Padovani, ultimo maestro della setta dei Rigeliani, sacerdote insigne di una delle due sole religioni dell’uomo, quella del potere. L’altra è quella del piacere, la mia....a quei tempi.

Nessun commento:

Posta un commento