sabato 4 maggio 2019
Tra globalismo e internazionalismo la via italiana è tracciata nella Costituzione del 1948
Il modello liberale è fondato sulla concorrenza e sulla libera circolazione dei fattori di produzione: capitali, merci, servizi, persone. L'idea è che la piena libertà economica assicuri il raggiungimento della massima efficienza.
Il modello collettivista è basato sul più ferreo controllo dei fattori di produzione, e dunque in ultima analisi sulla pianificazione.
Il modello liberale conduce al progressivo aumento delle differenze di ricchezza e all'insorgere di grandi gruppi di potere privatistico, che inevitabilmente finiscono col passare dalla competizione solo economica alla guerra; il modello collettivista ha bisogno, per funzionare, di una gerarchia di comando che, dapprima, spegne la volontà creativa degli esseri umani, infine conduce a un soffocante regime di polizia.
Il semplice buon senso suggerisce che il giusto stia nel mezzo. Questo giusto mezzo è stato trovato, guarda un po', da noi italiani nei decenni successivi alla più grave e umiliante sconfitta della nostra storia, e ratificato nella Costituzione del 1948.
Il modello costituzionale italiano va bene per l'Italia, è la nostra via alla convivenza interna e con gli altri popoli, dunque non dobbiamo avere la pretesa di imporlo ad altri, ma dobbiamo anche difenderlo. Il primo nemico è costituito da quelle forze interne alla nazione, numericamente minoritarie, che, per sopperire a ciò, hanno costruito una vasta rete di alleanze con le minoranze di altri Stati, una sorta di santa alleanza liberale. Grazie a questa alleanza, che è prima di tutto di natura ideologica, oltre che dotata di potenti strumenti operativi, queste minoranze sono in grado di controllare le vaste maggioranze in moltissimi Stati, grazie alle istituzioni internazionali all'uopo create il cui fine è la propaganda a sostegno del modello liberale, da esportare in ogni angolo del globo.
Questa santa alleanza ha sconfitto, sul piano ideologico e propagandistico, quella che le si era opposta per 70 anni. Infatti il comunismo non è stato sconfitto sul campo di battaglia, anzi su quel terreno ha quasi sempre vinto, ma su quello dell'ideologia. Ed è giusto che sia accaduto, come è altrettanto giusto e necessario che anche la santa alleanza liberale sia distrutta. L'internazionalismo non è la risposta giusta al globalismo, sono entrambe idee sbagliate.
Il mondo è troppo grande, complesso, diverso, perché si possa concepire un unico modello buono per tutti che, teleologicamente, possa governarlo. Bisogna respingere questa idea, perché è foriera di gravi conseguenze.
Il mondo ha bisogno di diversità, di soluzioni originali, specifiche per ogni popolo. Questa situazione che alle menti ossessionate dalla ricerca del principio unico che governa il mondo - il santo Graal della politica - appare come un invito al caos, è tuttavia l'unica possibile perché il mondo è troppo grande e complesso affinché la mente umana possa governarlo.
Ogni popolo ha il diritto e il dovere di cercare la sua "terza via", come ha fatto quello italiano quando la sua parte migliore ha concepito la nostra Costituzione.
Né dobbiamo temere che, scomponendo le grandi aggregazioni sovranazionali, le loro componenti finiscano con l'essere fagocitate dai grandi imperi che altri possono, nel frattempo, costruire. Le guerre ci sono sempre state, e sempre ci saranno, talvolta vinte dai grandi imperi, tal altra dalle alleanze di piccole entità politiche, dunque non può essere questo il criterio di scelta.
La Costituzione italiana del 1948, concepita dalla parte migliore del nostro popolo, seppe conciliare il principio socialista con quello liberale, dando allo Stato quel che è dello Stato e all'individuo quello che è dell'individuo.
La parola "sovranismo" indica, nella sua accezione veritiera, la necessità che sia ogni popolo, sulla base della sua cultura e delle condizioni reali nelle quali vive, a scegliere il suo modello sociale. Non solo perché questo è eticamente giusto, ma perché i problemi sono tanti e altrettante devono essere le soluzioni.
p.s. coloro che si sono appropriati, indebitamente, del concetto di sovranismo sono oggi, in Italia, i peggiori nemici dell'intelligenza. Non meritano nemmeno lo sforzo di disprezzarli, sono peggiori dei folli globalisti e degli sciocchi internazionalisti.
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“Lettere luterane: il progresso come falso progresso”.
RispondiElimina<>
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Mi è capitato di adocchiare questo libro pasoliniano e non ho potuto fare a meno di riflettere, e pensare che il periodo di cui parla lui è proprio il cosiddetto Trentennio Glorioso/Sovranista: dal 1945 al 1975, anno della sua morte. Come mai un giudizio così ENORMEMENTE negativo? Voglio dire, Pasolini non si limita a scrivere qualcosa come: "Le cose vanno benino, ma si può fare meglio", piuttosto parla di una vera e propria catastrofe antropologica accaduta, secondo lui, nell'Italia sovranista di quel trentennio.
S'impone una riflessione; e a imporla è proprio il fatto che è, la valutazione di Pasolini, COSÌ severa, spietata.
Come si spiega tutto ciò? In pratica i gloriosi trent'anni non sono in realtà mai esistiti?
È il liberalismo che sin da subito, dal '45 o dal '48 che dir si voglia, si è innestato sull'impianto socioeconomico costituzionale e ha piantato i semi dell'individualismo, del consumismo disgregante i legami comunitari, e in generale i semi di tutte le sue perniciose derivazioni? Come si spiega un giudizio TANTO impietoso (non un poco impietoso, ma proprio TANTO impietoso) dell'Italia che va dalla fine del fascismo e della Seconda guerra mondiale fino all'anno della morte di PPP stesso?
È sufficiente parlare di una sorta di profilo psicologico "da depresso nostalgico" di Pasolini? È sufficiente pensare che a lui mancasse talmente tanto l'Italia per così dire campagnola e rurale da non vedere, in presa diretta, quel che di buono realizzava l'Italia sovranista e costituzionale?
Oppure c'è dell'altro?
Intanto mi associo all'osservazione riportata nel commento successivo, di Ippolito Grimaldi: "Trentennio sovranista de che?"
EliminaPoi ti cito un passo della lettera che PPP scrisse in occasione dei disordini di Villa Giulia: «Ho passato la vita a odiare i vecchi borghesi moralisti, e adesso, precocemente devo odiare anche i loro figli... La borghesia si schiera sulle barricate contro sé stessa, i "figli di papà" si rivoltano contro i "papà". La meta degli studenti non è più la Rivoluzione ma la guerra civile. Sono dei borghesi rimasti tali e quali come i loro padri, hanno un senso legalitario della vita, sono profondamente conformisti. Per noi nati con l'idea della Rivoluzione sarebbe dignitoso rimanere attaccati a questo ideale.»
Dunque PPP, dopo aver passato la vita a criticare la borghesia bigotta e ipocrita (non il Socialismo, ché anzi si era iscritto al PCI da cui fu espulso in seguito a uno scandalo omosessuale) prende atto che i figli di questa stessa borghesia sono addirittura peggiori dei padri.
Ciò detto e premesso, continuo a non capire come sia possibile che i frequentatori di questo blog possano confondere il sovranismo con le questioni morali(steggianti) alla penis canis. Un paese può essere sovrano e dedito alla sodomia di massa o al consumismo effimero, oppure condannare questa pratica o questo indirizzo economico con la massima severità: se la decisione, qualunque sia, è del popolo nel pieno possesso della sua sovranità, allora quel paese è sovrano. Se la decisione è imposta da forze esterne al popolo, o anche da una forza nazionale che opprime il popolo privandolo del potere politico, allora quel paese non è sovrano. In genere al popolo, quando può imporre le sue scelte, non importa nulla dei sodomiti, e tra il consumo effimero e la sicurezza patrimoniale sceglie sempre quest'ultima. Invece la burghesia compradora y vendedora, ogni santo giorno, ci strazia le gonadi con i diritti dei sodomiti, e inculca nel popolo la ricerca compulsiva dell'effimero.
PPP prende coscienza di un cambiamento che inizia a manifestarsi alla metà degli anni sessanta, denunciando la falsità di un preteso processo di liberazione che tale non era, cogliendone i sintomi (ma non le cause perché non ebbe tempo di farlo) nell'irrompere della bruttezza intorno a lui. Non la bruttezza delle periferie povere, dove tra l'altro cercava e trovava rifugio nella ricerca di quanto di autentico riusciva a sopravvivere, ma quella dei salotti romani "de sinistra" coi quali inizia una dura polemica, accusandoli appunto di aver voltato le spalle alla vera rivoluzione, che consiste nel liberare gli uomini dal bisogno e non nel riempirli di inutili ed effimeri, quanto esteticamente brutti, beni di consumo. Infatti le "Lettere Luterane" escono nel 1975, poco prima della sua morte e prima che potesse dare il via a una "traduzione", nel senso di un'analisi economico-politica, delle trasformazioni imposte dalla burghesia compradora y vendedora, che la sua acuta sensibilità aveva colto prima e meglio di tutti.
Se vuoi un esempio di bruttezza e di falsa liberazione, dai ogni tanto uno sguardo a quel pessimo fogliaccio online che risponde al titolo di Dagospia. Penso che PPP sarebbe totalmente in sintonia con questo giudizio.
EliminaTrentennio sovranista de che?
RispondiEliminaA me premeva sottolineare una cosa: che, al di là dell'importante questione delle 110 (o quante sono) basi NATO americane sul suolo nazionale, il dramma fu che i semi del virus antropologico neoliberale furono piantati fin da subito nel 1945 e divennero evidenti a partite dal 1968,che poi culminerà in Maastricht quasi 25 anni dopo.
RispondiEliminaIl trentennio costituzionale non riuscì a trovare un modo per proteggere il popolo dalle sirene della società dei consumi illimitati che genera atomizzazione che genera dissoluzione comunitaria che genera facilità crescente di essere dominati, in un gioco in cui tutto si siete e struttura economica e sovrastruttura culturale sono interconnessi, e quindi questo dovrebbe fornire importanti spunti per chi vorrà edificare e blindare il sovranismo del futuro, che non può assolutamente limitarsi, in Italia, alla Costituzione del 1948: essa certamente, dopo essere stata re-istituita, andrà potenziata in senso sovranista, e molto andrà fatto pure in senso sovrastrutturale, non solo in senso giuridico ed economico.
Io non sono d'accordo su questa declinazione della sovranità nazionale. Il punto non è di natura etico-morale, ma politico-economico oltre che militare. In altre parole non sta scritto da nessuna parte che, per essere sovrana, l'Italia debba diventare una specie di Sparta. C'è questa idea, che non condivido affatto, secondo la quale liberismo ed edonismo andrebbero di pari passo, per cui l'assetto costituzionale sarebbe stato travolto da un processo di dissoluzione dei costumi indotto dalle centrali ideologiche del liberismo.
EliminaIn realtà l'attacco alla sovranità italiana ha seguito un percorso molto più concreto e prosaico, fatto di bombe, infiltrazione politica, un colpo di Stato mascherato, attacco ai diritti dei lavoratori, demolizione della struttura statale. Pensare di poter recuperare la sovranità politica e l'indipendenza militare agendo, ad esempio, su temi come il divorzio, l'aborto, la pornografia e altro, è del tutto sbagliato e fuorviante. Non sono state queste le cause della perdita di sovranità, ma solo le conseguenze di un crescente dominio del liberoscambismo che, per sua intima natura, tende alla reificazione di ogni aspetto del reale. Un simile approccio, in effetti, è quello adottato dalla Lega, la quale propala una narrazione farlocca e moralisteggiante ma ben si guarda dal toccare le vere cause dell'affermazione del liberismo.
In altre parole, per fare un esempio, manifestazioni come il gay pride mi disgustano per la loro volgarità, ma quello che io chiedo non è vietarle bensì ripristinare l'art. 18 dello statuto dei lavoratori, il sistema elettorale proporzionale, la ripubblicizzazione dell'acqua, la rinazionalizzazione dell'energia elettrica, delle telecomunicazioni e dei trasporti, il ripristino di un sistema bancario nelle mani dello Stato etc. e ovviamente l'uscita da euro e UE; oltre a una profonda revisione dei termini della nostra adesione alla NATO - oggi - o a qualsiasi altra alleanza politico-militare il giorno in cui dovessimo cambiare la nostra collocazione internazionale.
Prova a immaginare una situazione nella quale tutti i provvedimenti che ho elencato NON vengano presi ma, in compenso, si avvii un processo di rieducazione moralisteggiante tale da placare le paure e i timori di quanti vedono nella degenerazione dei costumi la causa dei mali nazionali. Non so a te, ma a me viene in mente il fascismo.
Fiorenzo, io sono perfettamente d'accordo con te, e lo sono tanto nel generale quanto nel particolare:
RispondiElimina- nel generale, poiché toccare solo la componente sovrastrutturale senza minimamente modificare quella strutturale del liberomercatismo è miope, inutile, stupido, idiota, criminale.
- nel particolare, poiché sulla Lega le cose stanno proprio come dici tu, e citerò a tal proposito una riflessione acuta di Andrea Zhok sui liberali tradizionalisti che a mio avviso spiega esattamente come stanno le cose: "In questo quadro possiamo apprezzare la collocazione storica del liberismo tradizionalista, in tutte le sue declinazioni. Esso da un lato promuove la sistematica mercificazione di valori sociali, relazioni, tempo, risorse umane, e così facendo alimenta la costante erosione dell’identità materiale dell’Occidente. Dall’altro si spaccia come terapia della distruzione identitaria che ha indotto, inneggiando ai simboli dell’identità formale, del tradizionalismo più vuoto e ottuso, nel nome dei ‘valori occidentali’. I rappresentanti del liberismo tradizionalista, tra gli intellettuali come tra i politici, si trovano così nell’invidiabile e virtualmente invincibile posizione di chi si propone, alla luce del sole, come baluardo contro i danni che egli stesso, nell’ombra, provoca. Essi continuamente rivendicano quelle ricette socio-economiche disgreganti che conferiscono plausibilità alle proprie ricette culturali reazionarie". (Fonte: http://mimesis-scenari.it/2015/03/13/lidentita-occidentale-e-i-suoi-nemici/)
Il mio "suggerimento" è quello di considerare struttura economico-giuridica e sovrastruttura culturale come un'unità dialettica, una totalità sistemica in cui i poli si influenzano vicendevolmente con meccanismi di azione e reazione, e ripartire da lì, da questa unità, per svolgere l'analisi.
Inoltre, per specificare, io non penso assolutamente a qualche cosa di assimilabile a una sorta di ultraneobigottismo, per cui condivido il tuo parere (per fare un esempio) sul Gay Pride, in riferimento al quale il problema non è certo l'omosessualità, ma la sconcertante volgarità.
RispondiEliminaL'inquinamento antropologico di praticamente tutta la tivù commerciale "alla Grande Fratello" non è minimamente meno grave.
Come detto sono solo un esempio, se ne potrebbero fare letteralmente decine, e in tutt'altri "campi".