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La pubblicazione del saggio su questo blog avverrà con cadenza approssimativamente settimanale e si concluderà, presumibilmente, entro la fine di ottobre.
Il saggio ripercorre alcune fasi del processo politico ed economico che si è concluso con ratifica del trattato di Maastricht, e può essere inteso come un compendio di argomentazioni per discussioni al bar di Guerre Stellari.
La prima pagina del saggio contiene una suggestiva immagine delle volute di fumo causate dall'assunzione di un campionario di micidiali droghe galattiche da parte dei clienti del bar di Gerre Stellari, dai funghi allucinogeni di Vega IV alla patata afrodisiaca di Aldebaran. Passando ovviamente per tutte le principali droghe terrestri.
Presentazione
Il titolo di questo breve saggio non allude solo alla
capacità dell’euro, inteso come sistema monetario, di resistere ai colpi che ha
subito e continua a subire a causa soprattutto degli errori tecnici e politici
commessi dai suoi architetti. L’euro è molto di più, e credo che la sua
capacità di resistere dipenda anche da un insieme di fattori che vanno molto
aldilà del suo essere “solo” un
sistema monetario.
L’architettura dell’euro, i suoi presupposti politici e
tecnici, si sono sviluppati di pari passo con la costruzione di un universo
simbolico che è stato introiettato da centinaia di milioni di cittadini
europei, attraverso una lenta e sofisticata mutazione culturale di cui essi
sono stati soggetti passivi. Per spiegare a cosa mi stia riferendo farò un
esempio. Qualche tempo fa intervenni in una riunione organizzata da un partito
della sinistra, pronunciando parole appassionate di critica all’euro e al processo
di integrazione europea. Ottenni, con
mia sorpresa, forti consensi da una parte dei convenuti. Tra coloro che, al
termine, mi si avvicinarono, ci fu un anche signore che non la finiva più di
complimentarsi per le parole di verità che avevo pronunciato. Alla fine mi
chiese “ma allora, cosa dobbiamo fare?”.
Al che risposi “per prima cosa uscire
dall’euro, subito”. Lui mi guardò esterrefatto, come se avessi pronunciato
la più grande delle bestemmie, e si allontanò dicendo “ah no, allora no, davvero no!”. Il giorno dopo, rientrando sul
tardi, incontrai un altro di coloro che avevano assistito alla mia piccola
performance, un uomo di grande intelligenza e capace di ascoltare, e di nuovo
mi trovai ad argomentare le mie tesi, questa volta con tutto il tempo e la
calma necessari. Mi diede ragione
praticamente su tutto ma, quando arrivammo al dunque, e cioè che, se
considerava valide le cose che gli avevo detto, allora necessariamente avremmo
dovuto uscire dall’euro, la sua resistenza divenne, per così dire, “infinita”. “Si
inventeranno qualcosa”, mi disse, “non
è possibile che non si inventino qualcosa”.
Non era la prima volta, a dire il vero, che mi imbattevo
in casi simili. Anzi, posso affermare che sono la normalità. La maggior parte
delle persone disposte a riflettere sinceramente ascolta con interesse,
riconosce la coerenza delle spiegazioni, ma conserva un pregiudizio: che l’euro
e l’Unione Europea debbano sì cambiare, anche in profondità, ma che essi
rimangano, comunque, una specie di invariante
della storia. Qualcosa, cioè, che è dato, e da cui non si può recedere. E’
la tesi di Paolo Ferrero (il dentifricio
è fuori del tubetto), per cui qualunque cosa è possibile, ma non tornare
indietro. Questa eventualità sembra quasi spalancare, nella loro mente, un orrido
abisso nel quale non hanno il coraggio di guardare.
Questa sorta di tabù fa sì che il dibattito sulla fine
dell’euro (che pure è già uscito dal novero ristretto degli studiosi di
politica economica, per essere dibattuto da migliaia di appassionati sulle
centinaia di blog che si occupano dell’argomento) fatichi a diventare oggetto
di discussione in quella piazza reale, ben più vasta della rete, che sono gli
incontri occasionali: nei bar, all’edicola, nelle piazze e nelle strade
d’Italia.
Quando ciò accadrà (credo che accadrà all’improvviso, in
seguito a uno degli eventi traumatici che ci aspettano), il livello dei
dibattiti cui ci capiterà di assistere rischia di essere sconfortante a causa
della profonda impreparazione della maggioranza degli italiani. D’altra parte,
credo sia inutile illudersi che un numero sufficientemente ampio di italiani
sarà disposto a leggere, non dico dei testi di economia, ma almeno alcuni dei
migliori saggi che sono stati scritti sull’argomento da ottimi divulgatori. Non
lo dico con un sentimento negativo nei confronti dei miei compatrioti, ma per
la semplice constatazione di un dato di fatto: solo una minoranza degli esseri
umani ama ragionare per via deduttiva; la stragrande maggioranza segue, invece,
percorsi mentali diversi, talvolta perfino più efficaci sul piano
applicativo. Funziona così: si conosce
un concetto diverso, per verificarne la validità e la forza esplicativa lo si
usa applicandolo ad una circostanza che si conosce bene, poi, se l’esame è
superato, si ripete l’operazione con un secondo concetto. Si va avanti così per
un po’, e solo quando un numero sufficiente di iterazioni ha dato esito
favorevole si prende in seria considerazione l’idea di cambiare posizione.
Questo breve saggio si pone l’obiettivo di aiutare le persone a cambiare idea
sull’euro e sul processo di integrazione europea, andando incontro al modo di
ragionare della maggioranza di esse. Non
è un libro per specialisti. Il metodo adottato è quello di ripercorrere
gli eventi più rilevanti dal punto di vista economico e politico degli ultimi
decenni, offrendo una lettura degli stessi alla luce del conflitto di interessi
tra i due principali attori del conflitto distributivo: il capitale e il mondo
del lavoro. Qualcuno chiama tutto ciò “lotta di classe”.
L’Autore
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