giovedì 11 settembre 2014

La resilienza dell'€uro (4)

Dal Mercato Comune Europeo al Mercato Unico


Se voi regalate le arance che producete in eccesso a un vicino povero, questo smetterà di produrle, ma il giorno in cui, per qualsiasi ragione, voi non potrete continuare a farlo, si troverà a non avere più arance. Non solo: avrà anche dimenticato come si coltivano! E’ la logica di qualsiasi programma assistenziale, compreso l’ultimo proposto dal M5S, il cosiddetto “salario di cittadinanza”. E allora? Meglio distruggere le arance, diminuire strutturalmente la produzione e utilizzare le risorse per produrre qualcos’altro, piuttosto che “regalarle”! Insomma, quello che si può regalare, cioè dividere con gli altri, è solo ciò che è scarso, mentre, se si regala ciò che è abbondante, si fa concorrenza sleale. In inglese si dice “dumping.

Squilibri commerciali tra centro (DNLF) e periferia (GIIPS) in eurozona.
Nell’era dell’abbondanza ciò che è scarso, a parte le risorse strategiche, non a caso presidiate da eserciti armati fino ai denti, non sono le merci, ma i compratori. Si chiamano “mercati di sbocco”. Vi sarebbe, in realtà, un’alternativa, o almeno qualcosa che può mitigare la necessità di avere dei mercati di sbocco, che consiste nello sviluppare e nell’organizzare anche un grande mercato interno. In entrambi i casi, compito della “politica” è quello di organizzare e controllare il commercio e la produzione sul piano internazionale e interno. L’opportunità di sviluppare un mercato interno è stato uno degli argomenti forti, e più convincenti, di coloro che concepirono il Mercato Comune Europeo, instaurato dal Trattato di Roma del 1957. Da non confondere con il Mercato Unico nel quale si è successivamente evoluto, a seguito della ratifica del Trattato di Maastricht del 1992. In effetti, nei 35 anni intercorsi tra i due trattati, lo spirito originario del progetto di integrazione europea è stato completamente stravolto, come vedremo tra breve.

Prima di proseguire, è necessario rimuovere un’ambiguità terminologica. Ho usato la parola “politica” in senso vago, ma dobbiamo domandarci cosa significhi, veramente, questa parola. Un europeo di media cultura dell’800 avrebbe sicuramente risposto con maggior perspicacia del suo omologo dei nostri giorni, perché allora si sapeva benissimo che il significato della parola (l’arte di governare la città) si riferiva al difficile compito di conciliare i conflitti interni alla polis, al fine di massimizzarne la sicurezza e, talvolta, la forza di espansione. L’europeo dell’800, insomma, era perfettamente cosciente del fatto che ogni collettività è attraversata da conflitti che è necessario tenere sotto controllo, pena la sua dissoluzione o il suo asservimento. Nelle teste della maggior parte delle persone di media cultura dei nostri tempi, e purtroppo anche in quelle di molti tra i più “acculturati”, è stata inoculata l’idea che la politica sia una tecnica. Questa, però, intesa non come capacità di risolvere i conflitti sociali, che sono sempre conflitti di classe, ma come abilità di assicurare la manutenzione di un sistema sociale nel quale tali conflitti sono relegati al rango di elementi di disturbo che lo rendono inefficiente. Alla base di questa visione vi è la convinzione che siano le forze del mercato le vere protagoniste della Storia, mentre il ruolo delle passioni umane, e quindi della politica, è stato fortemente sminuito. Da qui, all’idea che sia meglio affidare a dei tecnici il compito di esercitare la politica, il passo è breve, avendone prova ogni giorno. E infatti, l’amico che rifiutava la possibilità di abbandonare l’euro si affidava proprio alla speranza che “qualcosa si inventeranno”. Vale a dire: è inutile parlare di queste cose, lasciamo che a occuparsene siano “loro”, che “sanno cosa fare”. Le cose non stanno affatto così, perché la pretesa caratteristica dei mercati di essere un “sistema” capace di autoregolamentarsi, come pure la loro neutralità, semplicemente non sussiste!  Il compito di “fare politica” è, oggi come sempre, il diritto/dovere di ogni cittadino di saper discernere i propri interessi per difenderli con accortezza. Vale a dire: senza esagerare, e senza mai cedere sulle questioni veramente importanti.

Torniamo al problema dei mercati di sbocco e del mercato interno. In entrambi i casi non siamo davanti a situazioni che vanno per conto loro, ma a sistemi di scambio profondamente e minuziosamente normati. Che si tratti di accordi commerciali, nel caso degli scambi internazionali, o di legislazioni sul lavoro, nel caso dei mercati interni, questi trattati e queste norme regolano, interagendo tra di loro, gli interessi contrastanti e spesso irriducibili degli agenti economici.

Il processo di integrazione europea è stato scandito da una lunga serie di interventi normativi, che vanno dal Trattato di Roma del 1957, che istituì Il Mercato Comune Europeo (MEC), al Trattato di Lisbona del 2009, che ha preso il posto della mancata Costituzione Europea respinta in numerosi referendum popolari. In mezzo ci sono stati l’Atto Unico Europeo (1986), il Trattato di Maastricht (1992), il trattato di Amsterdam (1997), il trattato di Nizza (2001). Sono tutti passaggi che hanno profondamente modificato l’impostazione originaria del Mercato Comune Europeo, al punto che oggi, per far riferimento alla nuova situazione, si usa l’espressione Mercato Unico.

Quando c’era ancora il Mercato Comune Europeo le persone,  i servizi, le merci e i capitali potevano sì circolare all’interno dei paesi aderenti, ma tutto ciò era mitigato dalla presenza di barriere e vincoli di tipo non tariffario, conseguenza della persistenza, nei diversi Stati membri, di norme tecniche diverse, normative differenziate che riguardavano i trasporti e le regolamentazioni dei mercati di capitali, diversità delle procedure per gli appalti pubblici e, in generale, ostacoli di carattere amministrativo e doganale. Il risultato era una segmentazione della domanda di beni e servizi, che continuava ad essere gestita dagli stati su base nazionale. La decisione di abolire questi vincoli sostanziali fu presa senza il necessario coinvolgimento degli interessi economici diffusi, ad esclusivo interesse del grande capitale. Ne è una prova il fatto che, mentre si procedeva rapidamente verso la completa liberalizzazione, nulla fu fatto per armonizzare i sistemi sanitari, educativi, previdenziali, le legislazioni sul lavoro; Nessuno pose il problema dell’enorme differenza tra i livelli salariali dei diversi paesi, né delle conseguenze che ciò avrebbe avuto in presenza di un’effettiva libertà di movimento delle merci, dei servizi, delle persone e dei capitali. Un dato che fa riflettere consiste nel fatto che la completa liberalizzazione dei movimenti di capitale fu consentita non solo all’interno dell’Europa, ma perfino tra l’Europa e l’estero!

Inoltre, con l’Atto Unico Europeo fu introdotta un’ulteriore novità, che avrebbe profondamente segnato i successivi sviluppi del processo:  il ridimensionamento del ruolo del settore pubblico nella gestione di imprese e servizi. Nel giro di sei anni la natura giuridica del vecchio Mercato Unico Europeo fu totalmente stravolta in senso liberista, giungendo alla realizzazione di quello che oggi viene chiamato Mercato Unico. Tutto ciò veniva presentato come necessario per la creazione di un grande mercato interno, capace di rivaleggiare, per dimensioni, con quello degli Stati Uniti. Si giunse a preconizzare un aumento vertiginoso del commercio intraeuropeo, addirittura la sua triplicazione, ma nella realtà dei fatti ciò non è avvenuto perché il commercio intraeuropeo ha continuato a crescere con una velocità simile a quella del commercio internazionale, con la sola ma determinante differenza di un fortissimo aumento degli squilibri. Sono stati questi, e non i problemi legati al debito pubblico, la molla che ha scatenato la crisi.

L’atto finale nella transizione dal Mercato Comune Europeo (MEC) al Mercato Unico fu il Trattato di Maastricht, ratificato il 7 febbraio 1992, dieci giorni prima che esplodesse tangentopoli, e pochi mesi prima della crisi valutaria dell’ottobre 1992, quando Amato mise le mani nei conti correnti degli italiani con il famoso prelievo del 6 per mille.

2 commenti:

  1. "Nel giro di sei anni la natura giuridica del vecchio Mercato Unico Europeo fu totalmente stravolta in senso liberista, giungendo alla realizzazione di quello che oggi viene chiamato Mercato Unico."

    "Nel giro di sei anni la natura giuridica del vecchio Mercato COMUNE Europeo fu totalmente stravolta in senso liberista, giungendo alla realizzazione di quello che oggi viene chiamato Mercato Unico."

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  2. Grazie. E' il secondo errore (refuso). Il primo lo avevo già trovato io. Farò una seconda edizione.

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