Le “lievi anomalie” dello SME
L’introduzione dello SME diede luogo a lunghe
discussioni sul modello da utilizzare per la sua realizzazione, il cui riflesso
è rintracciabile nella stessa denominazione adottata, qualche anno più tardi
nel trattato di Maastricht, per indicare la nuova realtà politica in
costruzione. Il punto d’incontro tra la posizione federalista di Helmut Kohl, e
quella francese che, orientata verso un assetto più centralistico, proponeva
l’adozione del termine “Stati Uniti d’Europa”, fu infine la scelta della denominazione “Unione Europea”.
Il problema era costituito dalla definizione dei
meccanismi attraverso i quali “agganciare”
i cambi reciproci delle diverse monete nazionali. La soluzione verteva
sull’introduzione di una moneta, chiamata ECU, il cui valore fosse una media
pesata in proporzione alle dimensioni delle economie dei paesi partecipanti. I
francesi avrebbero voluto che questa moneta fosse reale, seppure non
circolante, e che tale media fosse determinata variando, nel tempo, il peso
delle monete partecipanti in base a quello delle economie sottostanti. Ad
esempio, se l’economia dell’Italia fosse diminuita rispetto agli altri paesi,
il peso della lira avrebbe dovuto diminuire proporzionalmente. I tedeschi erano invece favorevoli ad un
meccanismo in base al quale, una volta determinato il valore dell’ECU sulla
base di un paniere pesato sulle dimensioni di ogni economia, le parità rispetto
all’ECU sarebbero servite solo a determinare una griglia di parità bilaterali,
in base alle quali determinare margini di intervento (bilaterali) coordinati
dalle Banche Centrali dei paesi partecipanti, presi due a due. La soluzione che
venne alfine adottata fu un compromesso tra le due visioni, che avrebbe
favorito, negli anni successivi, il persistere
dell’ambiguità rispetto agli esiti finali del processo di integrazione: la
Germania avrebbe continuato a guardare all’ECU (e successivamente all’euro)
come ad una moneta al cui valore ogni economia avrebbe dovuto “adattarsi”, inizialmente attraverso
svalutazioni/rivalutazioni esterne concordate, cioè attraverso variazioni dei
rapporti di cambio bilaterali; successivamente, una volta introdotto l’euro,
attraverso le svalutazioni interne (cioè compressioni del costo del lavoro).
La soluzione adottata stabilì che l’ECU fosse una moneta
puramente scritturale, nella quale cioè non si potessero detenere riserve,
definita sulla base di un paniere al quale concorrevano le monete nazionali in
proporzione al peso delle economie sottostanti, e con soglie di intervento
bilaterale determinate in funzione del peso di ogni economia. Alla prova dei
fatti, tutti gli stati partecipanti adottarono soglie di oscillazioni rispetto
alla parità centrale del ±2,25%, ad eccezione dell’Italia, alla quale fu
accordata una soglia di oscillazione più ampia del ±6%.
Mitterrand e Kohl a Verdun nel 1984 |
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