mercoledì 10 aprile 2019

Il tramonto di Roma antica

Umberto Galimberti
Era da tempo che volevo scrivere un post sulla storia di Roma antica, che è tra l'altro un argomento che mi ha sempre appassionato ragion per cui lo conosco un po' meglio di come ci si aspetterebbe da un ingegnere. L'occasione me la dà un commento di davide60 a un video (contenente un estratto di una conferenza del 2016 di Umberto Galimberti) che ho pubblicato nel post "Nihil sub sole novi":

Scrive davide60: «Che dire... una civiltà che elegge ad intellettuali pensatori che manifestano una capacità di analisi degna delle prolusioni da bar si può senz'altro definire decadente.»

Gli ho risposto che io, invece, sono completamente d'accordo con Galimberti.

Per come la vedo, quella di Roma antica è la storia di una guerra civile, durata un millennio, stemperata e risolta in una continua tensione espansionistica grazie a quei costumi e a quelle virtù romane la cui decadenza fu la premessa di quella politica ed economica. Galimberti riconosce che, diversamente da oggi, quando insegnava nei licei riteneva che le cause della decadenza di Roma fossero da ricercare nel suo declino economico. Il mio percorso interpretativo è stato simile al suo, perché anch'io sono passato da una lettura economica della crisi di Roma antica ad una più politica e, soprattutto, culturale.

Che l'economia non possa essere la sola causa, o addirittura l'unica, dell'ascesa e del declino di una potenza può essere dimostrato adducendo un gran numero di esempi. Prendiamo il caso della seconda guerra Macedone, risolta dalla battaglia di Cinocefale nel 197 a.c. nella quale l'esercito romano, guidato da Tito Quinzio Flaminio, sbaragliò quello di pari consistenza di Filippo V Re di Macedonia: qualche centinaio di morti tra i romani, oltre diecimila tra i macedoni.  Qualcuno può sostenere che vi siano state ragioni di natura economica alla base dell'annichilimento della falange macedone? Ovviamente no, in quel caso si trattò semplicemente di tecnica militare e di superiore abilità del console romano. Ecco dunque che tentare di spiegare ogni cosa con l'economia conduce spesso a prendere grossi abbagli.

Nel caso di Roma antica vi è una correlazione praticamente perfetta tra l'espansione nella fase repubblicana e l'instaurarsi nella città di una prassi istituzionale repubblicana, processo che fu reso possibile, e non sfociò invece in una guerra civile distruttiva, proprio dal sistema di valori sacri su cui si fondava la città. Grazie alle istituzioni repubblicane, che emersero dopo un lungo periodo di guerra civile nel corso del V secolo a.c., il conflitto sociale interno fu regolato cosicché la città poté proiettare la sua forza verso l'esterno. L'equilibrio durò a lungo, ma divenne man mano precario per l'afflusso di un gran numero di schiavi in seguito alle vittorie militari, per essere definitivamente rotto dalla conquista della Gallia ad opera di Giulio Cesare. Giova ricordare che, in seguito a quell'episodio, giunsero a Roma un milione di schiavi (più o meno quanti erano gli abitanti della città) la cui presenza ebbe come conseguenza uno straordinario arricchimento dei ceti più ricchi e l'allontanamento di questi dagli stili di vita repubblicani. Li vogliamo chiamare IDE, cioè Investimenti Diretti Esteri? Oppure squilibrio import/export? Fate pure, ma il fatto è che l'unità, conflittuale ma dialettica, della società romana fu incrinata da un solco che iniziò a dividere nettamente la città in due: il mondo dei patrizi e quello di tutti gli altri.

Le istituzioni cambiarono, riflettendo la mutazione avvenuta, e tuttavia per ben due secoli il sistema resse. Non perché non vi fossero i barbari alle porte, anzi! Quello che continuò a tenere unito il mondo romano nei primi due secoli dell'impero, sebbene con forza costantemente decrescente, fu l'inerzia del sistema di valori sacri dell'età repubblicana, così profondamente radicato sia tra i patrizi che tra il popolo da costituire un freno agli eccessi dei primi e alle spinte di secessione del secondo. Un fenomeno assolutamente peculiare di questo periodo fu l'evergetismo:

Da wikipedia: «In epoca romana, la pratica dell'evergetismo era particolarmente diffusa: il privato donava alla collettività, al popolo romano, i propri beni, ristrutturava strade, edifici pubblici, ecc.
Sarebbe troppo semplice ridurre, come fanno in molti, il fenomeno a una mera tecnica di creazione del consenso, anche perché la collettività beneficiava effettivamente dei doni.
In realtà, se da una parte la finalità di promuovere l'immagine personale non può essere esclusa dalle ragioni che spingevano gli evergeti a tali atti liberali, non si può sottovalutare il legame che, nell'antica Roma, particolarmente in epoca repubblicana, il singolo sviluppava con l'Urbe, in quanto oggetto etico e sociale (Heimat), fondamentale riferimento degli scopi esistenziali di ognuno.»

L'equilibrio era tuttavia instabile perché il solco tra i ceti privilegiati e il popolo si approfondiva sempre di più finché, alla fine del II secolo, si ruppe precipitando l'impero in un periodo di guerra civile che durò oltre un secolo, al termine del quale fu eletto imperatore un barbaro: quel Diocleziano citato da Galimberti. Ed è qui che nasce il mistero del crollo dell'impero romano, perché dobbiamo considerare che all'epoca di Diocleziano esso era invincibile. Come è possibile, si domandano da secoli gli storici, che una così immensa costruzione, che poteva mobilitare risorse impareggiabili per qualsiasi avversario, sia letteralmente collassata nel breve volgere di mezzo secolo? La risposta è semplice, a mio parere: non esisteva più il collante, necessario e indispensabile, di un sistema di valori sacro e condiviso, che potesse limitare la guerra civile interna. Da Diocleziano in poi, dopo una breve pausa, assistiamo alla ripresa della guerra civile che aveva insanguinato e debilitato l'impero per tutto il III secolo, con un crescendo impressionante. Eppure le risorse dell'impero morente erano tali che, ancora alla metà del V secolo, esso disponeva pur tuttavia della forza militare maggiore in occidente, superiore a quella di qualsiasi regno barbaro, ma le lotte tra fazioni e gli intrighi di palazzo ebbero la meglio.

In quel vuoto di potere sacro, in quell'assenza causata dalla scomparsa dei valori e dei costumi dell'età repubblicana, irruppero nuove credenze, il culto di mitra  e il cristianesimo le maggiori. Il primo diffuso tra i ranghi superiori dell'esercito, il secondo tra i ceti civili. E anche questa circostanza contribuì a rompere l'unità sacra del popolo romano nel suo insieme, perché le due religioni non erano conciliabili, come invece era accaduto per secoli in età pagana quando i romani conquistatori accoglievano nel loro Pantheon gli dei dei popoli vinti e/o assimilati.

L'esistenza di un sistema di valori sacro, se preferite con linguaggio più moderno un sistema di totem e tabù, è una necessità imperativa e imprescindibile per limitare gli eccessi distruttivi dei conflitti interni di una civiltà. E' anche vero che, come seppero fare i romani in epoca repubblicana, il sistema di totem e tabù posto a fondamento della convivenza sociale non può essere rigido, e deve aprirsi - per così dire - all'arrivo di nuovi dei, ma quando l'impeto alla distruzione dei valori tradizionali assume un carattere di crescente isteria, arrivando alla proposizione continua e senza soluzione di continuità di nuovi valori in aperto conflitto con quelli della tradizione, allora dobbiamo farci qualche domanda. Le spiegazioni possibili sono solo due: o è in atto un'invasione dall'esterno, oppure un sovvertimento interno ad opera di una o più componenti del corpo sociale.

Il sistema di totem e tabù sul quale è costruito l'impero occidentale è quello cristiano, ed è sotto gli occhi di tutti come esso sia oggetto di un attacco continuo e feroce. Al punto che anche un laico qual io sono e fui non può evitare di riflettere su quanto sta accadendo. Quali forze si muovono dietro l'azione distruttiva dei valori cristiani? E' indispensabile essere credenti per scegliere di difenderli? Il nuovo sistema di totem e tabù che ci viene continuamente proposto, è accettabile? A quali interessi, interni o esterni, è esso funzionale?

Quello che io so, e anche voi cari lettori, è che ci parlano continuamente di diritti LGTB, ci propongono come positivi esempi che provocano nella maggioranza delle persone sentimenti di ripulsa (ad esempio la donna di 61 anni che ha partorito una bambina per il figlio gay con la fecondazione artificiale) impongono campagne di vaccinazioni obbligatorie senza ragioni credibili, promuovono l'eutanasia e molte altre pratiche sconcertanti in aperto conflitto con il sistema di valori tradizionale, e nel mentre fanno ciò alcune classi sociali si arricchiscono sempre più conquistando sempre più potere, mentre le restanti vengono impoverite e precarizzate, a dispetto di una mai vista abbondanza potenziale di beni che la tecnologia ci offre.

Dove sono le cause economiche di quanto sta accadendo? Come spesso accade, non è la povertà che fa crollare una civiltà, ma l'abbondanza, che però viene sequestrata da una minoranza che lascia la maggioranza nell'indigenza. Ma se quella che stiamo vivendo è una crisi di abbondanza, se preferite di sovrapproduzione, allora il legame con le conseguenze non può essere di natura meccanica, come marxianamente si potrebbe pensare, bensì intenzionale. Consentire che questo processo si sviluppi non potrà avere altro esito che la rottura dell'unità dell'occidente nel suo insieme, cui seguirà una fase di guerra civile tra i ceti dominanti e la fine del predominio. Temo che la fase dell'evergetismo dei ceti dominanti dell'impero occidentale sia finita (mi piace indicare come data simbolica il 1971 con la decisione di Nixon di decretare la fine del sistema di Bretton Woods) e ora siamo nel pieno di una guerra civile analoga a quella che imperversò nell'impero romano per tutto il III secolo. Poi arriveranno i barbari: un qualche esercito straccione che sbaraglierà le armate di droni dell'occidente, come i goti nel 378 d.c. ad Adrianopoli.


2 commenti:

  1. Per un dibattito onesto sull'argomento chiamato "Paragone fra decadenza del mondo romano antico e decadenza del moderno occidentale moderno" bisognerebbe mettere sul tavolo le analogie, che ci sono, e però anche le tantissime differenze, che parimenti ci sono.
    Il mondo, da qualsiasi dei molteplici punti di vista possibili lo si guardi (numero di esseri umani, modo di produzione, tecnologie attuali e prevedibili da qui a 30-50 anni, sistemi sociali e politici, portato storico dei millenni che stanno in mezzo fra il periodo romano e quello attuale, ecc.), è cambiato così tanto che le differenze in termini di quantità diventano verosimilmente differenze in termini di grado e qualità.
    Mi viene in mente Costanzo Preve, che parlava di "incantesimo dell'analogia" in cui sarebbe caduto Marx, quando questi profetizzò la fine del capitalismo a causa della incapacità in cui a suo parere sarebbe incorsa la borghesia di sviluppare le forze produttive, COSÌ COME si rivelò incapace in passato la classe dominante precedente, la signoria feudale.
    Insomma, come detto, per un'analisi che tenga conto della complessità dell'argomento, si devono guardare tanto le analogie (interessanti e degne di nota) quanto le differenze.

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  2. Caro Fiorenzo stavo per commentare anche io a davide60 nel tuo precedente post
    "Nihil sub sole novi" quando è apparso il tuo recentissimo "IL tramonto di Roma antica",tema che ha sempre appassionato anche me quindi colgo loccasione di rispondere a te e a davide60.
    Esaminandi la decadenza di Roma,ma anche quella di altri imperi del passato si giunge alla inevitabile conclusione che la decadenza avviene in prevalenza quando viene a mancare il SENSO CIVICO dei cittadini.Questi cittadini vengono inseriti in strutture sociali enormi dove l'individuo perde il senso della sua individualità e senso di appartenenza dove vi sono norme o come dici tu dei tabù
    che regolano la vita individuale.Nella Roma Repubblicana si poteva ancora ascoltare i Gracchi e tentare una giustizia sociale. Ma nella Roma Imperiale nelle sue propaggini più lontane chi vuoi che ti stia ad ascoltare?
    IL senso civico è parte di ogni individuo che abbia vissuto in un ambiente familiare caratterizzato da fiducia e collaborazione, una famiglia in cui non sia mancata la sensazione che ogni bisogno può essere esaudito grazie alla condivisione, alla disponibilità e all’aiuto reciproco. Una famiglia nella quale non sia mancato il rispetto per ogni cosa.Quando crollano (o fanno crollare) i valori che tengono su le famiglie e quindi la polis inizia il cancro sociale.
    Per quanto concerne la religione cattolica come causa della decadenza già Machiavelli aveva dato il suo giudizio sfavorevole alla chiesa.Giudizio ripreso e approfondito da Gibbon nel suo celebre libro : Declino e caduta dell'impero romano.Personalmente quando Don Camillo portava la tonaca ,mi piaceva parteggiare per Peppone. Oggi che i sacerdoti vestono come anonimi individui faccio fatica ad individuare e a parteggiare per Peppone.
    Con questo mi rendo conto che anche io non sono un "civis " modello.
    Buona Vita

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