venerdì 20 settembre 2019

Lo strano caso di Matteo Salvini e di Marine Le Pen - di Accattone il Censore

Ricevo, e volentieri pubblico, il contributo di un lettore che preferisce rimanere anonimo.

Marine Le Pen e Matteo Salvini, in occasione di una cena di
autofinanziamento (400 euro a testa)
Nel titolo, ho voluto parafrasare "Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde", perché quel romanzo è uno straordinario squarcio sui due volti della verità: la rappresentazione rassicurante ed il lato oscuro ed indicibile.
Il mio è un modesto contributo, ma può darsi che getti una nuova luce, e senz'altro cercherà di offrire un punto di vista differente sul giallo di questa strana estate: il misterioso ritiro di Salvini dalla compagine governativa.
Un ritiro le cui spiegazioni ufficiali, raffazzonate dallo staff di comunicazione della Lega, e ancor più maldestramente propalate dalla macchina di propaganda innescata sui social network, non hanno convinto nessuno, tanto urtano contro il semplice buonsenso.
Perché mai, infatti, un partito al governo e che, proprio in tale posizione, ha appena raddoppiato i suffragi raggiungendo il suo massimo storico, dovrebbe ritirarsi? Questo enigma ferragostano, se mai troverà la sua soluzione (e sempre rigorosamente ufficiosa), lo farà a distanza di molti anni, quando probabilmente non interesserà più nessuno. È il destino dei misteri italiani: non si risolvono, ma si dimenticano.
Tuttavia, in questo inizio di autunno -prima che insieme alle foglie ingialliscano i ricordi- siamo ancora in tempo per parlarne, perché le implicazioni del caso non sono banali. Se la spiegazione fornita dalla Lega fosse vera -la doppiezza di un alleato di governo che impedisce di portare avanti le politiche fissate nel "contratto"- per un partito al massimo del consenso e un Salvini col carisma di trascinare le folle, la soluzione sarebbe stata lapalissiana: rivelare coram populi il tradimento e mobilitare la piazza in proprio sostegno. Rimanendo – ovviamente - al governo ed esercitando una
formidabile arma di pressione.

Ma ciò non è avvenuto. Non vi suona strano?

C'è una pista, a un primo sguardo invisibile, non considerata da nessuno e che s'intreccia con questa sciarada politica al mojito: si tratta dei parallelismi e delle somiglianze tra la parabola della Lega salviniana e il Front National di Marine Le Pen. Anche il partito dell'ex paracadutista Jean Marie, una volta consegnato nelle mani della figlia Marine, è stato protagonista di un apparente mutamento di pelle cui ha corrisposto una irresistibile crescita di consenso. I pilastri della propaganda del Front, nel suo posizionamento teso a sfondare a destra come a sinistra, sono stati la contrarietà alla moneta unica e la ventilata uscita dall'Unione Europea. Però, al momento cruciale, nel dibattito televisivo che valeva le elezioni presidenziali contro l'uomo del sistema Macron, la lanciatissima Marine, in vantaggio nei sondaggi, e solitamente armata di una affilata e ficcante oratoria, è sembrata, in modo
del tutto inopinato, all'improvviso titubante come una scolaretta all'esame di terza media, incapace di ripetere persino le tabelline. Soprattutto, colpiva lo spettatore, basito, il fondamentale passaggio in cui l'ossigenata Giovanna D'Arco in sedicesimo non era più sicura che bisognasse lasciare l'euro, e, rinfoderata la spada, aveva cominciato a balbettare di moneta comune ed altre castronerie varie, dando al pubblico l'impressione di una imponderabile insicurezza proprio nelle questioni economiche, che erano state il suo cavallo di battaglia fino a una settimana prima.

Un suicidio apparente, il primo di questo giallo. Ma l'episodio era troppo notevole per non essere sospetto.

E, infatti, non solo la poltrona presidenziale è stata appannaggio di Macron, bensì, da quel momento, il Front non ha più parlato né di uscita dall'UE, né dall'euro, ha allontanato Florian Philippot -propugnatore di politiche keynesiane- e si è schiacciato sulle rivendicazioni identitarie, cambiando nome in Rassemblement National.

Torniamo in Italia. Conosciamo tutti la cavalcata della Lega, che, con l'affermarsi di Salvini, è stata allo stesso modo oggetto di un nuovo posizionamento, su base nazionale, e ha condotto l'assalto ai consensi proprio con il fortunato tour "BastaEuro", cui facevano da contorno alcuni slogan euroscettici piuttosto vaghi ma evidentemente efficaci per l'elettorato potenziale. Tuttavia, una volta insediatosi lo strombazzato "governo del cambiamento", come d'incanto il mantra dell'abbandono della moneta unica e della famigerata UE è stato cancellato dal dizionario e tabuizzato come impronunciabile. La giustificazione ufficiale, sbrigativamente offerta dai "sacerdoti", recitava che il tema era stato espunto dall'agenda politica perché assente dal contratto di governo; gli adepti hanno
subito creduto ad una "strategia", partorita da menti particolarmente raffinate, e i pochi che hanno affacciato qualche dubbio sui sedicenti strateghi sono stati additati come ingenui ed esposti al pubblico ludibrio.

Già. E come mai, oggi, concluso il sodalizio giallo-verde, e decaduto il "contratto", la questione non è più riproposta? La verità è che l'appartenenza all'Unione Europea e all'eurozona non sono mai state in discussione, se non nel delirio estatico dei tifosi urlanti -indotto da smaliziati pifferai-figlio dell'inconscio e disperato anelito di trasformare indizi contraddittori in confortante viatico di paradisi a venire.

E anche a proposito di Salvini qualcuno ha parlato di suicidio politico. Il secondo del nostro giallo.
Ma, in realtà, non c'è alcun suicidio. Il fatto essenziale, nascosto dalla schiuma degli avvenimenti, la conclusione su cui voglio far appuntare la vostra attenzione è che l'uscita dall'euro e dall'Unione Europea non si menzionano più: sono state cancellate dal dibattito e proprio dalla forza politica che avrebbe dovuto promuoverle e realizzarle una volta al governo.

Ed è questo il delitto perfetto, all'interno di un giallo in cui tutte le forze politiche sono complici e nessuno vuole passare per colpevole. Purtroppo, inneggiando a falsi eroi di battaglie inventate, stordito e obnubilato dagli slogan urlati da pastori e capobranco, il popolo continua ad essere prigioniero di alternative fittizie e di un teatro delle ombre cui seguita indefessamente a credere; mentre l'unica strada segnata colà dove di puote è quella dell'euromacello.

4 commenti:

  1. Le Pen e Salvini hanno avuto grande eco mediatica: sono cioè stati pompati e spinti dalle televisioni.
    Tu, Fiorenzo, scrivevi (mi pare in un commento su YouTube) che una forza realmente antisistema, che nella nostra epoca e nel nostro Paese significa favorevole senza se e senza ma, senza ambiguità di sorta, al recesso dall'Unione Europa, non può avere esponenti, i quali vadano in tivù, fatta eccezione per i normali confronti obbligatori per legge durante le campagne elettorali.
    Il dubbio iperbolico è allora il seguente: è sufficiente la militanza (termine peraltro da elaborare) con contestuale assenza COMPLETA dal circo mediatico per arrivare, oggi, a percentuali da ingresso in Parlamento?

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  2. Quindi la domanda che rivolgo a Fiorenzo (e a chi voglia rispondere) può essere la seguente: se un domani un partito che abbia Italexit e Costituzione del 1948 come, letteralmente, fondamenti del proprio agire, che sia il FSI o un altro, ricevesse richieste di partecipazione a salotti televisivi et similia, i suoi esponenti farebbero bene a rifiutare? Si può costruire il consenso necessario (si può cioè arrivare a farsi votare da un numero X di persone dove X è il numero che ti permette di arrivare ALMENO all'entrata in Parlamento) usando solo il connubio tra mondo reale e internet, senza passare da giornali e televisioni del cosiddetto mainstream?
    (Peraltro faccio notare che brevi passaggi sui giornali e sulle tivù locali sono già stati riservati a membri del FSI)

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    1. Si può andare in televisione ma a condizioni di dignità, cioè interviste dedicate, con tempi di risposta garantiti, e soprattutto non si dovrebbe mandare sempre la stessa persona così da far capire in modo chiaro che non si tratta di un partito costruito intorno a un leader ma, al contrario, di un partito che ha un suo gruppo dirigente.

      In ogni caso mai e poi mai nei pollai, cioè gli abominevoli talk-show che imbandiscono.

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  3. Ottima risposta, con cui sento di concordare in toto. A tal proposito, si possono ritenere i giornalisti che dirigono i "pollai talk show" esseri umani fra i più miserabili mai comparsi sulla Terra.

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