giovedì 21 marzo 2019

Invertendo l'ordine delle priorità il risultato cambia!

Vi porto tre esempi del fatto che invertendo l'ordine delle priorità il risultato cambia. I primi due sono auto evidenti, per cui non meritano una discussione.

I esempio: si pone al primo posto, tra i compiti di una BC, quello di perseguire la stabilità, e solo in secondo ordine la piena occupazione.

II esempio: si pongono al primo posto i diritti civili invece che quelli sociali.

Il III esempio è abbastanza nuovo e sarà discusso.

Dovete sapere che in un articolo recente (Il sapore della verità) ho inserito un passaggio un po' forte (lo riconosco) scrivendo di compagni di strada che "si stanno avventurando per sentieri che non porteranno a nulla, se non in qualche caso a un ristoro personale, comunque sempre a caro prezzo sul piano morale". Qualcuno si è risentito, e spero che qualcun altro non stia pensando di chiamare l'avvocato per replicare a un giudizio che è solo ed esclusivamente politico. Rinnovo la mia stima personale verso tutti, anche quelli che la pensano diversamente da me, ma ricordo che in politica la parola "ristoro" non significa necessariamente "poltrona" bensì, in generale, ritrarsi da una lotta senza speranza per raggiungere obiettivi ormai ritenuti impossibili, e dunque trarre "ristoro" dal fatto di raggiungerne di minori, in grado di assicurare almeno una parte della soddisfazione che l'agire politico riserva quando si vince qualche battaglia. Chi pensasse che io volessi dire altro dimostrerebbe, con ciò solo, di essere un malpensante: honni soit qui mal y pense!

Prenderò spunto, invece che dai documenti di Patria&Costituzione, da un articolo di Mimmo Porcaro: Se cominciamo a fare sul serio (Mar 20, 2019).

Nel suo pezzo Porcaro sostiene (grassetto aggiunto) "il limite maggiore del sovranismo storico (un termine con cui non indico questa o quella organizzazione, ma una cultura, uno stile di pensiero ed un insieme di riflessi mentali che sono anche in me) sta nel presentarsi di fatto come il partito del “No Ue – No euro”, esaltando più il mezzo che il fine e presentando all’esterno il lato più complicato e problematico della propria proposta: cosa che può concorrere a spiegare il minoritarismo di quest’area, nonostante la ricchezza delle intuizioni e delle analisi."

Dunque Porcaro opera una sorta di inversione delle priorità, considerando l'uscita dall'UE non come un fine dell'azione politica di P&C, bensì come un mezzo. Ciò al fine di indicare, nell'azione di proselitismo, obiettivi più facilmente spendibili. Sostiene Porcaro, dopo aver elencato una serie di azioni che lo Stato dovrebbe intraprendere ("creare occupazione non semplicemente attraverso il rilancio della domanda, ma attraverso investimenti produttivi diretti..." etc.) che ciò avrebbe l'effetto di essere più facilmente comprensibile e che, inoltre, finirebbe col far emergere ed accettare ciò che sappiamo già oggi, ma è difficile comunicare, ovvero che queste politiche sono impossibili dentro la gabbia dell'UE. Sostiene Porcaro ("E veniamo ora all’Ue, sulla quale si deve avere una posizione netta comprensibile a tutti, e nello stesso tempo priva di tratti avventuristici") che è necessario porre in essere una strategia comunicativa che non spaventi gli elettori ("Dobbiamo tener presente che anche se i sentimenti antiunionisti sono significativamente cresciuti rispetto al passato, il terrorismo mediatico e finanziario sarebbe, in caso di scelte più radicali, notevolmente maggiore a quello a cui abbiamo assistito nella recente querelle su qualche punto percentuale, e quindi dobbiamo giungere a tali scelte col massimo di consenso possibile. Tenendo conto del fatto che alla crescita della rabbia sociale (e quindi del radicalismo) fanno da contraltare paure diffuse ('e che succede poi?', 'ma cosa può fare l’Italia da sola?') che non sono occasionali, ma derivano da esperienze storiche severe (Grecia) o dalla 'lunga durata' delle abitudini geopolitiche del paese.").

Oltre a ciò, Porcaro si inoltra in un esame della complessità geopolitica di un'operazione di uscita unilaterale dall'UE esprimendo considerazioni e valutazioni che, a prescindere dal fatto che le si condivida o meno, rivelano tuttavia una postura da statista che mal si concilia col suo ruolo politico effettivo e con quello di un piccolo gruppo come P&C. Evidentemente Porcaro deve sentirsi come un nuovo Cavour, il quale seppe manovrare tutte le forze presenti sullo scenario italiano ed europeo al fine di raggiungere l'unità d'Italia. E davvero, se Porcaro fosse oggi primo ministro, prenderei in seria considerazione le cose che scrive, ma così non è. Porcaro, e con lui P&C,  è solo un esponente di una piccola e minoritaria fazione politica; una di quelle che, se ci fosse al governo un nuovo Cavour, sarebbero da questi manovrate per raggiungere l'obiettivo di restituire sovranità all'Italia.

Ma allora perché Mimmo Porcaro, e con lui P&C, ragiona da "statista" quale non è, e non invece da militante e patriota come dovrebbe, dando così vita a una formazione politica che faccia dell'intransigenza la sua ragion d'essere, come è ancora possibile quando si è agli inizi? Non è forse vero che Cavour seppe utilizzare perfino i mazziniani più accesi per tessere la sua tela diplomatica, e anzi senza le forze più estreme avrebbe probabilmente trovato maggiori difficoltà o forse fallito?

Poiché non riesco a credere che P&C possa coltivare l'illusione di diventare in tempi ragionevoli una forza di governo, né che Porcaro possa immaginare di esserne il Presidente del Consiglio, sono costretto a cercare altre spiegazioni. Una di queste, suggerita anche dalle amare delusioni che tanti ci hanno offerto negli ultimi anni, è che gli uomini e le donne di P&C abbiano scelto di non dedicarsi all'umile ma indispensabile lavoro di costruire un fronte di opposizione radicale nel nome dell'obiettivo primario della nostra collettività nazionale: la riconquista del potere di auto determinarsi sul piano interno, per il diritto di adottare senza vincoli esterni tutte le soluzioni di politica economica e sociale volute dalla maggioranza degli elettori. La nascita di una siffatta forza politica sarebbe, a mio avviso, molto più importante del fatto di costituirne una che, per quanto potrà tenersi lontana da posizioni esplicitamente radicali sulla necessità di uscire dall'UE, non sarà mai accolta in nessun governo! Cosa resterebbe da fare a questa forza, se non riuscire, nella migliore delle ipotesi, a conquistare qualche scranno, ma al prezzo di non dire la verità? Per non parlare del fatto che, ove mai riuscisse a ottenere qualche scranno, i suoi rappresentanti eletti sarebbero sempre a rischio di essere cooptati dal PD o da qualche altra formazione politica falsamente socialisteggiante, come spesso è avvenuto in passato.

Ognuno di noi, in quanto parte della collettività nazionale che chiamiamo Patria, ha l'obbligo morale di fare la sua parte nel luogo e nelle circostanze in cui lo ha messo la vita: chi insegnando a scuola, chi lavorando nella pubblica amministrazione, chi facendo l'imprenditore, e anche ricoprendo un ruolo da intellettuale. Ma sempre dicendo la verità.

Ora invertire l'ordine delle priorità, cioè indicare agli elettori un obiettivo di equità sociale che si sa non essere perseguibile perché si è persa la libertà, è una menzogna; e come tale non può essere agìta (nemmeno a fin di bene) da chi non ha ancora, e non potrà avere in tempi ragionevoli, una posizione di governo in un paese veramente libero. Scegliere di seguire una linea politica fondata sulla menzogna, per calcoli elettoralistici o superbia intellettuale, è come minimo un errore politico. Talmente evidente che, nello sforzo di trovare una spiegazione, può affacciarsi alla mente di molti, come in effetti è, il sospetto che chi lo fa si stia costruendo uno scenario di comodo, all'interno del quale provare a dare concretezza alle proprie ambizioni.

Mi dispiace che qualcuno se la sia presa, ne sono afflitto, ma credo di aver solo dato voce a un pensiero che è nella mente di molti. Tuttavia sono libero di farlo perché non conto niente, sono solo un professore di provincia che sogna la pensione ma, proprio per questa ragione, non devo preoccuparmi di altro che dire la verità. Lo stesso atteggiamento, io credo fermamente, che dovrebbe essere fatto proprio da qualsiasi forza minoritaria che si sforza di nascere e crescere. Verrà il tempo della diplomazia, delle mezze verità, e financo, se e quando si sarà al governo, quello di praticare la menzogna come è obbligo di chi serve il suo paese da statista. Ma chi parla da statista quando non lo è, ed è solo un militante o un intellettuale, o entrambe le cose, non la racconta dritta. Oppure ha completamente sbagliato l'analisi.

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