venerdì 8 marzo 2019

La categoria del tradimento

Mi dispiace ma non ce la faccio a tacere, sento impellente l'obbligo morale di parlare del tradimento in politica. Siamo un popolo, prima ancora che un paese, che del tradimento ha fatto un modo di intendere la politica, e credo sia giusto cominciare a riflettere su ciò. Lo faccio con le mie limitate risorse intellettuali, e vi chiedo di non essere troppo severi con me se il filo dei miei ragionamenti vi apparirà, perché così è, provinciale e poco profondo. Oggi, non ricordo come, mi sono imbattuto nel nome di Pertinace, imperatore romano per pochi mesi dopo Commodo e prima di Settimio Severo nel 193 d.c., del quale ignoravo la vicenda. Il buon Pertinace ha richiamato alla mia mente il nome di Giulio Valerio Maggioriano, imperatore romano dal 457 al 461 d.c.

Sono solo due esempi, tra i tanti, dell'incredibile spreco di patrimonio di civiltà posto in atto dalle classi sociali romane aristocratiche che avevano ereditato la straordinaria ricchezza costruita dalla Roma repubblicana. Una vicenda iniziata con l'assassinio dei Gracchi, il cui esito fu l'istituzione dell'impero con Ottaviano.

Tutta la storia del declino e della caduta dell'impero romano d'occidente è intessuta di tradimenti, di cui nessuna traccia è rilevabile nei secoli della Roma repubblicana, al punto che mi sento di affermare, senza timore di sbagliare, che il crollo non fu una conseguenza dell'arrivo dei barbari ma il risultato di quella lunghissima guerra civile interna alle classi crematistiche iniziata nel I secolo a.c. e proseguita fino al disastro. Una plurisecolare guerra civile che ha segnato indelebilmente il carattere e lo spirito della culla di quell'impero, la penisola italica. La quale, sebbene ci venga raccontato dagli storici che aveva perso nei secoli la sua funzione guida per il progressivo indebolimento economico (l'economia è la peste del pensiero politico contemporaneo) restava comunque il suo centro simbolico e spirituale. La guerra civile romana ebbe inizio con la fine delle istituzioni repubblicane, distrutte dall'assalto delle classi arricchitesi grazie alle conquiste della repubblica, che si fecero Stato trovando, nella forma imperiale, un assetto che logorò quella mirabile realizzazione; all'inizio lentamente, ma in seguito sempre più velocemente e in profondità, sfibrando la forza morale che aveva assistito la repubblica nella sua espansione, certamente militare ma anche civilizzatrice.

Questo "pattern" si è in seguito replicato più volte, ad esempio con il sorgere dei liberi comuni i quali, una volta arricchitisi grazie a nuove istituzioni democratiche, finirono infine sotto il controllo dei ceti sociali più ricchi che istituirono le signorie, dando inizio dapprima a un'epoca di effimero splendore, il rinascimento, infine alla decadenza dell'intera penisola, ancora una volta a causa del tradimento.

E' possibile ritrovare il "pattern" nella storia del risorgimento, sebbene in modo meno chiaro e più controverso, ma esso riappare in modo eclatante e di nuovo dopo la sconcertante vicenda della sconfitta nella seconda guerra mondiale. Ancora una volta si affermarono, per circostanze favorevoli e per chissà quanto tempo irripetibili, le istituzioni repubblicane, le quali condussero i popoli italici ad una straordinaria rinascita che, prima ancora che economica, fu morale e spirituale. Bastarono quindici anni e questo paese, che si percepisce come povero e privo di risorse, riemerse dall'abisso nel quale era stato trascinato da forze crematistiche eredi di quelle che, due millenni prima, avevano distrutto le istituzioni repubblicane romane.

L'unico argine a questo cancro sociale e politico che sono le classi sociali crematistiche che appestano l'Italia è stato, devo riconoscerlo anche se non sono un credente, la Chiesa, il solo universo valoriale nel quale hanno potuto trovare rifugio gli uomini e le donne che, per intima natura, non sono disposti a concepire l'esistenza come una condizione animalesca, nella quale l'unico ordine è determinato dall'esercizio della forza e della violenza al servizio del desiderio illimitato dell'individuo. Un mondo, per capirci con un'immagine efficace, che ha combattuto questo genere di esseri diabolici e depravati ben rappresentato nell'immagine sottostante, ai quali oggi siamo costretti addirittura a rendere omaggio, pena la disapprovazione dei media:

Depravati
Come sono lontani i tempi di Marco Attilio Regolo! Per altro ciociaro (nato in quel di Sora) del quale gli storici ci dicono essere una figura mitizzata. Quegli stessi storici de sinistra che tanto si affannano per dimostrare che i miti del passato sono tutte invenzioni ex-post e che invece il vero motore della Storia è l'economia! Salvo ignorarla, quando questa dice cose che confliggono con gli interessi dei loro padroni. Quegli stessi storici sistematicamente smentiti dalle ricerche archeologiche, dalla scoperta di Troia a quella di Micene sulla base dei libri di Omero, fino alle sciocchezze da essi sostenute sulla fondazione di Roma clamorosamente smentite dall'archeologia.

Economia, econometria, grafici, il mito della tecnologia che promette un mondo di gommapiuma a dimensione trans-umana, perché l'esistenza umana secondo la vulgata crematistica ad uso e consumo degli schiavi privati dei diritti politici di cittadinanza, cioè di protagonismo reale nelle scelte attinenti il potere, si riduce ad un solo scopo: vivere comodamente, il più a lungo possibile, strizzando dalla vita ogni possibile godimento. Peccato che questa vulgata sia del tutto assente nella visione esoterica delle classi crematistiche, il cui tessuto connettivo è invece saldamente fondato su una visione spirituale dell'esistenza, ma solo per chi ne fa parte. Agli schiavi no, alla carne da macello, al gregge zootecnico bisogna raccontare che le guerre si vincono sempre e regolarmente perché una parte dispone di risorse materiali maggiori, e dunque che le qualità morali nulla hanno a che fare con l'essere dominanti o dominati. Da qui ad accusare gli schiavi, il gregge da comandare con criteri zootecnici, di essere essi stessi responsabili delle loro sofferenze il passo è breve: siete pigri, non siete produttivi, volete vivere sdraiati sul divano.

Il tradimento come prassi politica abituale è l'inevitabile conseguenza di uno stato delle cose fondato solo sul principio della competizione tra gruppi crematistici i cui leaders, di volta in volta, ne prendono il comando, unicamente interessati alla conquista del potere e alla sua conservazione, escludendo dalla partecipazione al gioco l'intera comunità affinché questa non possa promuovere un sistema di valori imperniato sul perseguimento dell'obiettivo comunitario fondamentale e necessario: la riproduzione sociale e culturale.

In epoche diverse, in forme diverse, la storia dei popoli italici è stata un continuo oscillare tra il principio repubblicano e quello della signoria. Il primo costruisce, l'altro dissipa generando disordine; laddove il primo aveva creato ordine, ius, tensione spirituale, il secondo produce dapprima splendore per pochi e, subito dopo, ingiustizia, disordine, decadenza. 

Lo scontro tra questi due principi è ancora in atto, ovviamente non solo tra i popoli italici, ma quello che si svolge qui da noi è di primaria importanza proprio per la lunga e ricchissima storia che abbiamo alle spalle, la quale ci carica di un'enorme responsabilità. Perché la storia non è solo un elenco delle cose accadute, ma soprattutto un continuo dipanarsi dialettico di principi che ci trascendono, ed è una battaglia nella quale ognuno di noi è chiamato a svolgere la sua parte. 

Il tradimento è un sintomo, se non il più importante certo uno dei più importanti, del fatto che non c'è democrazia e che il conflitto politico si è ridotto a uno scontro tra gruppi crematistici interessati unicamente alla ricchezza e al potere per il potere, senza che vi sia alcun principio ordinatore condiviso capace di trascendere gli interessi contrapposti. E' uno stato bestiale, animalesco, della vita politica, indegno della nostra storia e della nostra natura di esseri umani, prima ancora che di popoli italici in particolare. Denunciare il tradimento come prassi politica, esporlo al pubblico ludibrio, esecrarlo e renderlo gravoso per chiunque scelga questa via, perseguirlo fino alle estreme conseguenze, pretendere la coerenza tra ciò che si dice e ciò che si fa, schifare chi cambia padrone senza spiegare con chiarezza perché lo fa, è una precondizione indispensabile per ricostruire un clima nel quale sia possibile esercitare le virtù repubblicane, la democrazia vera. Nessuna condiscendenza per chi non si piega a questo principio.

6 commenti:

  1. Condivido lo sfogo, a parte quanto dici sulla chiesa quale risorsa morale contro i porti aperti a culo chiuso, e se l'invettiva era riferita alla depravazione intellettuale implicita nel piddino e non al suo orientamento sessuale, esistendone anche di etero.

    RispondiElimina
  2. Ciao Fiorenzo penso che per limitare il tradimento bisogna rendere attuativo il secondo comma dell'art.3 della nostra Costituzione:
    "E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese."
    Quali sono stati i mezzi adottati dal potere crematistico per rendere i popoli amorfi, distaccati, disinteressati alla politica? Prima con la grande industria cinematografica, le TV commerciali, i social- internet ecc.
    Purtroppo dispiace ammetterlo ma probabilmente ha contribuito in maniera determinante all'apatia delle masse nei confronti della passione trasformativa della politica, la società dei consumi illimitati, che ci ha uniformato tutti quanti, trasportandoci tutti da una società dei bisogni ad una società dei desideri illimitati. In Italia, uno dei primi se non il primo a denunciare tale deriva di omologazione delle grandi masse fu Pasolini, parlando della dittatura dei consumi. Purtroppo la stragrande maggioranza, anche fra quelli del campo cosiddetto sovranista, non si rende conto che oggi viviamo nella società più totalitaria che mai sia esistita e la più ineguale di tutti i tempi. La propaganda del padrone del discorso ci ha convinti che viviamo in una società libera dove tu puoi fare tutto quello che vuoi, salvo mettere in discussione il Paradigma del pensiero unico dominante. Abbiamo tanti mezzi d'informazione che dicono tutti la stessa cosa da Londra, New York, passando per Parigi e Roma, e abbiamo tanti partiti che hanno tutti lo stesso programma, si differenziano solo sui diritti civili, e siamo tutti convinti di vivere nella società più giusta e libera che mai sia esistita. E se non ti realizzi la colpa è solamente tua, che non ti sei impegnato abbastanza. Siamo dentro nella gabbia di Weber e non più nella caverna di Platone dove la fuoriuscita era ancora possibile? Certe volte ho l'impressione che la narrativa mainstream abbia installato nei nostri cervelli un programma che seleziona e censura tutte quelle notizie non gradite ai padroni del discorso. Non hanno più bisogno di giganteschi apparati di censura, ci autocensuriamo da soli.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Caro Mauro, l'art. 3 della Costituzione deve e può farlo rispettare solo chi ne ha interesse. Se un corpo sociale che ha interesse a farlo rinuncia, o si fa persuadere che è più comodo farsi dirigere, allora questo corpo sociale di fatto rinuncia alla democrazia, e quest'ultima arretra rifugiandosi dentro il perimetro dialettico dei rimanenti corpi sociali che siano determinati a difendere, e in grado di farlo, il loro diritto di essere soggetti politici; cioè classi per sé oltre che classi in sé.

      Ora noi abbiamo appassionatamente tentato di far capire al più grande numero di persone questa ovvia realtà, e continueremo a farlo. Ma se i subalterni preferiscono il loro destino di sottomessi, se addirittura tutto un paese sceglie questo modo di vivere, allora tutti i nostri sforzi saranno vani.

      Elimina
  3. Caro Fiorenzo questo tuo post,meriterebbe una lunga e articolata risposta,ma voglio essere breve. Come tutte le persone che militano a sinistra possiedi la caratteristica di essere un moralista e sicuro di possedere delle verità talmente evidenti da non essere oggetto di dissacrazione, come ad esempio le Virtù Repubblicane della Roma antica superiori a quelle della Roma imperiale.
    Sulle virtù repubblicane della roma antica è meglio stendere un velo pietoso tutta propaganda.Ma non è questo il punto anzi i punti sono due.
    Primo :il tradimento non è una caratteristica esclusiva della storia d'Italia .
    Mettendo in un grafico cartesiano sull'asse delle ascisse i vari popoli europei e riportando sulle ordinate i rispettivi tradimenti,includendovi anche le spie politiche alla Richard Sorge o i coniugi Rosenberg ,il grafico risultante è una retta parallela alle asse delle ascisse.
    Secondo punto .Quindi "Denunciare il tradimento come prassi politica,.....ecc" presuppone avere il possesso della verità in un campo molto ma molto ambiguo.
    Esempio: nel caso Dreyfus avresti parteggiato per la condanna ?
    Però posso dirti che il tuo pensiero finale che ho messo fra virgolette avrebbe la incondizionata approvazione di Hitler che la pensava come te. Infatti fece fucilare tutti i traditori del 25/7/1943 che avevano sfiduciato (o tradito?) Mussolini,dove fra i traditori c'era pure il genero del Duce.
    Se una discesa vista dal basso è una salita . anche il tradimento visto da una altra ottica può risultare una virtù. Ma ripeto tutto il casino viene dal mettere in politica delle categorie morali.che come ci ha insegnato il Machiavelli dovrebbero starne fuori.
    Il giudizio politico, etico, morale sul tradimento è sempre un giudizio di parte. Il dramma di Bruto è stato ampiamente ripreso in opere teatrali o in
    commenti politici: la lotta della repubblica contro la dittatura fa fluttuare il punto di vista secondo cui si giudica l’uccisione di Cesare.
    E che dire di Polibio? Da ostaggio che era, passò a essere consigliere diplomatico e militare di Scipione seguendolo in guerra (lo consigliò nella III guerra punica) e dopo il 146 divenne addirittura commissario incaricato della riorganizzazione della Grecia per conto dei Romani.In patria questo non fu certo apprezzato: lo storico venne immediatamente tacciato di tradimento ed esposto al disprezzo dei suoi concittadini da parte delle fazioni estremiste democratiche (tradizionalmente antiromane). Piu o meno quello che consigli tu.La difesa di Polibio fu "Chi infatti dev’essere propriamente considerato un traditore? Quelli che decidono liberamente di accordarsi con re o dinasti e di cooperare con loro non sono traditori, né lo sono quelli che organizzano rovesciamenti di alleanze nella propria città o paese,oppure quelli che decidono di cambiare linea politica. Il vero traditore, spiega lo storico, è solo “chi consegna la propria città per garantire la propria sicurezza o per procurarsi dei vantaggi personali, oppure chi lo fa per nuocere ai propri avversari politici. non chi lo fa alla luce di un calcolo politico destinato invece a favorire il destino della propria patria." È questa la chiave di tutto il problema.Nella politica, quindi, il tradimento non esiste e lo scioglimento unilaterale dei vincoli di appartenenza o dei giuramenti fa parte di un agire legittimo. Anzi, talvolta può essere un segno di saggezza.
    Giustamente i nostri padri costituzionali hanno inserito l'articolo 67 «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato»
    Buona Vita




    RispondiElimina
    Risposte
    1. Parte I:

      Caro Gianni, intanto io non milito a sinistra, ti prego di prendere atto di questa essenziale realtà. Non sono mai stato, neppure per indole e nella mia vita privata, un moralista, sebbene mi consideri un idealista. Ma essere un idealista non ha nulla a che vedere col fatto di essere un moralista, poiché quello che penso (almeno in base a ciò ho sempre ordinato la mia vita) è che quello che chiamiamo coscienza non possa essere spiegato in modo deterministico. Se vuoi, per usare un linguaggio mutuato dalla meccanica quantistica, la mia teoria esistenziale è una teoria a variabili nascoste. Ma di ciò in altra occasione. Ti basti riflettere sul fatto che, per un idealista, essendo l'essenza delle cose posta su un altro piano, qualsiasi giudizio morale non può che essere considerato di parte. E infatti io sono un "partigiano", cioè parteggio per una parte, per delle idee, e soprattutto per ragioni che non hanno spiegazioni: è solo una scelta. Tuttavia questa scelta (sempre nel mio modo di vedere) una volta fatta diventa impegnativa sul piano spirituale. Il che significa che alle scelte bisogna sforzarsi di rimanere fedeli, anche quando si rivelano perdenti. Solo per un intimo convincimento di aver fatto una scelta malvagia, e solo al prezzo di un sincero e profondo travaglio interiore, è possibile abiurare conservando la propria integrità.

      Per intenderci: stimo molto di più i fascisti in buona fede che restarono fedeli alla propria parte che non i tanti voltagabbana che, dopo essere stati fascisti, si iscrissero ai partiti vincitori. E questo a prescindere dal fatto che disprezzo il fascismo e i fascisti. Personalmente ritengo che, quando la causa per cui si è parteggiato perde, la sola scelta dignitosa sia quella di ritirarsi a vita privata. Salvo un nuovo impegno, ma per ragioni estremamente motivate sul piano spirituale.

      Elimina
    2. Veniamo al tradimento, e in particolare al caso Polibio. Questi era un esponente della classe al potere in Grecia, che da tempo non era più libera bensì subalterna al regno di Macedonia. Un po' come le nazioni europee che sono subalterne agli Stati Uniti. In queste condizioni concrete, la selta di Polibio può sì essere contestata, ma certo non iscrivendolo tout-court al club dei traditori. Semplicemente lui pensava che, servitù per servitù, alla Grecia convenisse essere sotto il dominio romano che non sotto quello macedone.

      Il tradimento è ben altro. Mi ricordo una frase un tempo famosa: non lo fò per piacer mio ma per far piacere a Dio. Ovvero l'ipocrisia eletta a metodo. Dunque le motivazioni e le circostanze sono fondamentali per tacciare o meno di tradimento un determinato comportamento. Tanto è vero che coloro i quali (non faccio nomi) sono accusati di aver tradito come si difendono? Ovvio! Non l'ho fatto per loro piacer mio, ma per sacro amor di Patria, chiamando ciò "strategia" o "interesse nazionale". Giammai "interesse personale", ohibò! Ognuno è libero di pensarla come vuole, anche di valutare certe giravolte come sublime intelligenza politica, ma chi - come me - ha la sola scelta tra il continuare una battaglia persa oppure zappare l'orto in quel di Castro dei Volsci, come pensi che li possa considerare?

      Per un giudizio più fondato non ci resta che aspettare. I romani, ma non solo essi, non accoglievano tra le loro fila chi ritenevano essere un traditore: ben che gli andava, a questa gentaglia, se ne potevano tornare con la sacchetta piena d'argento! Ma spesso, dopo averli usati, li facevano fuori.

      Ti cito un solo esempio, tra i tanti. Come si comportarono gli inglesi (un altro popolo che è stato capace di costruire un impero) con il capo di stato maggiore borbonico Landi?

      Certo, anche a quei tempi "ce lo chiedeva l'Europa!"

      Il De Cesare riporta il seguente aneddoto:
      «Uno dei De Sauget in un gruppo d'ufficiali, alludendo al re, fu udito un giorno esclamare:
      Ma se l'Europa non lo vuole, perché dobbiamo farci ammazzare per lui ?.....»

      (La fine di un Regno - vol. II, Raffaele De Cesare, pagg. 349-350)

      Elimina