martedì 16 luglio 2019

Le scarpe di Cinaglia



Il cuore di Suburra è tutto qui, in questo magistrale brano che dipinge, come un affresco rinascimentale in una sudicia galleria, un ritratto della città dalle mille contraddizioni.

Roma.

Viziosa, dissoluta, corrotta, sporca dentro e fuori, ma anche madre premurosa per i suoi figli. A chi china la testa in adorazione, Roma regala la sua bellezza, le sue strade, i suoi palazzi. Basta non alzare mai la testa, non guardare negli occhi l’abisso che seduce. Basta tenere la testa bassa, guardarsi i piedi, maldestramente piantati su sampietrini sbilenchi.
Già, i piedi. Metafora popolare della vita di un uomo, quello che si mette ai piedi. Possiamo capire molte cose dalle scarpe che una persona indossa. Non dicono solo chi sei, ma anche dove vai e dove vorresti andare. E a volte la dicotomia può essere straziante.
Chi siamo, chi vorremmo essere, chi non saremo mai. Concetti familiari ad Amedeo Cinaglia, voce del popolo di Suburra, magistralmente interpretato dall’attore romano Filippo Nigro. Uomo della strada, che con le sue logore scarpe da universitario ventenne ne ha macinata tanta. La capitale gli ha mangiato le suole come una bestia avida, affamata della sua stanchezza, dandogli in cambio una vita di insoddisfazioni e rimpianti.
C’è anche Cinaglia, tra quelle facce stanche alla fermata, occhi fissi, testa bassa. Cinaglia che pensa alla sua giornata, e in generale alla sua vita, guardandosi i piedi senza vederli, senza capire fino in fondo cosa vogliono dirgli quelle calzature logore, da buttare.

Samurai guarda con evidente disprezzo le scarpe di Cinaglia, che prende l’autobus per spostarsi a Roma, da bravo cittadino. Un cittadino che si adegua alla vita vorticosa, tentacolare, spossante del pendolarismo romano per raccontare a tutti la storia che lui è un uomo del popolo. Un uomo che ha fatto tanta strada, che ha consumato le suole lungo le stanze del potere, senza varcare mai le porte giuste.

La moglie di Amedeo rimprovera il marito per quelle scarpe logore, ormai da buttare. Amedeo, dal canto suo, sembra infantilmente affezionato a quell’appendice del suo corpo. Chissà quanti passi, chissà quante rincorse verso il successo che non arriva mai, gli ricordano quelle scarpe. Sono scarpe che parlano di un uomo moralmente senza macchia, il cui logorio esteriore sembra, per paradosso, rispecchiare una limpidezza interiore.
Come in un moderno ritratto di Dorian Grey, man mano che la fedina morale di Cinaglia si insozza, la sua immagine esteriore comincia a brillare. I pensieri che non lo facevano dormire la notte, le ansie, le preoccupazioni per il futuro, tutto sembra svanito in una nuvola oppiacea di realizzazione personale. Realizzazione che in Suburra passa, quasi necessariamente, attraverso la corruzione, il crimine, la menzogna, l’omicidio.
Il personaggio che all’inizio sembrava emanare un’aura di santità e devozione sacrale alla causa della cosa pubblica, diventa, nel corso delle puntate, una pedina fondamentale nella conquista della capitale. Cinaglia l’incorruttibile, l’uomo della strada, a cui il popolo risparmia il fango per innalzare lodi, l’uomo che prende l’autobus, diventa corrotto, corruttore, e le sue suole si levano di dosso il sudiciume della strada per calcare i pavimenti delle stanze del potere.

La progressiva corruzione e l’abbrutimento morale che fagocitano Cinaglia sono veicolate in maniera splendidamente metaforica dalla trasformazione che subiscono le sue scarpe.

Finalmente Cinaglia non è più l’uomo in giacca e cravatta, ma con una macchia sul colletto, la signora impellicciata in ciabatte. Finalmente la sua immagine esteriore rispecchia in maniera fedele la chiarezza che ha operato in lui la scelta di mettersi in affari con Samurai. Una superficiale limpidezza lo pervade, maschera della lordura che ha dentro.
Con le scarpe vecchie di Cinaglia se ne va anche l’ultima anima immacolata di Suburra, e l’uomo della strada sprofonda nell’inebriante vortice della corruzione. Cinaglia non ha più bisogno del popolo o del sostegno del suo partito. Quelle scarpe nuove, metaforico regalo di Samurai al suo nuovo uomo di fiducia, possono portarlo lontano, possono aprirgli porte che le vecchie scamosciate non avrebbero mai varcato.

Sono lo strumento perfetto per affrontare la lunga strada verso il potere, la realizzazione, l’elezione a figlio preferito di quella gran madre meretrice che è Roma.

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