mercoledì 7 agosto 2019

Salvini per sempre, articolo sui tempi che corrono - di Cesare Allara

Fulvio Grimaldi riceve e diffonde un articolo lungo ma che merita ampiamente di essere letto dal maggior numero di persone.
Ippolito Grimaldi: "L'autore è Cesare Allara e del pezzo posso solo dire che chiunque lo legga gli dispiacerà di non averlo scritto lui. E' un quadro esaustivo, lucido, spietato, drammatico, della situazione politica in cui ci hanno immerso. 
Cesare è un mio amico e compagno di lunga data. Insieme abbiamo percorso l'Iraq alla vigilia della guerra che ha distrutto questo magnifico, libero e orgoglioso paese, culla di tanta civiltà. Ci eravamo fatti scudi umani e documentatori contro i carnefici.
Vorremmo continuare a esserlo contro chi distrugge il nostro paese."

SALVINI PER SEMPRE


A meno di eventi eccezionali al momento del tutto imprevedibili, Matteo Salvini diventerà prima o poi presidente del Consiglio con una maggioranza di destra, Lega, Fratelli d'Italia e frattaglie di Forza Italia. Non essendoci in campo, né all'orizzonte, neppure l'ombra di un'attendibile opzione alternativa, Salvini può aumentare i suoi consensi pescando in tutti i bacini elettorali: a destra come a sinistra, fra i pro-euro e gli anti-euro, fra la tradizionale Lega secessionista del Lombardo-Veneto che vuole più “autonomia” cioè danè, schei, e la nuova Lega clientelare sudista, fra coloro che desiderano tanti immigrati per abbassare sempre più il costo del lavoro e quelli che vorrebbero invece fermare l'invasione …
Insomma, Salvini è in una botte di ferro, magistratura consentendo e nonostante le contraddizioni del composito blocco sociale che lo sostiene. E questo accade perché può godere di un vitalizio politico infinito, frutto della coglionaggine dei suoi “avversari”, la cosiddetta “opposizione” che è diuturnamente impegnata a fornirgli incredibili assist. I più indefessi attivisti leghisti stanno proprio a “sinistra”, e infatti educatamente, con un sorriso, Salvini sovente li ringrazia mandando “bacioni” a chi lo insulta o lo contesta dandogli del “fascista, nazista, razzista, populista, xenofobo ...”. Afferma Marco Travaglio: “Ogni volta che si accosta Salvini a Mussolini gli si fa un favore perché l'unico che avrebbe piacere a essere scambiato per Mussolini è Salvini” (Tagadà, 13 giugno). E, come hanno sommessamente notato anche il sociologo Domenico De Masi e l'ex direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli, ogni ONG che forza il blocco e sbarca immigrati in Italia nel tripudio della “sinistra” regala un punto percentuale in più nei sondaggi alla Lega. Per fermare almeno temporaneamente l'avanzata di Salvini non resta ormai che seguire le previsioni meteo e sperare che il maltempo freni le partenze dalle coste africane.
Qualche esempio fra i tanti. Nel maggio scorso, Konrad Krajewski, cardinale polacco elemosiniere di Sua Santità Francesco riattiva la corrente elettrica in un palazzo di Roma occupato abusivamente, moroso per 300.000 euro, a cui l'azienda elettrica aveva staccato i fili. Come Zorro, vicino ai contatori manomessi il cardinale lascia anche il suo biglietto da visita. Una smargiassata che suscita l'entusiasmo della curva della “sinistra” papista arcobalenga, ma che si rivela un clamoroso autogol. Per Salvini è come calciare un rigore a porta vuota: “Ci sono tanti italiani che aspettano una casa popolare e non la occupano; ci sono tanti italiani e migranti regolari che anche in difficoltà le bollette le pagano. Se poi qualcuno in Vaticano vuole pagare le bollette degli italiani in difficoltà ci diano un conto corrente che lo diffonderò a tutti i sindaci perché da Nord a Sud ci sono tanti italiani che fanno fatica a pagare le bollette della luce”. Pochi giorni dopo il cardinale Zorro ha estinto personalmete il debito del condominio.
Questa “sinistra” papista, arcobalenga, poltronista, sinistrata, fuksia (PAPSF), pur ciarlando solo più di immigrazione e fascismo, non ha mai espresso, sottolineo mai, analisi credibili sul fenomeno dell'immigrazione, e men che meno su altri argomenti. Quando Salvini “blocca” i porti alle ONG, gli intellettuali più educati, sempre i soliti nomi, sanno solo parlare di “cattiveria”, di “disumanità” del ministro dell'Interno. Ci si deve accontentare così dell'analisi degli ultras. Eccone un esempio significativo che girava in rete in occasione dello “scontro” Salvini-Rackete: “Senti, brutto stronzo. Ti piace insultare una giovane donna in gamba a nome del governo italiano, eh? Maramaldo. A nome degli italiani, 60 milioni? Pallone gonfiato, ceffo vigliacco. Ti sei rotto le palle, eh? Coglione. Te li sudi tu i tuoi selfie, eh?, disgustoso gradasso. Non è granché, ammetto. Sento che si può fare di meglio, cioè di peggio. Tu sì, mezza calzetta, tu puoi, fatti un altro selfie, completa tu a piacere. Controfirmo tutto”. Roberto Saviano è entusiasta di questo breve scritto di Adriano Sofri apparso sul quotidiano clandestino Il Foglio: “Condivido con voi l'analisi politica più lucida degli ultimi mesi. Grazie Adriano”. Salvini gentilissimo ringrazia: “Essere insultato dal pregevole duo Sofri-Saviano mi rende ancora più orgoglioso del mio lavoro in difesa del Popolo Italiano. Bacioni e querele”. Quando si dice “lavorare per il re di Prussia” ...
L'immigrazione non è “un'arma di distrazione di massa”, come si sostiene ancora oggi a “sinistra”, di cui si serve Salvini per nascondere la corruzione nel suo partito, per distogliere l'attenzione dai temi economici e dalle inchieste della magistratura sui finanziamenti alla Lega. Non c'è più bisogno di sotterfugi. Ormai il popolo italiano si è assuefatto all'illegalità, anzi ognuno nel suo piccolo ci sguazza, ha imparato a convivere con la corruzione, con le varie mafie, o con quelle che pudicamente vengono declassate a lobby; non gli importa nulla se i partiti si finanziano con rubli o dollari. Con la fame di lavoro e di salario che c'è, il popolo italiano non sta neppure a sottilizzare se il lavoro creato con fondi pubblici è utile al Paese o no. L'illegalità, la corruzione e le mafie sono il principale motore di sviluppo del Paese. L'avventura di Virginia Raggi a Roma dimostra che inimicandosi le mafie la macchina municipale stenta a funzionare, s'inceppa, fra boicottaggi, piccole e grandi truffe ai danni dell'amministrazione, bandi che vanno deserti , l'esercito che presidia qualche sito della monnezza e la stampa tutta di proprietà delle lobby che spinge per far tornare in Comune i cari vecchi partiti da sempre loro complici. Gli scandali che colpiscono la Lega, dove le varie lobby hanno già spostato i loro uomini, non scalfiscono minimamente la sua lenta, ma inesorabile avanzata nei sondaggi.
L'immigrazione, assieme al lavoro e al welfare, è da tempo, volenti o nolenti, il tema dei temi, non solo in Italia. Le tre materie sono fra loro strettamente collegate. Non sono venute per caso le vittorie del repubblicano Trump negli USA o di Farage (Brexit Party) in Gran Bretagna che, al contrario della “sinistra” che a ogni latitudine vuole accogliere tutti i migranti, promettevano di proteggere la manodopera autoctona. Interessante il caso della Danimarca dove il 5 giugno scorso si è votato per il rinnovo del Parlamento. Un risultato sorprendente, in controtendenza: i cosiddetti “populisti” (Partito del Popolo Danese) perdono la metà dei voti. Vincono i socialdemocratici che in campagna elettorale promettono però “una linea meno permissiva sui migranti”. La vincitrice Mette Frederiksen dichiara: “Al primo posto rimetteremo il welfare, il clima, l'educazione, i bambini, il futuro”; in netto contrasto con le ragioni fondative dell'Europa di Maastricht nata invece per adeguare il capitalismo europeo a quello USA, innanzitutto con il ridimensionamento o l'abolizione del welfare.
Questo rovesciamento della rappresentanza dei ceti sociali - la destra che difende gli interessi dei lavoratori autoctoni (ad esempio Marine Le Pen in Francia), mentre tutta la sinistra (partiti, centri sociali e troika sindacale) è allineata sulle posizioni di mafie e lobby, ne sposa le esigenze di manodopera schiavile a basso costo partecipando attivamente in vario modo alla deportazione dall'Africa - non è una novità delle ultime tornate elettorali. Ero ormai in uscita dal PRC, ed ecco cosa scrivevo il 14 marzo 2006 nel “Diario elettorale” (13 puntate) circa l'inizio della campagna elettorale di Bertinotti a Torino e Bussoleno per le Politiche del 9/10 aprile di quell'anno. Ad eccezione del riferimento al congresso di Rimini della CGIL dell'1/4 marzo, questo stralcio del report sembra scritto oggi: “(…) Dopo la tregua (o resa?) preventiva regalata dalla CGIL nel recente congresso di Rimini al prossimo governo, il PRC, che Bertinotti ha definito il più fedele alleato di Prodi, è più che mai ostaggio della riedizione della famigerata politica di concertazione e di pace sociale, con tanti saluti ai movimenti rivendicativi e al ruolo di portavoce delle lotte. Sull’immigrazione, Bertinotti ha in particolare posto l’accento sulla vitale necessità che ha il nostro Paese di mano d’opera straniera, pena il blocco delle attività produttive. Curiosamente, ma non troppo, questa tesi della sinistra alternativa coincide con quella di Confindustria, e ciò deve far riflettere. I padroni, che per uscire dalle ricorrenti 'crisi' conoscono solo la strada della riduzione del costo del lavoro e di un maggior sfruttamento della mano d’opera, desiderano avere sempre a disposizione quello che, se ricordo bene, un tale aveva definito esercito industriale di riserva. Ho scoperto che oggi questa esuberanza di disponibilità di mano d’opera di cui i padroni hanno bisogno è chiamata ventre molle. Questo ventre molle, che continua ad ingrossarsi per effetto degli incessanti flussi immigratori, è indispensabile ai padroni per alimentare il lavoro nero, per mettere in concorrenza la mano d’opera locale con quella extracomunitaria e così perseguire l’obiettivo di un costo del lavoro sempre più basso. Un corollario di questa tesi afferma che gli stranieri non rubano il lavoro agli italiani perchè sono impiegati in lavori che gli italiani, ormai imborghesiti, non vogliono più fare e da qui nasce la necessità della presenza del lavoratore immigrato. In realtà gli italiani hanno fatto per secoli i lavori più umili, e ancora li farebbero se fossero retribuiti adeguatamente e non con salari africani o asiatici. Questa sottovalutazione, questa superficialità nel maneggiare il problema dell’immigrazione che come si è visto gratifica i padroni e i padroncini, ma acuisce i disagi delle classi meno abbienti italiane, regala al razzismo della Lega Nord il cuore ed il voto di larghi strati popolari (...)”. I fatti hanno poi dimostrato che la scelta della “sinistra” di dividere i lavoratori, occupandosi eslusivamente degli immigrati e lasciando i lavoratori italiani, i ceti popolari nelle grinfie della troika sindacale e dell'“orrendo serpentone metamorfico PCI-PDS-DS-PD”, è stata catastrofica.
La prima domanda da porsi per iniziare un'analisi del fenomeno è la seguente: le migrazioni sono un fenomeno complessivamente positivo o negativo? La seconda domanda è: cui prodest?, a chi giova? Chi ci guadagna, chi ci perde? Chi sostiene la positività afferma che il fenomeno è inarrestabile, e quindi non si può far altro che gestire l'accoglienza. Anche perché, dato il crollo demografico recentemente ribadito dall'ISTAT (notoriamente gli italiani oltre che choosy, schizzinosi sul lavoro, hanno perso anche la voglia di trombare e figliare), l'immigrato è conveniente; i vantaggi che ne derivano sono indistintamente utili a tutta la collettività. Vantaggi già in parte accennati più sopra dall'on. Bertinotti all'unisono con Confindustria, a cui si può aggiungere quell'altra colossale minchiata divulgata per decenni dalla “sinistra” sempre nel coro con Confindustria, quella delle pensioni degli italiani pagate solo grazie ai contributi degli immigrati.
La propaganda sugli immigrati come risorsa universale è martellante, fan della globalizzazione capitalista in prima fila. “Le migrazioni sono una ricchezza, ma vanno sapute gestire” dice ad esempio il regista Oliver Stone sul Fatto Quotidiano del 2 luglio scorso, ma non precisa per chi sono una ricchezza, una risorsa. Ma fra le innumerevoli dichiarazioni di fede nella globalizzazione e nelle migrazioni vale la pena ricordare, per chi se la fosse dimenticata, quella ormai leggendaria dell'on. Laura Boldrini, all'epoca presidente della Camera, alla presentazione del Rapporto 2014 di Italiadecide che delineò anche il futuro che ci aspetta: “Dobbiamo dare l'esempio concreto di un cultura dell'accoglienza, che sia integrale, l'accoglienza come un nostro valore a 360 gradi e che sappia misurarsi con la sfida della globalizzazione. Quella sfida che porta con sé, com'è ovvio, anche maggiori opportunità di circolazione delle persone, perché nell'era globale tutto si muove. Si muovono i capitali, si muovono le merci, si muovono le notizie, si muovono gli esseri umani e non solo per turismo. I migranti oggi sono l'elemento umano, l'avanguardia di questa globalizzazione e ci offrono uno stile di vita che presto sarà uno stile di vita molto diffuso per tutti noi, loro sono l'avanguardia dello stile di vita che presto sarà uno stile di vita per moltissimi di noi”.
Nei secoli XVI e XVII, nel grande centro minerario di Potosì in Bolivia, dove si estraeva gran parte dell'argento spagnolo, gli indigeni americani schiavizzati morivano come mosche per le condizioni di estremo sfruttamento, per le nuove malattie importate dagli spagnoli a cui i fisici dei nativi del Sudamerica non erano abituati e per “l'uso del mercurio per l'estrazione dell'argento con il metodo dell'amalgama che avvelenava quanto, o più dei gas tossici nelle viscere della terra. Faceva cadere capelli e denti e provocava tremiti incontrollabili. Gli 'intossicati da mercurio' si trascinavano per le strade chiedendo l'elemosina. 6.500 falò ardevano nella notte sulle pendici del cerro rico, e in essi si lavorava l'argento con l'aiuto del vento che il 'glorioso Sant'Agostino' inviava dal cielo. A causa del fumo, in un raggio di sei leghe, nei dintorni di Potosì, non c'erano pascoli né seminagioni e le esalazioni erano altrettanto implacabili con i corpi degli uomini” (Eduardo Galeano, Le vene aperte dell'America Latina, 1997, Sperling & Kupfer). Non si conoscono i numeri esatti, ma si parla di milioni di persone, anche perché non c'era solo Potosì. Di certo fu un vero e proprio genocidio. Quando nelle miniere la manodopera comincia a scarseggiare si ricorre all'importazione dei negri africani, ritenuti anche fisicamente più adatti al lavoro schiavile in condizioni di estremo sfruttamento. Non si può non notare come gli attuali dirittumanoidi, le ONG che si prestano a gestire l'ultima tratta della deportazione in Italia della manovalanza prelevata in acque africane, somigliano tantissimo a quelle navi negriere che dall'Africa portavano una manodopera più robusta nei possedimenti spagnoli in Sudamerica per sostituire gli indios ormai in estinzione.
La “sinistra” PAPSF, che mette la sua bandierina su questa sostituzione della manodopera italiana con quella assai più a buon mercato proveniente dall'Africa, scambia un'operazione coloniale per solidarietà internazionalista. Le ONG marinare colluse col traffico di esseri umani come le brigate internazionali che combatterono a fianco dei republicanos nella guerra di Spagna (1936-1939)? O come Ilio Barontini, Domenico Rolla, Anton Uckmar che andarono in Etiopia (1935-1936) per organizzare la resistenza armata contro l'occupazione fascista? O come Gino Doné, partigiano e combattente internazionalista, unico italiano a partecipare alla rivoluzione cubana negli anni 50? Carola Rackete come Ernesto Guevara? Certo il Che fallì nei tentativi di accendere il “foco guerrillero”, di innescare rivoluzioni in Congo nel 1965 e in Bolivia nel 1967. Pagò personalmente a caro prezzo i suoi fallimenti. Ancora oggi però si pone in Africa il tema della rivoluzione, della liberazione di quel continente dal giogo colonialista, imperialista, soprattutto francese. Una sinistra degna di questo nome di questo dovrebbe occuparsi. Perciò, come si dice a Torino, per favore, non confondiamo la cacca col risotto.
Se, invece, si pensa che il fenomeno migrazioni merita complessivamente un giudizio negativo, se si ritiene che la globalizzazione capitalista non è irreversibile, che le migrazioni non sono inarrestabili, che da questi fenomeni c'è chi ci guadagna, ma la stragrande maggioranza delle popolazioni ne esce sconfitta, più povera, allora si aprono praterie politiche sconfinate, territori inesplorati soprattutto per una sinistra che volesse collocarsi a sinistra. Si prenda ad esempio il Mezzogiorno d'Italia, da sempre terra di emigranti, dove oggi si assiste a una fuga di massa soprattutto dei suoi giovani: “Così radicale, estesa, imponente la fuga da poter essere considerata la terza ondata migratoria dopo quella dei primi del 900 verso le Americhe, del secondo dopoguerra verso la Germania e Milano del miracolo economico o Torino di mamma FIAT (…) Non più solo cervelli in fuga, la cui formazione è comunque costata 30 miliardi di euro alle casse pubbliche, ma anche camerieri in fuga, dentisti in fuga, tubisti, saldatori, operai generici, infermieri, insegnanti delle elementari, autisti, baristi, pizzaioli. Un intero popolo scomparso così folto che gli arrivi degli immigrati, o di coloro che ritornano a casa, non riescono a compensare. Il saldo demografico è paurosamente negativo. 783.511 italiani (che sono parte di quei quasi due milioni di migranti) che hanno avviato le pratiche per i cambi di residenza o nuovi passaporti, di cui 218.771 in possesso della laurea. Dal Sud è fuggita, persa ai radar, la meglio gioventù: mezzo milione di giovani (564.796 per la precisione) di cui 163.645 laureati. (Antonello Caporale, Quasi due milioni via dal Meridione, e mezza Italia sta diventando un deserto, Millennium, novembre 2018). Un Paese che costringe i suoi giovani più preparati a fuggire all'estero per trovare un lavoro e uno stipensio che consenta di vivere, ma che ha bisogno di importare raccoglitori di pomodori a due euro l'ora, è una colonia, un Paese fallito.
Prosegue Caporale, che si basa sul rapporto SviMez dell'agosto 2018: “Oltre il Garigliano i paesi cadono come foglie in autunno. Scompaiono silenziosamente e nell'indifferenza, il conto lo tiene l'ISTAT che stila periodicamente la lista dei morituri: a oggi sono più di 1.650 i Comuni colpiti da un abbandono che s'annuncia definitivo, una morte triste e non più lenta che nei prossimi anni si gonfierà di altre vittime e presto certificheremo la desertificazione. (…) Un quinto dei Comuni italiani è infatti in cammino verso il nulla, un sesto della superficie nazionale resterà disabitata. Mura cadenti, pietre rotolate giù e rovi, solo rovi. Sarà il cimitero la nuova dimensione di questo svuotamento che infragilisce fino a consumarla tutta la colonna vertebrale del Paese, la linea montuosa centrale costellata fino a due decenni fa di villaggi, di comunità, insomma di vita, che invece cederà alla morte per via della fame che l'attanaglia. (…) Né capannoni né vacche, né sviluppo industriale né agricoltura sostenibile. Né strade, né treni. Tolti, tagliati, inutilizzati più di 6.000 km di ferrovia, il treno, da vettore economico e popolare, si è via via trasformato nel costoso ed efficiente connettore dell'Italia ricca, nella direttrice verticale tra le grandi città. Il Frecciarossa è il simbolo di un'Italia che ha scelto non due, ma una sola velocità. Biglietti alti, ma puntualità quasi sempre garantita per quelli che ce la fanno. Poi la seconda classe nel resto del Paese, specialmente al Nord, un reticolo di tratte per i pendolari mal tenute e mal gestite, mentre al Sud - terza classe - semplicemente il nulla”.
Come facilmente si intuisce, le migrazioni sono un furto. Perpetrato da tutti i Nord del mondo ai danni dei Paesi eternamente in via di sviluppo che permarranno sempre tali se rapinati continuamente delle loro risorse naturali, se privati soprattutto delle migliori risorse umane di cui dispongono. Da decenni l'Africa produce i migliori atleti, i migliori calciatori del mondo di statura fisica e tecnica eccezionale, ai quali però lo Stato colonizzatore offre subito la naturalizzazione: la nazionale francese di calcio è diventata campione del mondo di calcio nel 2018 con più della metà dei titolari di origine africana naturalizzati o diventati francesi attraverso lo ius soli. E così nessun Paese africano, nonostante i suoi ottimi calciatori, è mai riuscito a diventare campione del mondo. Non riesco ad immaginare che succederebbe in Africa se ciò accadesse.
Negli anni 60 e 70 dello scorso secolo c'erano i cosiddetti “movimenti terzomondisti” che appoggiavano le lotte anticoloniali di liberazione nazionale dei popoli del cosiddetto “Terzo Mondo”. Erano l'anima della sinistra. Oggi invece nel pantheon della “sinistra” ci sono Carola e le ONG. Oltre che democristiani, ho la certezza che moriremo anche leghisti. Buone vacanze a tutti.

Torino, 30 luglio 2019 
Cesare Allara

19 commenti:

  1. La questione non può essere indagata solo con lenti economicistiche, del tipo "gli immigrati sono usati per abbassare i salari e sono un mero strumento in mano alle classi dominanti sfruttatrici per stravincere la lotta di classe", ecc.
    Questo aspetto è certo importante, ma a mio avviso assolutamente non decisivo in una prospettiva storico-esistenziale dei popoli europei.

    [Divido il messaggio in due parti, affinché non ne venga uno solo troppo lungo]

    Secondo me, per una sorta di eterogenesi dei fini, questa faccenda dell'immigrazione sfuggirà di mano alle stesse oligarchie capitaliste, poiché è semplicemente impensabile che il popolo bianco d'Europa (non mi vergogno affatto di dirlo: bianco, gli europei sono infatti bianchi) si riduca alla irrilevanza numerico-demografica senza combattere.

    Non so se accadrà che arriveranno nuovi Hitler o comunque personaggi rispetto ai quali i vari Trump, Bolsonaro, Salvini e compagnia sembreranno dei simpatici buonisti moderati; questo non saprei dirlo, anche se c'è da dire che la situazione è per molti versi incredibilmente peggiore di quella dei primi decenni del Novecento, e quindi chissà che reazione porterà.

    Voglio dire, l'Europa non può estinguersi senza nemmeno una risposta del suo popolo bianco, pur essendo esso attualmente stanco e impigrito; o meglio, ciò può anche accadere, ma mi sembrerebbe qualcosa di incredibile: un accettare il suicidio.

    Peraltro, prima ho parlato di Hitler e dei primi decenni del Novecento: vale la pena ricordare che la situazione della demografia era chiarissima già allora:

    Wikipedia
    La teoria del genocidio bianco era già stata sostenuta nella Germania nazista da un opuscolo scritto dal "Dipartimento di ricerca per la questione ebraica" del "Reich Institute" dal titolo "Le nazioni bianche stanno morendo? Il futuro delle nazioni bianche e colorate alla luce delle statistiche biologiche".7
    [7] ^ Dr. Friedrich Burgdörfer: "Sterben die weißen Völker? Die Zukunft der weißen und farbigen Völker im Lichte der biologischen Statistik", Munich, Callwey, 1934, 88 pages.


    Mussolini:
    “La città muore, la nazione — senza più le linfe vitali della giovinezza delle nuove generazioni — non può più resistere — composta com'è oramai di gente vile e invecchiata — a un popolo più giovane che urga alle frontiere abbandonate. Ciò è accaduto. Ciò può ancora accadere. Ciò accadrà e non soltanto fra città o nazioni, ma in un ordine di grandezze infinitamente maggiore: la intiera razza bianca, la razza dell'Occidente, può venire sommersa dalle altre razze di colore che si moltiplicano con un ritmo ignoto alla nostra. Negri e gialli sono dunque alle porte?”
    1927

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  2. [Seconda parte]

    Come vediamo, il fascismo e il nazismo nel 1927 e nel 1934 avevano già inquadrato la questione nella sua gravità. Pensare che si sta parlando addirittura del 1927 e del 1934 (neanche, che so, degli Anni Sessanta o Settanta) fa quanto meno riflettere.
    Spero che, essendo questo un blog di gente che fa lavorare gli ingranaggi del cervello, non ci sia bisogno di specificare (ma mi tocca farlo comunque) che riportare queste osservazioni non significa essere nazisti o fascisti: un'osservazione corretta è un'osservazione corretta, un'analisi intelligente è un'analisi intelligente, e se Hitler o Mussolini dicono che piove non ha alcun senso lasciare a casa l'ombrello solo perché lo hanno detto Hitler o Mussolini, qualora si stabilisse che fuori piove davvero; e fuori sta diluviando.

    Quindi, la sostituzione razziale in Europa è reale (chi se ne importa se il piano Kalergi o roba affine sono bufale, come peraltro credo: io sto parlando non di un progetto a tavolino, che per quanto mi riguarda è irrilevante se esista o meno, ma di precisi processi oggettivi in pieno svolgimento, e, in quanto "oggettivi" e "in pieno svolgimento", per ciò stesso reali), la razza bianca (ancora, non vedo per quale motivo vergognarsi di usare il termine) è in ritirata ovunque, lo spegnimento demografico dell'Europa bianca è una realtà e un pericolo esistenziale a medio-lungo termine, e questo è il problema dei problemi.

    Ma perché quello demografico è il problema dei problemi?
    Lo è perché la fine demografica di un popolo è semplicemente la sua fine definitiva, è la sua sconfitta irreversibile, che non avviene certo a causa di guerre da cui ci si può sempre risollevare o dalla schiavitù da cui ci si può sempre liberare, bensì dalla estinzione demografica, l'unica che, lo ripeto, è in linea di principio "definitiva".

    Quindi, tornando all'inizio del ragionamento, e all'articolo di Allara, a mio avviso la domanda da porsi non è tanto se Salvini (e i suoi omologhi populisti in giro per l'Occidente bianco) sia destinato a durare, ma cosa verrà dopo di lui (dopo di loro), quando la prospettiva, il pericolo e il dramma dell'estinzione (e in ogni caso del suo concetto apparentemente più blando, ma in realtà concetto gemello: l'irrilevanza demografica) cominceranno a diventare PALESI a livello di percezione di massa. Perché la percezione diffusa arriverà; potrà essere fra qualche decennio, ma arriverà.

    A quel punto, davvero, o la rassegnazione farà estinguere (o annullare nell'insensatezza dell'irrilevanza in Patria propria) gli europei semplicemente con indifferenza, o tutt'al più con il lamento eliottiano (https://www.libriantichionline.com/divagazioni/thomas_stearns_eliot_uomini_vuoti - «È questo il modo in cui finisce il mondo
    È questo il modo in cui finisce il mondo
    È questo il modo in cui finisce il mondo
    Non già con uno schianto ma con un lamento.» - «This is the way the world ends
    This is the way the world ends
    This is the way the world ends
    Not with a bang but a whimper.»), oppure i vari Steve Bannon, Trump, Salvini, Le Pen, e via elencando, probabilmente saranno rimembrati come soltanto i precursori delle classi dirigenti che, lungi dall'essere razziste in senso per così dire colonialista-espansionista, esprimeranno piuttosto l'esigenza di vari popoli di gridare il proprio diritto a una terra da non dividere con centinaia di milioni di allogeni (e che siano nati lì o meno non fa sensatamente differenza, visti i numeri letteralmente spaventosi di cui si parlerà).

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    1. Per prima cosa eviterei di parlare di razze, concetto quanto mai scivoloso che non aiuta il ragionamento. Preferisco parlare di dicotomia "Noi e Loro" la quale emerge, e talvolta si afferma in modi estremamente conflittuali, sebbene non necessariamente sempre.

      Un esempio di conflittualità limitata, che ha condotto a una relativa integrazione (relativa perché è pur sempre un fatto che l'Europa sia ancora attraversata da una faglia etnico-culturale: popoli latini e germanici o, se vogliamo, mondo cattolico e mondo riformato) ci è offerto dal modo in cui la dicotomia "Noi e Loro", ovvero "Latini e Barbari", fu risolta nel basso impero romano e nell'alto medioevo. La relativamente bassa conflittualità fu la conseguenza di due fattori:

      1) l'impero romano, che non era costituito su base etnica
      2) il cristianesimo, una religione universalistica e ontologicamente inclusiva

      Nonostante questi due importanti fattori, di problemi ve ne furono, e non pochi. Mi piace citarti il titolo di "Re dei romani" che veniva assegnato all'Imperatore del Sacro Romano Impero: "Wikipedia: con l'espressione di "Re dei Romani" (abbinata a volte anche a quella di Rex Germanorum cioè Re dei Germani) l'imperatore germanico confermava la propria sovranità anche sui sudditi della natione latina".

      Giova anche ricordare il modo in cui fu deposto l'ultimo imperatore romano, quel Romolo Augustolo al quale fu concesso di condurre una vita agiata, purché lontano dalla politica, fino alla fine dei suoi giorni, in quel di Napoli. Dimostrazione evidente di come la dicotomia "Noi e Loro" tra latini e popoli germanici contenesse, fin dall'inizio, i semi di una composizione non disastrosa. Come già detto, il cristianesimo fece il resto.

      Tuttavia l'emergere della dicotomia "Noi e Loro" è sempre foriera di problemi, i quali si acuiscono quando vengono a mancare sia le ragioni di convenienza economica per il suo riassorbimento, sia quando sono carenti o assenti le spinte culturali affinché ciò avvenga. In particolare, il fatto che l'ostilità verso "negri e musulmani" sia molto più forte tra le classi disagiate che non tra quelli che hanno "il culo al caldo" dimostra che le ragioni economiche non sono assolutamente da sottovalutare.

      [Continua]

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    2. Ora per capire quello che sta accadendo è necessario, IMHO, capire che gli architetti dell'UE non l'hanno progettata al fine di costruire una nazione europea, bensì un impero, guidato da un'élite derivata da quella degli stati nazionali. La logica sottostante è quella dell'ancien régime, nel quale un pugno di grandi famiglie reali si scambiavano possedimenti per via dinastica o all'esito di guerre, che all'epoca erano guerreggiate e oggi sono di natura commerciale-industriale. Di questo processo le élites nazionali sono pienamente complici (congettura eretica).

      Un'architettura imperiale di tal fatta ha necessariamente bisogno di distruggere le identità nazionali (di qui l'attacco culturale al concetto di nazione) come pure di assorbire risorse umane dall'esterno. Ti ricordo che, ben prima delle invasioni barbariche, milioni di barbari erano già stati assorbiti all'interno del limes per destinarli ad attività agricole e in seguito reclutarli nell'esercito. E tuttavia non furono le invasioni barbariche a determinare il crollo dell'impero romano, ma uno stato di perenne ed endemica guerra civile interna che lo sconquassò dall'inizio del III secolo fino alla sua disgregazione. Così come non furono le invasioni barbariche a cambiarne la composizione etnica, perché il numero degli "invasori" fu molto inferiore ai barbari già accolti nell'impero, e anzi furono gli stessi regni barbarici a porre un freno alle successive ondate, per difendere le terre che avevano conquistato. Non furono forse i Franchi ad arrestare l'avanzata dei Sassoni?

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    3. Il problema dunque non va inquadrato dalla prospettiva demografica, a meno di non cadere nella trappola per polli secondo cui le migrazioni sarebbero incontenibili. Quando alle élites non farà più comodo importare migranti il fenomeno cesserà. E se, come accadde all'impero romano, dovesse esserci un completo collasso, sarebbero i "regni misti", che necessariamente si formerebbero, a farlo cessare.

      Le radici del disastro, insomma, non stanno nella demografia, ma nel fatto che l'architettura dell'UE è estremamente fragile e anti storica, per cui collasserà, lasciandoci in eredità un problema che non sarà facile risolvere, quello dei migranti che nel frattempo si saranno insediati. Infatti, se in un'architettura politica di tipo imperiale è possibile procedere, col tempo, ad un amalgama tra le popolazioni già presenti e i nuovi arrivi, questo sarà molto più problematico col ritorno degli stati nazione. Ci troviamo così davanti ad una scelta non facile, quella tra il sostenere, magari cambiandola e tentando di democratizzarla almeno un po', il processo di formazione dell'impero oligarchico europeo, oppure lottare per il ritorno degli stati nazione, col rischio da te espresso di ritrovarci in balia di regimi fascisti proprio per la necessità di gestire la presenza di insediamenti molto grandi, e di recente quanto rapida formazione di soggetti etnicamente e culturalmente estranei alla nazione stessa.

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    4. Io credo che siamo ancora in tempo per tornare agli stati nazione, a patto che il collasso della costruzione oligarchica unionista avvenga in tempi brevi, al massimo un paio di decenni. Questo perché la maggior parte dei migranti arrivati è costituita da maschi giovani, molti dei quali hanno intenzione di tornare in patria dopo un periodo di lavoro qui durante il quale inviano denaro alle loro famiglie. Senza l'arrivo delle loro donne, attualmente in netta minoranza, hanno poche speranze di formare famiglia e riprodursi, per cui necessariamente dovranno tornare.

      Se però questa situazione dovesse continuare, allora sì che ci sarebbero problemi, e grossi, molto grossi. Immagina che si prosegua così per mezzo secolo, e che poi l'UE crolli (come è inevitabile): riesci ad immaginare il disastro? Io non oso pensarci.

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  3. Rispondo citando Daniele Scalea, che un paio di anni fa replicò nei seguenti termini a chi proponeva il confronto con l'epoca tardoantica:



    "Le similitudini con le invasioni barbariche ci sono, ma anche le differenze. Innanzi tutto qui ci sono migrazioni pacifiche, che al limite si traducono in una conquista del territorio da parte di comunità o gang ma senza riconoscimenti formali. In secondo luogo, le genti che arrivano sono più eterogenee e prive di un capo comune che possa unirle. In terzo luogo, ed è la cosa più importante, i numeri sono enormemente più ampi.

    Se nel Tardo Antico / Alto Medioevo si visse la nascita di nuovi Stati e nuove nazioni, essenzialmente sullo stesso sostrato etnico solo arricchito da qualche innesto a livello apicale, qui non è scorretto parlare, come Camus e altri, di "sostituzione" etnica.
    Chiaramente è difficile fare previsioni a lungo periodo, ma ipotizzando che si prosegua per inerzia, avremmo etnie europee-occidentali sterili e rinunciatarie che si estinguono rapidamente (rimarranno ovviamente un po' di persone, ma saranno così poche da diluirsi nella nuova maggioranza), sostituite da genti che provengono alla rinfusa dall'esterno. Questo è lo scenario per il prossimo secolo. Visto che non c'è conquista formale, non c'è un vertice che la pratica, ma che siamo di fronte a meccanismi naturali, biologici - l'ineffabile ma evidente scelta di autoestinzione degli europei, e la non maliziosa migrazione di popoli vitali, Volken ohne Raum, verso il Raum ohne Volk - in tale contesto, mi attenderei un secolo di violenza, di caos e anarchia, crollo dei confini, conflitti civili ed inter-etnici. Un lungo travaglio da cui partorirà effettivamente nuove nazioni, nuove entità politiche, una o più nuove civiltà. Ma di europeo ci sarà solo il territorio, la dose di cultura che i nuovi arrivati vorranno assimilare, e un po' di sangue diluito nelle nuove nazioni.

    Il prosieguo dell'inerzia non è però l'unico scenario ipotizzabile."

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    Vorrei aggiungere, poi, Fiorenzo, che personalmente la prospettiva dell'estinzione (o della irrilevanza) demografica per me è un problema più grande dell'impero UE: sono bianco e desidero che i bianchi prosperino e abbiano uno spazio vitale non contaminato da altri (o contaminato pochissimo), per entrare peraltro in rapporto dialettico con altri popoli, altre razze (non mi vergogno di usare questa bellissima parola), che abbiano a loro volta un territorio loro dove prosperare.
    Per intenderci, a me la prospettiva di vivere in uno Stato finalmente socialista in senso costituzionale e sovrano, ma ridotto ad avere una popolazione bianca del 50% e poi a calare (e i numeri saranno realmente questi), getta comunque nello sconforto. UE o non UE, USE o non USE, liberalismo o socialismo, impero o nazione sovrana, io non ho problemi a gridare che la scomparsa progressiva e graduale delle genti bianche è una tragedia quasi senza precedenti.

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    1. Quello che esprimi è un sentimento, rispettabilissimo in quanto vero ed esistente, che sarebbe sciocco denigrare, ma secondario rispetto a quella che per me è la cosa più importante, ovvero assicurare la prosperità a me stesso, ai figli e ai figli dei figli, senza la pretesa di voler conservare a tutti i costi la razza bianca o gialla o verde da qui alla fine dei tempi. Tutto scompare, quello che conta per ogni generazione è conservare ciò che si ha, evitando i disastri. I quali producono IMMANI sofferenze per tutti. Non mi interessa che fra 500 anni i tratti somatici degli europei saranno cambiati, quello che auspico è che ciò non accada passando per epoche feroci. L'UE è un progetto moralmente e politicamente sbagliato, che produrrà, se non viene fermato in tempo, sofferenze IMMANI. La differenza con l'impero romano è che questo si affermò, è vero, col sangue, ma seppe garantire secoli di civiltà. L'UE, al contrario, partendo dalla civiltà, produrrà barbarie.

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  4. Io credo che siamo ancora in tempo per tornare agli stati nazione, a patto che il collasso della costruzione oligarchica unionista avvenga in tempi brevi, al massimo un paio di decenni. Questo perché la maggior parte dei migranti arrivati è costituita da maschi giovani, molti dei quali hanno intenzione di tornare in patria dopo un periodo di lavoro qui durante il quale inviano denaro alle loro famiglie. Senza l'arrivo delle loro donne, attualmente in netta minoranza, hanno poche speranze di formare famiglia e riprodursi, per cui necessariamente dovranno tornare.

    Se però questa situazione dovesse continuare, allora sì che ci sarebbero problemi, e grossi, molto grossi. Immagina che si prosegua così per mezzo secolo, e che poi l'UE crolli (come è inevitabile): riesci ad immaginare il disastro? Io non oso pensarci.
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    Condivido pienamente.

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  5. "La differenza con l'impero romano è che questo si affermò, è vero, col sangue, ma seppe garantire secoli di civiltà. L'UE, al contrario, partendo dalla civiltà, produrrà barbarie."

    Scalea però parla non dell'affermazione ma della fine dell'impero, argomentando che a livello numerico la situazione sia persino molto peggiore oggi. Alludo al parallelo "migrazioni (UE) versus invasioni (Roma)", parallelo che in realtà non è così pertinente come sembra, per le ragioni addotte sapientemente da Scalea.

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    1. Ti ricordo però, e l'ho già scritto, che l'impero romano non crollò a causa delle invasioni ma per la continua guerra civile, determinata soprattutto dal fatto che non si seppe trovare un meccanismo atto a garantire la successione imperiale. Alla radice della crisi non ci fu una sproporzione numerica tra latini e altri popoli (era SEMPRE stato così) ma un problema di architettura istituzionale. I barbari non entrarono per superiorità numerica, bensì per la scomparsa delle legioni, tutte impegnate per secoli nella guerra civile tra i pretendenti al trono.

      Una specie di Trono di spade perenne.

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  6. Parlerei solo di oggi, mettendo da parte l'impero romano, perché le analogie sono affascinanti ma rimangono pur sempre solo analogie.
    La differenza tra me e te è che tu giudichi il destino (se non inevitabile e certo, allo stato attuale delle cose estremamente probabile) di quasi-estinzione delle genti bianche come qualcosa di neutro, che ti preoccupa se e solo se porterà con sé violenza e ferocia, mentre io lo giudico come qualcosa di tragico IN QUANTO TALE, anche se fosse un processo che si accompagnasse a una pace sociale meravigliosa e senza precedenti, nel qual caso io parlerei semplicemente di "estinzione silenziosa o dolce" anziché "rumorosa" (se al contrario avvenisse con guerre, scontri, conflitti, ecc.).
    È una differenza di vedute abbastanza netta, ancorché non ci sia nulla di male nell'avere vedute diverse, beninteso.

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  7. "E questo accade perché può godere di un vitalizio politico infinito, frutto della coglionaggine dei suoi “avversari”, la cosiddetta “opposizione” che è diuturnamente impegnata a fornirgli incredibili assist. I più indefessi attivisti leghisti stanno proprio a “sinistra”, e infatti educatamente, con un sorriso, Salvini sovente li ringrazia mandando “bacioni” a chi lo insulta o lo contesta dandogli del “fascista, nazista, razzista, populista, xenofobo"

    Ciao Fiorenzo a conferma di ciò ti faccio copia/incolla di una intervista del Manifesto a Rino Formica, intervista molto apprezzata e sostenuta in CGIL:

    Rino Formica: «È l’ultima chiamata prima della guerra civile. Ora il Presidente parli»
    L'intervista . L’ex ministro socialista: «Assistiamo alla decomposizione delle istituzioni, nel decreto sicurezza si accetta la fine del ruolo di Palazzo Chigi. I leader politici sono screditati. Solo un’autorità morale e politica può mobilitare la calma forza democratica dell’opinione pubblica. Lo strumento c’è, è il messaggio del Colle alle camere»
    IL MANIFESTO
    L'ex ministro socialista Rino Formica
    Daniela Preziosi
    Edizione del 08.08.2019
    Pubblicato 7.8.2019, 23:55
    «Quando si rompono gli equilibri istituzionali o c’è la soluzione democratica, o decide la forza. Se non ci sono soluzioni democratiche c’è la guerra civile». Con Rino Formica – classe 1927, socialista, più volte ministro, da più di mezzo secolo le sue definizioni della politica e dei politici sono sentenze affilate, arcinote e definitive – il viaggio per approdare all’oggi, un oggi drammatico, inizia da lontano. Con il Pietro Nenni «di quei dieci giorni lunghi quanto un secolo fra il 2 e il 12 giugno del ’46», racconta, «fra il referendum e la proclamazione della Repubblica c’è il tentativo del re di bloccare la proclamazione della Repubblica. Umberto resisteva al Quirinale. I tre grandi protagonisti, De Gasperi Togliatti e Nenni, presero la decisione di convocare il Consiglio dei Ministri e di dare i poteri di capo dello stato a De Gasperi, che era presidente del consiglio. De Gasperi andò al Quirinale sfrattò Umberto. In quei giorni noi, dalle federazioni del partito socialista, chiedemmo che fare. C’era il rischio reale che si bloccasse il processo democratico. Nenni appunto diramò la disposizione: quando si rompono gli equilibri istituzionali o c’è la soluzione democratica o la parola passa alla forza». Questa è la «questione», sostiene Formica.
    Stiamo assistendo a una rottura istituzionale?
    Questa rottura è antica, maturava già dagli anni 70, ma il tema viene strozzato. Il contesto internazionale è bloccato, un paese di frontiera come l’Italia deve fronteggiare equilibri interni ed internazionali. Nell’89 questo blocco salta, ma le classi dirigenti non affrontano il tema della desovranizzazione degli stati che diventavano affluenti dell’Europa unitaria. I grandi partiti entrano in crisi. Il Pci è in crisi logistica e di orientamento; il Psi perde la rendita di posizione; la Dc è alla fine della sua funzione storica.
    Torniamo alla nostra crisi istituzionale.
    Da allora abbiamo due documenti importanti. Il primo è del ’91, il messaggio alle camere di Cossiga che spiega che l’equilibro politico e sociale è superato. Poi, nel 2013, il discorso del secondo mandato di Napolitano. Due uomini diversi, con due approcci diversi, con coraggio pongono al parlamento il tema del perdurare della crisi. E i parlamentari, fino ad oggi, continuano a far finta che tutto va bene, che è solo un temporale, passerà. Oggi siamo alla decomposizione istituzionale del paese.
    continua......

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  8. continua....
    Quali sono i segnali della «decomposizione»?
    Innanzitutto il governo: non c’è. Oggi ci sono tribù che occupano posizioni che una volta erano del governo. Il presidente del consiglio convoca le parti sociali, ma il giorno dopo le convoca il ministro degli interni. E i sindacati vanno. Quando il sindacato non ha un interlocutore istituzionale ma va da chi lo chiama si autodeclassa a corporazione: vado ovunque si discuta dei miei interessi. Allora: non c’è un governo, perché la sua attività è stata espunta; non ci sono i partiti né i sindacati. È la crisi dei corpi dello stato. Si assiste a un deperimento anche delle ultime sentinelle, l’informazione, la magistratura.
    Sta dicendo che non c’è alternativa alla guerra civile?
    C’è. Oggi siamo in condizione di mobilitare la calma forza democratica dell’opinione pubblica? Chi può animarla? I leader politici sono deboli o screditati. Serve l’autorità morale e politica che può creare un nuovo pathos nel paese. Uno strumento democratico c’è, sta nella Carta. È il messaggio del presidente della Repubblica alle camere. Nell’81 la camera pubblicò un volume sui messaggi dei presidenti. Nella prefazione il costituzionalista Paolo Ungari spiega che il messaggio alle camere ha una grande importanza. Il presidente ha due modi per dialogare con il parlamento. Il primo è quando interviene nel processo legislativo. Quando rinvia alle camere un disegno di legge per incostituzionalità. È vero che non ha il diritto di veto ma – dice Ungari – porta il dissenso dinanzi al parlamento e anche all’opinione pubblica, «un terzo e non silenzioso protagonista».
    Dovrebbe succedere con il decreto sicurezza bis?
    Leggo che Mattarella ha dubbi. Forse ha dubbi su di sé: le norme incostituzionali stavano già nel testo che ha firmato e inviato alle camere. Lì si accettava il superamento della funzione del presidente del consiglio: non c’è più, viene informato dal ministro degli interni. È la negazione della norma costituzionale. Ma è vero che se oggi lo rimandasse alle camere la maggioranza potrebbe ben dire: abbiamo votato quello che tu hai già firmato.
    Allora cosa può fare?
    La situazione di oggi è figlia dell’errore del 2018. Il presidente dà l’incarico esplorativo a Cottarelli e questo incarico viene sospeso dall’esterno da due signori che notificano al Quirinale di non procedere perché stanno stilando un «contratto» di cui indicano l’arbitro, il presidente del consiglio. È il declassamento dall’accordo politico a contratto di natura civilistica, uno stravolgimento costituzionale. L’accordo di governo è altra cosa: stabilisce una cornice politica generale. L’errore è dei contraenti, ma chi lo ha avallato poteva fare diversamente? Se il presidente del consiglio è arbitro si accetta il fatto che la crisi istituzionale si supera attraverso una extrademocrazia aperta a tutti i venti.

    continua.....

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  9. continua......

    Un punto di non ritorno?
    Il problema ora è mettere uno stop. Il presidente della Repubblica dovrebbe fare un messaggio sullo stato di salute delle istituzioni. Il presidente del consiglio non c’è più, il governo neanche, la funzione della maggioranza è mutata fra decretazione e voto di fiducia. Ormai, di fatto, una camera discute, l’altra solo vota. Si sta consumando un mutamento dell’equilibrio istituzionale. Il presidente ci deve dire se questa Costituzione è diventata impraticabile.
    Intanto il Viminale allarga i suoi poteri.
    Salvini crea una novità nel nostro tessuto democratico. All’interno di un sistema di sicurezza crea una fazione istituzionale di partito: spezza un corpo dello stato in fazioni politiche. Il rischio è che nasca una polizia salviniana. Che avrebbe come conseguenza la nascita della Rosa bianca, come sotto Hitler. E non solo. Ormai Salvini fa in continuazione dichiarazioni di politica estera che si pongono al di fuori dei trattati a cui aderisce l’Italia.
    Mattarella ha gli strumenti per fermarlo?
    Mattarella viene da una educazione morotea, quella della inclusione di tutte le forze che emergono, anche le più incompatibili. Ma ne dà un’interpretazione scolastica. Moro spiega la sua visione nell’ultimo discorso ai gruppi parlamentari Dc, prima del sequestro. Convince i suoi all’inclusione del Pci nel governo ma, aggiunge, se dovessimo accorgerci che fra gli inclusi e gli includenti c’è conflitto sul terreno dei valori, noi passeremo all’opposizione. L’inclusione insomma non può prescindere dai valori. Altrimenti porta alla distruzione dei valori anche di quelli che li hanno. Infatti il contratto non è un’intesa fra i valori ma tra gli interessi.
    Insomma questo governo è un cavallo di troia nelle istituzioni?
    È la mela marcia che infetta il cesto.
    Mattarella può ancora intervenire?
    Non c’è tempo da perdere, deve rivolgersi al parlamento. L’opinione pubblica deve essere rimotivata, deve sapere che ha una guida morale, politica e istituzionale. Si sta creando il clima degli anni 30 intorno a Mussolini.

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  10. continua......

    I consensi di Salvini crescono, l’opinione pubblica ormai si forma al Papeete beach.
    Ma no, Salvini cresce perché non c’è un’alternativa. Un messaggio del presidente darebbe forza a quelle tendenze maggioritarie nell’Ue che hanno bisogno di sapere se in Italia c’è qualcuno che denuncia il deperimento democratico. Anche perché, non dimentichiamolo, l’Unione ha l’arma della procedura di infrazione per deperimento democratico, già usata per la Polonia.
    In questo suo ragionamento l’opposizione non ha ruolo?
    Il paese è stanco, il Pd non è in condizioni di rimotivarlo. Nessuno ne ha la forza. La stampa è sotto attacco, si difende, ma per quanto ancora? Hanno aggredito Radio radicale, i giornali, dal manifesto all’Avvenire, intimidiscono anche la stampa più robusta. Solo una forte drammatizzazione istituzionale può riuscire. All’incontro con i cronisti parlamentari Mattarella ha fatto un discorso importante. Ecco, tutti insieme dovrebbero chiedergli di ripeterlo ma in forma di messaggio alle camere. Per dare un rilievo ufficiale agli attacchi alla libera stampa. La signora Van der Leyen non potrebbe non intervenire.
    Anche perché resta il dubbio che la Lega sia strumento della Russia contro l’Ue.
    I rapporti fra Salvini e la Russia di Putin sono servili. La Russia ha un forte interesse a un’Italia destabilizzata per destabilizzare l’Europa. Il disegno non è di Salvini, lui è solo un servo assatanato di potere.
    Ministro, con Salvini sono tornate le ballerine, stavolta in spiaggia?
    Quando parlai di «nani e ballerine» intendevo che non si allarga alla società civile mettendo in un organo politico i professionisti del balletto. Qui siamo alla versione pezzente del Rubigate. Quello di Berlusconi era un populismo di transizione ma non si può negare che intercettasse sentimenti popolari. Salvini invece eccita i risentimenti plebei.
    Chiede al Colle di agire un conflitto inedito nella storia repubblicana?
    Ma se questa situazione va avanti, fra due anni Salvini si eleggerà il suo presidente della Repubblica, la sua Consulta, il suo Csm e il suo governo. Siamo al limite. Lo dico con Nenni: siamo all’ultima chiamata prima della guerra civile nazionalsovranista

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    1. Ma questo signore che inneggia all'intervento esterno ("La signora Van der Leyen non potrebbe non intervenire") non dovrebbe essere immediatamente arrestato e processato per Alto Tradimento su ordine dello stesso Mattarella, Presidente della Corte Costituzionale?

      Quando si scrive che "l’Unione ha l’arma della procedura di infrazione per deperimento democratico, già usata per la Polonia" di fatto si sta incitando alla guerra civile. E il fatto che questo documento stia circolando all'interno della CGIL, presumo ben accetto, è circostanza che dovrebbe far riflettere.

      Ancora un assist per Salvini, dunque, perché è chiaro che il popolo, posto dinanzi a una rappresentazione menzognera così orchestrata, sceglierà Salvini. Cioè l'uomo al quale Confindustria vuole consegnare tutti i poteri. Il PD (e i sindacati) 27 anni dopo il mercimonio col quale si consegnò loro il potere in cambio dell'assassinio della DC e del PSI, si rassegnano oggi alla parte dell'opposizione democratica che lotta contro il truce/duce. Quest'ultimo resterà in sella finché non decideranno di sostituirlo, gli auguriamo senza che sia appeso a testa in giù, e l'opposizione democratica, che oggi cede il passo, quel giorno sarà lì, pronta a portarci definitivamente nell'UE.

      Una sceneggiata che sarebbe erroneo immaginare come concepita da "menti raffinatissime", la verità essendo che ingannare il popolo, trasformato in sommatoria di individui atomizzati, è facile.

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  11. "e l'opposizione democratica, che oggi cede il passo, quel giorno sarà lì, pronta a portarci definitivamente nell'UE."

    Curiosità: che intendi con definitivamente, Fiorenzo?
    Stati Uniti d'Europa? Altro?

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    1. Hai ragione, non sono stato chiaro. Non intendo gli USE ma la totale privatizzazione di ogni cosa, con la riduzione dello Stato al minimo. Questo è il vero obiettivo dell'UE: la riedizione dell'ancien régime, con i diversi territori in cui sarà suddivisa che assicureranno rendite certe a iMercati. Cioè ai signori proprietari (le nuove case reali) e ai loro valvassori che, in armi, li presidieranno (la finanza come strumento di polizia).

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